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Svizzeri allo scontro con il capitalismo sui salari?

I top manager di grandi società che si sono accordati rimunerazioni stratosferiche negli ultimi anni, in Svizzera, devono ora fare i conti con la democrazia diretta Keystone

L’improvvisa serie di iniziative riguardanti i salari, su cui si vota in breve tempo Svizzera, è l’espressione di una “rivolta” contro le rimunerazioni faraoniche dei top manager. Ma il principio dell’economia di mercato non è intaccato, concordano due specialisti universitari.

L’eco del grande shock del 3 marzo 2013, quando l’iniziativa popolare “contro le retribuzioni abusive” è stata plebiscitata, non si è ancora spenta, che già il 24 novembre si vota su un’altra proposta per mettere a freno le rimunerazioni dei top manager: l’iniziativa “1:12 – Per salari equi”, che fisserebbe a un massimo di dodici volte la differenza tra lo stipendio più basso e quello più elevato all’interno di ogni azienda. L’anno prossimo sarà poi il turno dell’iniziativa che chiede di fissare un minimo salariale legale.

Una raffica di rivendicazioni in materia salariale che tradizionalmente sono sempre venute dalla sinistra, ma che negli ultimi anni hanno sorprendentemente raccolto ampi favori anche tra il resto dell’elettorato.

Secondo i dati più recenti pubblicati dall’Ufficio federale di statistica, nel 2010 in Svizzera il salario lordo mediano in equivalenti tempo pieno era di 5’979 franchi al mese.

Il salario mensile lordo mediano dei quadri superiori era di 10’195 franchi nel settore privato e 16’526 nel pubblico (Confederazione), quello dei top manager era di 22’755 franchi nel primo e di 21’548 nel secondo.

Un decimo dei salariati guadagnava meno di 3’953 franchi e un decimo guadagnava più di 10’833 franchi.

Rigetto di un sistema importato

“I cittadini si sono rivoltati contro un sistema di rimunerazione che è stato importato dai paesi anglosassoni negli ultimi vent’anni, in seguito alla mondializzazione”, dice a swissinfo.ch Rafael Lalive. Un sistema collegato allo “sviluppo dei prodotti finanziari, come per esempio le opzioni call, che hanno permesso agli alti dirigenti di ricevere dei salari favolosi”, spiega il professore di economia all’università Losanna.

Questo sistema in Svizzera ha creato non solo un malcontento popolare, ma anche “una grande tensione tra l’industria indigena da una parte e le grandi banche e le multinazionali d’esportazione dall’altra”, rileva Tobias Straumann, docente di storia economica alle università di Zurigo, Lucerna e Basilea.

Il modello tradizionale dell’imprenditoria elvetica è fondato sulla responsabilità sociale. Il padronato indigeno “ha il sentimento che l’élite delle grandi società approfitti della Svizzera, lavorandovi, vivendovi, guadagnandovi salari enormi, ma che non si interessi del Paese. E lo giudica inaccettabile”.

Secondo la classifica annuale stilata dal sindacato Travail.Suisse, nel 2012, il maggior divario salariale in Svizzera è stato registrato alla Roche, dove il Ceo Severin Schwan con 15,791 milioni di franchi ha guadagnato 261 volte più del dipendente meno pagato del gruppo farmaceutico basilese.

Al secondo posto la Nestlé, il cui Ceo Paul Bulcke ha guadagnato 12,608 milioni, pari a  238 volte lo stipendio più basso versato dal gigante alimentare.

Al terzo, l’ABB dove la rimunerazione di 10,158 milioni di franchi del Ceo Joe Hogan equivale a 225 volte quella del dipendente meno pagato.

Non è la ricchezza in sé che è contestata. “Se un imprenditore è molto ricco, ma la gente ha l’impressione che si occupa dell’azienda, dei suoi dipendenti e che è legato alla Svizzera, la sua ricchezza è considerata un diritto”, precisa l’esperto.

L’iniziativa promossa dal piccolo imprenditore Thomas Minder, approvata nella votazione popolare in marzo, rifletteva quella spaccatura. Non si tratta però di una messa in questione del principio del libero mercato, sottolineano i due specialisti.

“L’iniziativa Minder ha corretto una certa libertà che era senza fondamento: ha tolto agli alti dirigenti delle grandi società il potere di decidere i propri salari e lo ha restituito ai proprietari, che sono gli azionisti. Ciò permette al libero mercato di funzionare meglio, perché permette ai proprietari di sanzionare una cattiva prestazione e onorare una buona performance dei dirigenti. Ciò mira a riportare sistemi di rimunerazione più realistici, ma senza che lo Stato si immischi di questioni di compito del settore privato”, afferma Rafael Lalive.

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Cambiamento radicale delle regole del gioco

Si tratta di una differenza fondamentale rispetto all’iniziativa “1:12 – Per salari equi”, che imporrebbe un tetto massimo legale del divario salariale. Lo Stato dovrebbe controllarne il rispetto. Proprio per questo intervento dello Stato nell’economia privata, i due esperti ritengono che la proposta della Gioventù socialista non otterrà la maggioranza nella votazione del 24 novembre.

L’iniziativa “cambierebbe la regolazione dei salari, le regole dell’economia. E questo non è quello che vuole maggioranza degli svizzeri, che è piuttosto liberale in campo economico”, dice Tobias Straumann.

L’economia elvetica funziona bene, il tasso di disoccupazione è molto basso, non ci sono grossi problemi sociali. Perciò non vi sono i presupposti per un cambiamento di sistema.

“Benché anche in Svizzera negli ultimi vent’anni il divario salariale si sia ampliato, non è cresciuto moltissimo. Non è come negli Stati Uniti o in Gran Bretagna, dove le disuguaglianze sono aumentate enormemente, dove non solo i ricchi sono diventati ancor più ricchi e i poveri ancor più poveri, ma c’è un declino drammatico anche per il ceto medio”, rileva il docente universitario.

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Un tema che occuperà ancora la politica

“La pace sociale è ancora intatta in Svizzera. La gente non è in collera come negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. Perciò la ricetta dei giovani socialisti non otterrà una maggioranza. Sono però convinto che il tema dei salari non scomparirà dopo questa votazione. Resterà ancora per parecchio tempo al centro dei dibattiti politici”, prevede Straumann.

Secondo Rafael Lalive, “occorrerà attendere che l’iniziativa Minder sia applicata per tre o quattro anni, per sapere se basta per limitare l’esplosione dei salari. Se le rimunerazioni degli alti dirigenti non diminuiranno, penso che allora in Svizzera ci sarà una leggera maggioranza che sarà d’accordo di dare il potere allo Stato di limitare i salari. Adesso invece è troppo presto”.

Troppo presto anche per fare previsioni sulle sorti dell’iniziativa per il salario minimo legale, lanciata dai sindacati. Bisogna però distinguere la portata di questa misura rispetto al cambiamento radicale previsto dall’iniziativa “1:12”: infatti “i salari minimi sono applicati in molti paesi”, ricorda Lalive.

Anche nella stessa Svizzera, il principio del salario minimo legale è già stato adottato a livello cantonale dal Giura e Neuchâtel. Nei cantoni di Vaud e Ginevra, invece, l’elettorato lo ha rifiutato. Una sorta di risultato di parità – 2 a 2 – che sembrerebbe far presagire una battaglia serrata tra fautori e oppositori a livello federale. Il condizionale è però d’obbligo, poiché tutti i quattro test alle urne si sono finora svolti nella regione francofona del Paese.

L’iniziativa popolare “contro le retribuzioni abusive”, promossa dal piccolo imprenditore Thomas Minder, è stata approvata il 3 marzo 2013 con il sì di quasi il 68% dei votanti e di tutti i cantoni. Essa stabilisce in particolare che l’assemblea generale degli azionisti vota annualmente l’importo delle retribuzioni del consiglio di amministrazione, dell’organo consultivo e della direzione delle società quotate alla Borsa svizzera. Vieta in modo assoluto indennità di partenza e retribuzioni anticipate.

Sull’iniziativa “1:12 – Per salari equi”, lanciata dalla Gioventù socialista, l’elettorato elvetico vota il 24 novembre 2013. Prevede che in ogni azienda il salario più elevato può superare al massimo di dodici volte quello più basso. Il salario è inteso come “la somma delle prestazioni (denaro e valore delle prestazioni in natura o servizi) corrisposte” dall’impresa.

L’iniziativa “Per la protezione di salari equi”, lanciata dall’Unione sindacale svizzera, è ancora al vaglio del parlamento. Chiede l’introduzione di un salario minimo legale di 22 franchi all’ora, che corrisponderebbe a circa 4’000 franchi al mese. Questo importo dovrà essere adeguato periodicamente all’evoluzione dei salari e dei prezzi.

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