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Trump: scontro sul bando in aula, ora parola ai giudici

Il presidente americano Donald Trump (foto d'archivio). KEYSTONE/EPA BLOOMBERG POOL/ANDREW HARRER / POOL sda-ats

(Keystone-ATS) Al cospetto dei giudici della Corte d’appello federale di San Francisco va in scena uno scontro senza esclusione di colpi sul decreto più controverso varato finora dal presidente americano Donald Trump.

“Non è un bando contro i musulmani, ma un provvedimento per garantire la sicurezza nazionale”. “Non è vero, è un divieto il cui vero intento è solo quello di discriminare chi è di religione islamica”. I giudici hanno a più riprese espresso un certo scetticismo sul provvedimento e sul modo in cui è stato attuato: senza alcun preavviso e in maniera da causare caos negli aeroporti e nel trasporto aereo. Oltre a provocare sdegno nel mondo intero.

Il collegamento dei legali delle parti in causa con i tre magistrati (due di nomina democratica, uno scelto da George W. Bush) è telefonico. Un aspetto che contribuisce a rendere ancor più’ drammatica l’udienza, con l’audio trasmesso in diretta tv e sul web e seguito da milioni di persone. Il futuro di molte di loro, anche nell’immediato, dipende dalla decisione della corte. Decisione che arriverà “il prima possibile”, assicura Michelle Friedland, nominata da Barack Obama e che svolge il ruolo di presidente.

August Flentje, avvocato del Dipartimento di giustizia, e Noah Purcell, rappresentante degli stati che hanno impugnato il bando di Trump (Washington e Minnesota) hanno 30 minuti ognuno per esporre i loro argomenti, incalzati dalle domande delle toghe. “Il presidente Trump è stato motivato esclusivamente dall’esistenza di un rischio reale”, ha detto il primo, argomentando come i sette Paesi a maggioranza musulmana interessati dall’ordine esecutivo “pongono una seria minaccia dal punto di vista del terrorismo”. Ha quindi fatto l’esempio del gruppo terroristico al-Shabaab che ha le sue basi in Somalia. E di fronte alle osservazioni dei magistrati ha ribadito con forza come “il presidente degli Stati Uniti ha l’autorità per sospendere l’ingresso di stranieri nel Paese nell’interesse della sicurezza nazionale”. Per questo il bando – al momento ‘congelato’ – deve essere ripristinato immediatamente: “La sentenza non deve essere influenzata da quello che scrivono i giornali”.

Di parere opposto il legale dell’accusa, per il quale quello che in realtà il governo chiede alla corte è “di abdicare al suo ruolo”. Per Purcell non solo “dietro il bando c’è l’intenzione di penalizzare una religione”, ma la sua attuazione ha provocato e potrà provocare “danni irreparabili”: “Famiglie separate, residenti da tanto tempo negli Usa a cui è impedito di viaggiare, e anche perdite sul fronte delle entrate fiscali”.

Ora l’ultima parola ai tre giudici che entro la settimana dovranno decidere se confermare o meno la sospensione del decreto. Con le parti che dopo la sentenza potranno ricorrere alla Corte suprema.

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