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Turchia: Erdogan si prende esercito, Ankara teme fuga di Gülen

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Keystone/AP/ sda-ats

(Keystone-ATS) Nella Turchia post golpe, in cui un comandante militare su due è stato imprigionato, Recep Tayyip Erdogan è pronto a prendersi l’esercito. Intende porre sotto il suo diretto controllo l’ufficio del capo di Stato maggiore e i servizi segreti, finora legati al governo.

Mentre è in corso il cruciale Consiglio militare supremo (Yas) anticipato, da cui entro domani si attende un nuovo scossone alle gerarchie delle Forze armate, è trapelato il piano che per Erdogan “modificherà la struttura che ha dato impulso al golpe”.

Praticamente, un presidenzialismo senza riforme. Una proposta già presentata ai partiti di opposizione socialdemocratica e nazionalista, cui Erdogan, dopo il putsch, continua a mandare segnali di riconciliazione.

Giorno dopo giorno, Ankara prosegue la sua campagna di pressione internazionale per chiedere l’arresto del “terrorista” Fethullah Gülen, accusato di essere il regista del colpo di stato. Secondo il ministro della Giustizia, le autorità turche hanno ricevuto informazioni di intelligence su un presunto piano di fuga dell’imam dagli Stati Uniti, dove risiede dal 1999. Destinazione: un Paese che non abbia un accordo di estradizione con la Turchia. Quelli citati sono Australia, Messico, Canada, Sudafrica ed Egitto. Quest’ultimo è l’indiziato numero uno, viste le tensioni con Ankara sin dalla deposizione del leader dei Fratelli Musulmani, Mohammed Morsi.

Il Cairo fa sapere di non aver ricevuto finora alcuna richiesta di asilo, ma nel caso arrivasse si dice pronto a discuterla.

Per aumentare la pressione su Washington, spunta anche la prima accusa di legami americani con i “gulenisti” in un documento ufficiale: “La CIA e l’FBI hanno fornito un addestramento in diversi campi ai quadri cresciuti nei centri culturali appartenenti al movimento di Gülen”, si legge in uno degli atti d’accusa contro i golpisti.

Nel frattempo, non si fermano le polemiche per il pugno di ferro contro la stampa, dopo il decreto che ieri sera ha chiuso 131 media “gulenisti”. “È preoccupante che a seguito dell’entrata in vigore dello stato d’emergenza in Turchia, molti giornalisti siano stati arrestati e vari media siano stati chiusi”, sottolinea la Commissione Ue.

Altri 73 arresti sono stati effettuati oggi a Bursa, tra cui l’ex prefetto e l’ex capo della polizia. Le epurazioni di dipendenti pubblici sono ormai più di 65’000. Nuove purghe sono arrivate al ministero degli Esteri, dove sono già stati cacciati 88 diplomatici ma si annuncia un’indagine su 300 sospetti.

In questo clima, arrivano i nuovi dati sul calo del turismo, che fa registrare il crollo peggiore dal 1994, senza che ancora si vedano gli effetti dell’attacco terroristico all’aeroporto Ataturk di Istanbul e del tentativo di colpo di stato. A giugno, l’arrivo degli stranieri in Turchia è sceso del 40,8% rispetto allo stesso mese del 2015. A questo punto, neanche il ritorno dei russi dopo la distensione con Putin potrebbe bastare a salvare uno dei settori chiave dell’economia turca.

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