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Haïfa Al-Mansour, una voce fuori dal coro

Nel film "Wadjda", la bicicletta è simbolo di libertà, slancio e accelerazione, spiega la regista saudita Haïfa Al-Mansour. fiff.ch

Prima donna regista dell'Arabia Saudita, Haïfa Al-Mansour ha firmato anche il primo film girato integralmente nel regno: "Wadjda", uscito in Italia col titolo "La bicicletta verde". Incontro con una donna che ha scambiato il velo con i jeans e coltiva l'arte di dire cose forti con dolcezza.

Wadjda ha 12 anni e vive con la madre. Il papà ha abbandonato la famiglia alla ricerca di una seconda donna che gli dia un figlio maschio. Wadjda sogna una bicicletta, ma alla società saudita l’idea proprio non va giù. Poco importa. Wadjda cerca di procurarsela attraverso diversi stratagemmi. Finché un giorno decide di partecipare a un concorso di recitazione coranica. In palio vi è un’ingente somma di denaro, che le permetterebbe di realizzare il suo sogno.

Birichina, intelligente e perspicace, Wadjda ha tendenza a trasgredire le regole imposte dalla società musulmana. Indossa scarpe da ginnastica e ascolta musica pop-rock americana. In questo assomiglia molto a Haïfa Al-Mansour. La cineasta 39enne vuole far sentire la sua voce, senza però turbare «la complessa società saudita, terreno fertile per un film di finzione».

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swissinfo.ch: Il suo aspetto di donna emancipata è in totale contraddizione con l’immagine classica di una donna saudita. Ciò è in qualche modo sorprendente…

Haïfa Al-Mansour: Sì, soprattutto se si pensa che sono cresciuta in una piccola città di provincia, El-Zilfi. Vorrei tuttavia precisare che la donna saudita ha fatto grandi passi avanti. Oggi ci sono molte scrittrici e anche giornaliste che lavorano per i media audiovisivi. Il loro aspetto è cambiato. Non tutte indossano forzatamente il velo integrale. C’è grande diversità nel paese, sia a livello di pensiero che di apparenze.

Nata il 10 agosto 1974 in Arabia Saudita, Haïfa Al-Mansour è regista, sceneggiatrice, montatrice e produttrice. Studia letteratura inglese comparata all’università americana del Cairo, dove si laurea nel 1997.

Di ritorno in Arabia Saudita, lavora per otto anni e realizza tre cortometraggi: “Who?”, “The Bitter Journey” e “The Only Way Out”.

Nel 2005 incontra il suo futuro marito, un diplomatico americano, durante la presentazione del suo primo film documentario “Women Without Shadows”.

La coppia si trasferisce in Australia dove la regista segue un corso di cinema e consegue un master all’università di Sidney. Dopo una parentesi a Washington, oggi vivono nel Bahrein con i due figli.

swissinfo.ch: Da dove nasce la sua passione per il cinema?

H.Al-M.: Sono cresciuta in una famiglia di dodici figli. Per farci divertire, i miei genitori ci mostravano film americani, indiani o egiziani in VHS. Il cinema e la televisione erano una scappatoia per sfuggire al nostro ambiente e scoprire il mondo.

Più tardi, quando sono entrata nella vita attiva, mi sono resa conto che la voce delle donne saudite non veniva ascoltata. Ho dunque voluto far sentire la mia. Il cinema è stato per me un mezzo di espressione. Ho iniziato con un cortometraggio grazie al quale ho potuto presentarmi a un concorso cinematografico ad Abu Dhabi.

swissinfo.ch: Il suo può essere considerato un lavoro pionieristico. Nel suo paese infatti la produzione  cinematografica è inesistente…

H.Al-M.: Lo dico con fierezza: sono la prima regista saudita. Sarebbe tuttavia sbagliato affermare che la settima arte non trova spazio nel mio paese. Al contrario, la cultura cinematografica sta iniziando a mettere radici. Vorrei che “Wadjda” aprisse le porte ai giovani. E spronasse le donne, affinché credano maggiormente in loro stesse e cerchino di trovare la loro strada.

swissinfo.ch: Come le è venuta l’idea del personaggio di Wadjda e come ha trovato questa giovane attrice, la cui interpretazione è davvero notevole?

H.Al-M.: All’inizio volevo fare un film sulla mia città, i miei genitori e la mia scuola. Ma poi è stata la personalità della mia nipotina, gaia e spontanea, ad ispirarmi per questo film.

È stato molto difficile trovare l’attrice giusta. Il reclutamento di giovani attori sulla stampa non esiste in Arabia Saudita. Per il casting abbiamo dunque dovuto passare attraverso società di produzione locali, che ingaggiano piccoli cantanti e ballerini per le feste o i festival. È così che ho trovato Waad Mohamed; recitava in un piccolo teatro. È arrivata sul set in jeans e All Stars, con le cuffie e la musica di Justin Bieber nelle orecchie. Insomma, una ragazzina che appartiene alla cultura di internet e alla gioventù mondiale.

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swissinfo.ch: Perché ha scelto come personaggio una bicicletta?

H.Al-M.: Perché porta con sé l’idea di accelerazione, libertà, slancio… E allo stesso tempo resta un oggetto tenero che non provoca traumi. In questo senso assomiglia alla mia scrittura. Ciò che cerco è il dialogo, non lo scontro.

swissinfo.ch: Le donne saudite hanno il diritto di apparire senza velo sul grande schermo, dunque davanti al mondo intero, ma non per le strade saudite. Come si spiega questa contraddizione?

H.Al-M.: L’Arabia Saudita è piena di belle contraddizioni. È un paese conservatore, è vero. Ma sotto il velo, ci sono donne sensibili che amano la vita, il riso, la gioia.

swissinfo.ch: Questa sensibilità traspare anche nel suo modo di trattare i diversi temi del film: il matrimonio infantile, l’immigrazione illegale o il fatto che le donne non possono spostarsi liberamente. Soggetti spinosi, affrontati però con dolcezza. Come ci è riuscita?

H.Al-M.: Dopo lunghe riflessioni e rispettando la cultura del paese. Ho voluto esprimere i miei pensieri attraverso un film che parlasse ai sauditi senza sconvolgerli. Credo sia importante per un cineasta trarre ispirazione da ciò che lo circonda. In un paese dove si tende ad aver paura del cinema, ho cercato di raccontare alla gente una storia che parlasse di loro, della loro vita.

swissinfo.ch: Ci sono state reazioni al film nel suo paese?

H.Al-M.: No. Non ho avuto echi. Molti sauditi si sono però spostati a Dubai per vedere il film quando nel 2012 è stato presentato al festival internazionale. Lo stesso anno, “Wadjda” è stato ospite della Mostra internazionale del cinema di Venezia e ha beneficiato di una buona copertura mediatica da parte della stampa saudita.

swissinfo.ch: Qual è l’Arabia Saudita dei suo sogni?

H.Al-M.: Sogno un’Arabia Saudita dove regni la tolleranza, la fraternità, l’apertura reciproca… e dove la donna possa avere un ruolo più importante nella vita pubblica.

Nel 2012 esce “Wadjda”. Il film è presentato in prima mondiale alla Mostra internazionale del cinema di Venezia, nella sezione “Orizzonti”. Esce nelle sale col titolo “La bicicletta verde”.

Haïfa Al-Mansour ammette di aver avuto qualche difficoltà a girare il film in Arabia Saudita. «Dato che la società saudita non è mista, ho dovuto evitare – per quanto possibile – i luoghi pubblici. Ciò mi ha obbligata a ripensare il mio modo di lavorare. Per le scene girate per strada, ad esempio, ho dovuto nascondermi in un furgoncino con un monitor e dirigere la mia equipe con una radiolina».

“Wadjda” ha beneficiato del sostegno finanziario del principe saudita Al-Walid ben Tatal (gruppo Rotana). Coprodotto da Rozor Film (Germania), il film ha già ricevuto diversi premi nei festival internazionali, tra cui quello di Miglior film nella categoria Cinema d’arte e d’essai a Venezia, Miglior film e miglior attrice al festival di Dubai e Premio del pubblico al festival del film di Friburgo (Svizzera).

(Traduzione di Stefania Summermatter)

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