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Un’oasi di cultura italiana nel quartiere a luci rosse

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La Libreria italiana di Lisetta e Sandro Rodoni nei pressi della Langstrasse di Zurigo: un pezzo di storia dell'emigrazione italiana nel quartiere più multietnico e colorato della Svizzera.

“Little Italy”, “Quartiere latino”, “Chreis Cheib” (quartiere maledetto), “Sündenmeile” (strada del peccato): così viene chiamato dagli zurighesi il quartiere della Langstrasse, sulla riva meno buona della Sihl. A destra, tra la stazione e il lago, la Zurigo benestante dei negozi di lusso e delle banche. A sinistra, tra la stazione e la zona industriale, il quartiere popolare della Langstrasse.

Negli anni ’50 era il quartiere degli operai immigrati: spagnoli, portoghesi e soprattutto italiani. Poi, chiuse le fabbriche, dagli anni ’70 si è trasformato nella zona a luci rosse della città. Prostituzione, droga e un po’ di criminalità. Ma anche un quartiere sempre più multietnico: ristoranti cinesi, negozi turchi, parrucchieri indiani, bar africani.

E tra due sex shop, alla Kurzgasse, la Libreria italiana. All’interno Lisetta Rodoni, che accoglie con un “buongiorno” e un sorriso i clienti. Nata e cresciuta nella provincia di Vicenza, dopo aver lavorato alcuni anni in fabbrica e poi come sindacalista, nel 1956 viene da sola a Zurigo in cerca di lavoro.

Trova subito un impiego presso una fabbrica di Altstetten, ai bordi della città. Poi si immerge rapidamente nel mondo degli operai e dei sindacalisti, nelle Colonie libere italiane, un’organizzazione nata per sostenere i lavoratori giunti dalla Penisola. E lì, tra una riunione e l’altra, incontra Sandro Rodoni, un ticinese cresciuto a Biasca che lavora prezzo una ditta di importazioni.

Fame di cultura italiana

In questi ambienti, i coniugi Rodoni si accorgono che la folta comunità di lavoratori immigrati soffre per la mancanza di pubblicazioni in lingua italiana: a quei tempi soltanto pochi libri e giornali italiani varcano le frontiere della Penisola. Vari testi, considerati troppo di sinistra, circolano addirittura solo clandestinamente.

Così, nel 1961, Lisetta e Sandro Rodoni creano nel quartiere della Langstrasse un punto di vendita per pubblicazioni in lingua italiana. Nasce la Libreria italiana di Zurigo, che, da allora, ha nutrito la fame di cultura e di conoscenze di generazioni di immigrati nel bacino urbano zurighese. Prima della diffusione negli anni ’80 dei canali televisivi italiani, i libri e i giornali sono tra i pochi legami che molti espatriati possono mantenere con l’Italia.

“Vi erano tantissimi giovani operai, tra i 20 e i 30 anni, molto interessati alla politica e generalmente di sinistra. Cercavano libri di saggistica e soprattutto di narrativa”, ricorda Lisetta Rodoni. “Poi vi erano anche molti manovali, braccianti del sud, senza una formazione professionale. Volevano dei manuali per imparare un mestiere: il libro del muratore, del tornitore o del fresatore. Oppure ‘Aritmetica e geometria dell’operaio’, il ‘Poliglotta’ per imparare il tedesco. A quei tempi non vi erano ancora le scuole professionali per adulti”.

Sotto sorveglianza poliziesca

Per procurarsi le pubblicazioni, i coniugi Rodoni si recano in Italia ad incontrare gli editori, tra cui Giangiacomo Feltrinelli. Per avvicinare i lettori, organizzano invece piccole mostre del libro nelle fabbriche, come nei grandi stabilimenti industriali della Oerlikon Bührle di Baden.

La libreria diventa un punto di riferimento per l’emigrazione italiana: vi transitano anche diversi personaggi del mondo dell’arte e della cultura, come Leonardo Sciascia o Mario Comensoli. Ma, già dai primi anni, questo “nido intellettuale” attira anche l’attenzione della polizia: i coniugi Rodoni finiscono tra le decine di migliaia di persone schedate in Svizzera durante gli anni del clima anticomunista della Guerra fredda.

“Siamo stati sorvegliati da agenti di polizia che avevano affittato una camera di fronte alla libreria. Nei loro rapporti figuravano indicazioni incredibili: la signora Rodoni ha comperato un vestito nuovo, è andata alle 16 e 42 a prendere i bambini all’asilo. Oppure Sandro Rodoni ha incontrato un signore con un mantello grigio e sono rimasti per 32 minuti in un tearoom. Qualcuno mi può spiegare che cosa vi fosse di sovversivo in tutto questo? È stata un’esperienza dolorosa”.

Pochi rimpianti

Altrettanto dolorose, nella memoria di Lisetta Rodoni, le iniziative xenofobe lanciate dalla destra negli anni ’70 per ridurre il numero di stranieri in Svizzera. “Queste iniziative, fortunatamente respinte, avevano creato un clima di spavento e sentimenti di profonda ingiustizia. Gli italiani e gli altri operai immigrati a Zurigo facevano lavori alquanto duri, vivevano con conoscenti o con la famiglia in piccolissimi appartamenti per risparmiare qualcosa. Senza di loro, oggi non vi sarebbero molti edifici, molte strade e molte altre cose in Svizzera”.

Molte cose che sono cambiate nell’ultimo mezzo secolo anche alla Langstrasse. “Un tempo si erano tanti italiani, giovani e famiglie. Andavano a spasso la domenica, sempre ben vestiti. Si ritrovavano spesso alla stazione, aspettavano i treni che arrivavano dall’Italia, per vedere se non vi era magari un loro compaesano”.

Lisetta Rodoni non rimpiange di aver preso anche lei, un giorno, il treno da Vicenza per Zurigo. “Le radici mancano sempre a chi lascia il proprio paese. Però devo dire che mi è andata bene a Zurigo. Ho avuto la fortuna di poter inserirmi in fretta attraverso il mondo dell’immigrazione e dei sindacati. E poi vi ho incontrato mio marito e abbiamo aperto questa libreria. Vi ho trovato insomma il mio limbo”.

swissinfo, Armando Mombelli

In Svizzera vivono 1,6 milioni di stranieri (fine 2007), che rappresentano il 21% della popolazione.

L’87% dei membri delle comunità straniere residenti sul suolo elvetico sono di nazionalità europea.

La comunità più grande è rappresentata dagli italiani (291’600 persone). Seguono i serbo-montenegrini (191’800), i portoghesi (173’500), i tedeschi (172’500) e i turchi (73’900).

Nel Dopoguerra la Svizzera aveva conosciuto oltre due decenni di rapida crescita economica, accompagnata da un grande fabbisogno di manodopera. Per favorire l’arrivo di lavoratori italiani, le autorità di Berna e Roma avevano firmato due accordi che regolavano l’immigrazione di cittadini italiani sul suolo elvetico.

Il flusso migratorio dall’Italia verso la Svizzera è stato particolarmente forte tra il 1950 e il 1970, fino a raggiungere 500’000 persone. In quel periodo, il numero di stranieri residenti nel territorio elvetico era salito dal 6% al 16% della popolazione.

L’immigrazione italiana si è fortemente rallentata negli anni ’70, in seguito alla recessione economica: il 67% delle persone licenziate durante questo periodo di crisi erano di nazionalità straniera.

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