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Sinn Fein più forte in Nord Irlanda, ora ‘via la premier’

La premier uscente dell'Irlanda del Nord, Arlene Foster. KEYSTONE/AP/PETER MORRISON sda-ats

(Keystone-ATS) Irlanda del Nord in fibrillazione all’ombra della Brexit e trattative in salita per un nuovo governo locale di unità nazionale a Belfast.

I repubblicani dello Sinn Fein, dopo la netta avanzata nelle elezioni dei giorni scorsi, segnata da un picco senza precedenti stando ai risultati definitivi diffusi ieri, dettano adesso le loro condizioni al maggiore partito unionista, il Dup, con il quale è stato sfiorato un clamoroso pareggio.

Chiedono apertamente la testa della premier uscente, Arlene Foster, leader dello stesso Dup, coinvolta in uno scandalo di presunta malversazione nella distribuzione a pioggia ad aziende di fondi pubblici destinati (sulla carta) a promuovere l’uso di fonti d’energia alternativa.

L’ultimatum contro Foster, con la quale la rottura si era già consumata prima del voto sfociando nelle dimissioni del vicepremier repubblicano Martin McGuinness, è stato posto in termini secchi sia dal capofila storico dell’ex cosiddetto ‘braccio politico dell’Ira’, Gerry Adams, sia dalla nuova leader della formazione, la 40enne Michelle O’Neill. Ma è stato respinto oggi dai microfoni della Bbc da Simon Hamilton, esponente di punta del Dup: per lui Foster resta a capo del partito di maggioranza relativa, sebbene ormai risicata, e “non spetta quindi allo Sinn Fein imporre chi noi dobbiamo designare come premier”. “Sarebbe irragionevole”, insiste Hamilton.

Il problema è però, come ammette Jon Tonge, un ascoltato commentatore filo-unionista, che il Dup non ha più il controllo pieno del Parlamento locale di Stormont. Neanche contando gli alleati satellite. Ha perso infatti il quorum attraverso cui era stato sinora in grado di bloccare leggi chiave (fatto valere fra le altre cose contro la legalizzazione del matrimonio gay). E “chissà se lo potrà riconquistare mai più”, sospira l’analista.

D’altronde, in mancanza di un accordo per la ricostituzione a Belfast di una coalizione fra le principali forze che rappresentano la maggioranza unionista protestante e la robusta minoranza repubblicana cattolica delle contee settentrionali, il governo nordirlandese perderebbe i poteri esecutivi attribuiti dalla devolution in salsa british. E il controllo, in base agli accordi di pace del Venerdì Santo del 1998, tornerebbe di fatto nelle mani di Londra. Con rischi evidenti di nuove tensioni.

Nelle elezioni di giovedì lo Sinn Fein ha ottenuto il suo record storico, aumentando in percentuale e quasi raggiungendo in seggi (27 contro 28) il Dup, che nell’altra legislatura ne aveva 10 in più. A pesare a suo vantaggio è stata anche l’eco della grintosa campagna anti-Brexit condotta dai repubblicani di fronte all’allineamento della leadership unionista su posizioni favorevoli al divorzio da Bruxelles. Una scelta in linea con quella pro-Remain di oltre un 50% di nordirlandesi al referendum del 23 giugno, in controtendenza con l’elettorato britannico.

Tutto ciò alimenta ora, in risposta allo spettro del ritorno di un muro di separazione fra nord e sud dell’isola verde, persino qualche velleità di riunificazione con Dublino.

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