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TPF: jihadista condannato a 18 mesi con condizionale

Il Tribunale penale federale ha condannato a 18 mesi con la condizionale il 26enne jihadista processato ieri a Bellinzona. KEYSTONE/TI-PRESS/SAMUEL GOLAY sda-ats

(Keystone-ATS) Il Tribunale penale federale (TPF) ha condannato oggi a 18 mesi con la condizionale il 26enne jihadista processato ieri a Bellinzona. L’accusa aveva chiesto due anni di carcere con la condizionale, la difesa l’assoluzione.

Si tratta della prima condanna in Svizzera per violazione della legge che vieta Al Qaida e Isis.

L’imputato, un 26enne svizzero di origini libanesi cresciuto a Winterthur (ZH), era stato arrestato il 7 aprile 2015 a Zurigo mentre si apprestava a prendere un aereo per Istanbul in Turchia, con l’apparente intenzione di unirsi ai combattenti dello Stato islamico (Isis) in Siria.

Il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) lo ha accusato di violazione della legge federale che vieta i gruppi terroristici Al Qaida e Stato Islamico, eventualmente di sostegno a un’organizzazione criminale e di ripetuta rappresentazione di atti di cruda violenza.

Ieri la procuratrice federale Juliette Noto aveva chiesto una pena di due anni di carcere, con la condizionale per un periodo di prova di tre anni. La Corte penale composta da un giudice unico ha seguito in buona parte l’accusa riducendo la pena a 18 mesi con lo stesso periodo di prova. Al 26enne ha inoltre accollato 8000 franchi di spese giudiziarie e 18’000 franchi per il pagamento del suo avvocato, non appena le sue condizioni economiche lo consentiranno (è attualmente a carico dell’assistenza sociale).

“Non ci sono dubbi che l’imputato non si proponeva un aiuto umanitario ma voleva fare il combattente”, afferma il giudice nella sua sentenza, rilevando che il giovane si era informato durante otto mesi sul conflitto armato in corso e sulla jihad. Egli aveva preso in considerazione di poter morire nella cosiddetta “guerra santa” e sapeva quali mezzi la milizia terroristica dello Stato islamico utilizza per raggiungere i suoi scopi, ha aggiunto il magistrato.

Il giudice ha considerato una circostanza aggravante la sua mancanza di “responsabilità sociale” nei confronti della compagna, che al momento della partenza per la Turchia era incinta di due mesi (il bebè è nato lo scorso novembre) e non sapeva nulla delle sue intenzioni.

Per il tribunale il tentato viaggio in Oriente non è “una colpa lieve”. L’imputato avrebbe dovuto sapere – ha detto il giudice – che qualsiasi sostegno all’Isis aiuta quest’ultimo nel suo “agire assassino”. A suo avviso il giovane, “una persona facilmente influenzabile”, mirava a trovare approvazione fra i suoi amici fanatici religiosi di Winterthur (frequentava la controversa moschea An’Nur spesso citata dai media come luogo di radicalizzazione di giovani jihadisti).

Per la procuratrice federale è chiaro che il 26enne voleva andare in Turchia “con lo scopo di unirsi allo Stato islamico e morire come martire”. L’imputato, coadiuvato dal suo difensore Daniel Weber che ha chiesto l’assoluzione su tutta la linea, ha contestato ieri in aula le accuse: ha ammesso di aver desiderato sin da bambino il martirio ma ha sostenuto di essersi voluto recare in Medio Oriente a scopi umanitari e per far visita ad amici, senza alcuna intenzione di uccidere.

Al giovane la procuratrice rimproverava anche di aver diffuso, prima del previsto viaggio in Turchia, tramite un’app di messaggistica, immagini di “barbara violenza” contro esseri umani. Su questo punto il giudice lo ha prosciolto, giudicando non provata l’intenzionalità. L’imputato ha sostenuto di avere ricevuto via chat le foto e i video di esecuzioni e torture inflitte dai combattenti dell’Isis che sono state trovate sul suo smartphone e ha detto che non sapeva neppure di averle fino al momento dell’interrogatorio da parte degli inquirenti.

La sentenza era molto attesa dall’MPC. Il procuratore generale Michael Lauber aveva parlato lo scorso marzo, in una intervista al “Tages-Anzeiger”, di “leading case”, una sorta di caso pilota che costituirà un precedente nella lotta contro il terrorismo a livello giudiziario.

Interpellato oggi dall’ats, il portavoce della Procura federale André Marty ha espresso “soddisfazione”, rilevando che la condanna fornisce la base legale per citare a giudizio altri simpatizzanti dell’Isis desiderosi di partire per la jihad. Marty ritiene importante anche la motivazione espressa dal giudice, ossia il fatto che l’imputato “non poteva non sapere” con chi aveva a che fare quando si apprestava a raggiungere l’Isis.

Lo scorso 18 marzo il TPF aveva già condannato a pene detentive tre iracheni accusati di essere sostenitori dello Stato islamico: due a 4 anni e 8 mesi, il terzo a 3 anni e 6 mesi. Un quarto imputato era stato invece assolto, non essendo stata dimostrata la sua appartenenza all’organizzazione criminale.

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