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Ucciso Muammar Gheddafi

Gli insorti festeggiano la caduta di Sirte e la fine di Gheddafi Reuters

Muammar Gheddafi è stato ucciso stamani a Sirte. La sua città natale è definitivamente sotto il controllo degli insorti. La Svizzera, che aveva dovuto fare i conti con il tiranno, invita a desistere dalle rappresaglie.

La fine del colonnello libico interviene dopo otto mesi d’insurrezione e guerra civile. Sulla dinamica della cattura e della morte del colonnello sono circolate diverse versioni e ancor prima della conferma della sua morte da parte del Cnt, sono state diffuse immagini molto crude.

La tv araba al Jazira ha mostrato le immagini degli ultimi momenti di vita di Muammar Gheddafi. Catturato dagli insorti viene trascinato verso un pickup e fatto sdraiare sul cofano. Gheddafi appare spaventato, è ferito al volto, ma tenta di parlare. È scalzo e ha la camicia sbottonata e i capelli arruffati.

La prima foto del volto di Muammar Gheddafi insanguinato è stata diffusa dall’Agenzia France Presse (Afp). Un suo fotografo, Philippe Desmazes, che stava coprendo la liberazione di Sirte, è riuscito a scattare un fermo immagine di un video girato con un telefonino al momento della cattura del rais.

“Stavo coprendo la caduta di Sirte – ha raccontato – quando ho sentito dei colpi di arma da fuoco un po’ più a ovest rispetto a dove mi trovavo. Alcuni ribelli ci hanno spiegato che uomini di Gheddafi aveva tentato una sortita da Sirte”. “C’erano stati dei combattimenti più a ovest, ma gli spari avevano più l’aria di essere una celebrazione piuttosto che combattimenti”.

“Allora ho chiesto di portarmi sul posto. Lì mi hanno mostrato dei grandi cilindri di cemento nei quali mi hanno detto che era nascosto Gheddafi prima della cattura. Un po’ più in là ho visto dei combattenti in cerchio intorno ad un telefonino. Ho avuto fortuna, sono stato l’unico a notarli. Il proprietario del telefono mi ha mostrato il video della cattura che era stata filmata pochi minuti prima. È molto difficile scattare un fermo immagine alla luce del giorno. I ribelli mi hanno fatto ombra con il corpo per consentirmi di scattare la foto. Ho avuto fortuna”.

Non è stato possibile avere subito la certezza che il rais fosse morto perché si vedeva solo il corpo insanguinato e gli occhi semichiusi. Per la conferma è stato necessario attendere le dichiarazioni del Cnt un’ora dopo, ma la foto era già sui siti internet di tutto il mondo.

In attesa di dettagli

Secondo le tv nazionali, sarebbero stati uccisi anche il figlio del rais Saif e il ministro della Difesa del regime, Abubakr Yunes Jaber. Sarebbero invece stati arrestati il figlio Mutassim Gheddafi, il capo dei servizi segreti Abdallah Senoussi e il portavoce Moussa Ibrahim.

Sirte è stata conquistata dai ribelli stamattina, dopo giorni di assedio casa per casa. I combattenti del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) all’alba hanno lanciato l’ultimo assalto e in poche ore hanno cacciato gli ultimi lealisti dalle loro postazioni nel quartiere 2. La bandiera degli insorti, quella della vecchia Libia monarchica, è stata issata sul centro della città.

La nazione libica, intanto, attende l’annunciato discorso in Tv del presidente del Cnt, Mustafà Abdel Jalil. Egli deve proclamare la liberazione della Libia e fornire i particolari sulla morte di Gheddafi.

Berna esorta a rinunciare alle vendette

Le reazioni da tutto il mondo non si sono fatte attendere. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, ha dichiarato che si tratta di una “transizione storica” e che ora bisogna fermare i combattimenti.

Da Berna, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha lanciato un appello “al rispetto dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario in Libia”.

In un comunicato diffuso in serata, il ministero degli esteri elvetico esorta ad astenersi da rappresaglie e ad avviare un dialogo che coinvolga tutti gli attori per instaurare stabilità nella regione.

Secondo il DFAE, la morte di Gheddafi permetterà al Cnt di “continuare il suo lavoro verso una transizione democratica in un Paese che per oltre 40 anni è vissuto sotto il potere di un dittatore”.

La profonda crisi con la Svizzera

Con la morte di Gheddafi scompare un tiranno che ha anche umiliato e tenuto con il fiato sospeso la Svizzera per due anni. La grave crisi fra Tripoli e Berna è scoppiata dopo il fermo, nel giugno 2008, in un grande albergo di lusso a Ginevra, del figlio del leader libico, Hannibal Gheddafi, e della nuora Aline, accusati di abusi da due domestici.

Dopo aver passato due giorni dietro le sbarre, i coniugi Gheddafi sono stati rilasciati su cauzione. Furibondi hanno subito lasciato la Svizzera. I due querelanti hanno poi ritirato la denuncia in cambio di un’indennità.

Offeso dal trattamento subito dal figlio e dalla nuora di Muammar Gheddafi, il regime libico ha quindi reagito con una serie di rappresaglie nei confronti della Svizzera. Tripoli ha obbligato le aziende elvetiche a chiudere i loro uffici in Libia, ha sospeso i collegamenti aerei della compagnia Swiss e arrestato due cittadini elvetici, Max Göldi e Rachid Hamdani. I due in pratica sono tenuti in ostaggio.

Tutti i tentativi di appianare il contenzioso sono falliti. Le tensioni non si sono allentate neppure dopo la visita a Tripoli del presidente della Confederazione Hans-Rudolf Merz, che nell’agosto 2009 ha presentato le scuse ufficiali per l’arresto di Hannibal Gheddafi. Malgrado la firma di un accordo volto a regolarizzare le relazioni fra i due Paesi, ai due cittadini svizzeri non è permesso lasciare la Libia.

Per cercare di sbloccare la situazione, la Svizzera ha cominciato ad applicare restrizioni sui visti dei cittadini libici. La crisi ha così assunto dimensioni europee.

Nel novembre 2009 Rachid Hamdani e Max Göldi sono stati condannati a 16 mesi di carcere per violazione delle norme sui visti. Il primo è stato assolto in appello nel febbraio 2010 e ha potuto lasciare il paese. Il secondo, invece, è stato arrestato e incarcerato per scontare quattro mesi di detenzione. Göldi è infine stato liberato il 10 giugno 2010.

Per porre fine alla crisi, Berna e Tripoli hanno firmato un accordo che prevedeva, tra gli altri, l’istituzione di un tribunale arbitrale incaricato di far luce sulle circostanze del fermo di Hannibal e Aline Gheddafi. Il cosiddetto “piano d’azione” prevedeva anche un’inchiesta affinché i responsabili della trasmissione e della pubblicazione sul quotidiano Tribune de Genève delle foto segnaletiche della polizia ginevrina di Hannibal Gheddafi fossero condotti davanti alla giustizia.

Sulla via della normalizzazione delle relazioni

Berna ha sospeso l’accordo nel febbraio 2011, dopo lo scoppio del conflitto in Libia, e ha deciso di congelare i beni del clan Gheddafi in Svizzera. Questi dovrebbero essere restituiti agli intestatari dei conti, in particolare la banca centrale e la compagnia nazionale libica, dopo che il Consiglio di sicurezza dell’ONU avrà revocato le sanzioni internazionali nei confronti di Tripoli.

Intanto il governo svizzero alla fine di settembre ha accordato le credenziali al nuovo ambasciatore libico a Berna, Sliman Bouchuiguir, un acerrimo oppositore al regime di Gheddafi, che ha partecipato alla fondazione del Fronte nazionale democratico libico e della Lega libica per i diritti umani.

Il Consiglio nazionale di transizione (Cnt) oggi ha chiesto all’Algeria la consegna dei familiari del colonnello libico, fuggiti nel paese magrebino quest’estate. Fra costoro ci sono anche Hannibal e la moglie Aline.

Le date-chiavi dopo lo scoppio della rivolta in Libia, il 15 febbraio 2011, che hanno preceduto la fine di Gheddafi:

Febbraio, 15-19: manifestazione contro il regime, violenti repressioni a Bengasi e Al Baida (est). La rivolta si estende.

21-22: i ministri della Giustizia, Mustapha Abdel Jalil, e dell’Interno, Abdel Fatah Younes, si uniscono alla rivolta. Decine di rappresentanti politici e militari faranno lo stesso.

23-25: la zona dalla frontiera egiziana fino a Ajdabiya, che include Tobruk e Bengasi, passa nelle mani degli insorti.

Marzo, 10: la Francia è il primo Paese a riconoscere il Consiglio nazionale di transizione (CNT), creato a fine febbraio dall’opposizione a Bengasi.

17: l’Onu autorizza un ricorso alla forza contro le forze fedeli al colonnello per proteggere i civili.

18-19: i pro-Gheddafi attaccano Bengasi, capitale dei ribelli. La coalizione passa all’offensiva e bombarda i lealisti che si ritirano a ovest.

31: la Nato prende il comando delle operazioni.

Aprile, 20: dopo Londra, Parigi e Roma inviano consiglieri militari presso il CNT, seguiti da Egitto e Stati Uniti.

Maggio, 11: dopo due mesi di assedio e di combattimenti, i ribelli prendono l’aeroporto di Misurata (a est di Tripoli).

Giugno, 29: la Francia riconosce di aver paracadutato armi da fuoco ai ribelli nelle montagne di Nefoussa (a sud-est di Tripoli).

Luglio, 15: il gruppo di contatto, guida politica dell’intervento, riconosce il CNT “autorità governativa legittima”.

28: è assassinato il generale Younes, capo di stato maggiore della ribellione.

Agosto, 9: il regime accusa la Nato di aver ucciso 85 civili in raid nell’ovest.

20: scoppio della ribellione su Tripoli con l’appoggio aereo della Nato.

23: viene conquistato il bunker del colonnello, Bab al-Aziziya, mentre da più parti lo danno in fuga.

Settembre, 1: l’Onu e le grandi potenze sbloccano 15 miliardi di dollari di beni libici che erano stati congelati.

15: Nicolas Sarkozy e David Cameron vanno in Libia.

16: l’Onu riconosce il CNT.

  

Ottobre, 17: Il comandante del CNT annuncia che Bani Walid, a sud-est di Tripoli, è “totalmente liberata”.

18: visita a sorpresa a Tripoli della segretaria di stato USA Hillary Clinton.

19: il numero due del CNT, Mahmoud Jibril, esprime preoccupazione per la battaglia politica futura che potrebbe gettare il Paese nel caos.

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