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“Il 2020 non è stato un anno a tinte solo fosche”

Ariane Rustichelli spiega
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Sono molti quelli che vogliono lasciarsi alle spalle questo funesto 2020, sperando in un 2021 migliore. A colloquio con swissinfo.ch, la direttrice dell'Organizzazione degli svizzeri all'estero Ariane Rustichelli spiega che le rivendicazioni della Quinta Svizzera godono di maggior sostegno in parlamento. Intervista.

swissinfo.ch: La pandemia ci ha regalato un anno difficile. Per l’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE) l’annus horribilis è già iniziato alla fine del 2019 con la mancata rielezione del suo vicepresidente Filippo Lombardi al Consiglio degli Stati. Quali conseguenze ha avuto per l’OSE la non rielezione del senatore ticinese?

Ariane Rustichelli: È difficile dirlo. A causa della Covid-19 i lobbisti non hanno più potuto accedere a Palazzo federale. Per Filippo Lombardi, ora nostro lobbista a Berna, è stata una situazione anomala che lo ha obbligato a contattare i parlamentari, che lui conosce molto bene, tramite posta elettronica o telefonicamente. E la sua attività di lobbying è stata molto proficua. Quindi non è stato un anno solo a tinte fosche per noi. Ci ha dato la possibilità di rinnovare la nostra pagina web.

“La Svizzera è un Paese piccolo, non fa parte dell’Unione europea, non ha stretto alleanze e ha quindi bisogno degli svizzeri all’estero.”

Inoltre, durante la pandemia l’opinione pubblica ha prestato maggiore attenzione ai temi cari alle svizzere e agli svizzeri all’estero. Ci si è occupati anche della questione del voto elettronico. 

La Confederazione ha annunciato poco prima di Natale di voler tentare un “restart” per quanto riguarda l’e-voting. Una decisione sorprendente?

Questa decisione non è giunta a sorpresa. La Cancelleria federale ha sempre espresso la volontà di sostenere il voto elettronico. Ci rallegriamo del fatto che ora la Confederazione voglia attuare proprio ciò che il Consiglio degli svizzeri all’estero aveva chiesto in una risoluzione del 2019.

In Svizzera, le preoccupazioni per quanto riguarda i costi e la sicurezza hanno bloccato il voto elettronico. Quali insegnamenti si possono trarre da questa débâcle?

La lezione più importante: la Confederazione deve prendere in mano la situazione. Non può limitarsi a coordinare il progetto: deve gestirlo e finanziarlo. L’e-voting è talmente complesso che solo la Confederazione è in grado di coordinarlo. Certo, si potrebbe obiettare che i diritti politici sono organizzati a livello cantonale. Ma è una questione risolvibile, proprio alla luce delle esperienze passate. Nel 2003, si sono svolti i primi test, nel 2015 c’erano tre sistemi. Adesso siamo tornati alla casella di partenza e nessuno sa con precisione quanti soldi sono stati spesi finora. È un disastro. Troppi attori sono stati coinvolti e gli obiettivi non chiaramente definiti. Alla fine, in un processo qualcuno deve avere l’autorità di decidere.

Ora che si vuole rilanciare questo progetto, quali sono le aspettative dell’OSE?

È previsto di ridurre il numero degli elettori che parteciperanno ai prossimi test di voto elettronico. Noi ci aspettiamo che almeno il 30% di questi elettori appartengano alla Quinta Svizzera. Speriamo pure che altri Cantoni vogliano parteciparvi. L’obbiettivo deve essere quello d poter mettere a disposizione l’e-voting di tutti i cittadini per le prossime elezioni federali del 2023.

Per alcuni, è un progetto vecchissimo destinato a un gruppo limitato di persone. Riesce a mettersi nei panni dei contrari?

La Quinta Svizzera sarebbe sicuramente molto contenta di poter fare capo a un sistema di voto elettronico. Ma non è certo l’unica. Il desiderio degli svizzeri all’estero è impellente e molto forte. Ma la pandemia ha evidenziato la fragilità del sistema classico di voto. Inoltre, se la Svizzera intende mobilitare i giovani, deve proporre loro una possibilità affinché possano votare online.

E lo scetticismo e i dubbi riguardanti la sicurezza verranno cancellati con un colpo di spugna?

Naturalmente no. Rimarranno. Ma siamo i primi a dire che gli svizzeri all’estero sono aperti a qualsiasi forma di voto che permetta loro di esercitare i loro diritti politici. Il postulatoCollegamento esterno volto a rafforzare le possibilità di partecipazione democratica degli svizzeri all’estero è un passo nella giusta direzione. Ma non è una soluzione.

L’OSE è stata coinvolta nell’elaborazione di questo postulato?

No. Ci sono nuovi giovani parlamentari che di propria iniziativa difendono gli interessi degli svizzeri all’estero. Ciò significa che la nostra attività di lobbying ha gettato una base solida su cui ora è possibile costruire. È possibile farsi valere nella sala dei passi perduti anche senza essere presenti, anche se Filippo Lombardi è quasi imbattibile in questo tipo di esercizio.

Il parlamento è quindi più sensibile nei confronti delle rivendicazioni degli svizzeri all’estero?

Sì. Ho la sensazione che molti parlamentari abbiano riconosciuto l’importanza di dare la possibilità di esercitare i diritti politici ai quasi 200mila cittadini svizzeri all’estero. È una tendenza favorita anche dalle recenti votazioni vinte per una manciata di voti, per esempio quella relativa al credito per l’acquisto di nuovi aerei da combattimento o l’elezione dei membri ticinesi del Consiglio degli Stati. Molti parlamentari si sono resi conto che il voto degli svizzeri all’estero può fare la differenza.

“Abbiamo messo l’accento soprattutto sui bisogni degli svizzeri all’estero”, sottolinea Ariane Rustichelli presentando il nuovo sito web dell’Organizzazione degli svizzeri all’estero (OSE). La piattaforma sarà lanciata a breve. All’indirizzo web swisscommunity.org si trova una panoramica di tutte le offerte dell’OSE: la rivista ‘Schweizer Revue’, le informazioni dell’OSE e le notizie pubblicate sulla vecchia pagina swisscommunity.org. La struttura è stata semplificata, si ha subito una visione d’insieme. Con il nuovo layout, i temi sono presentati in modo ben strutturato.

Nella rubrica ‘community’ è stata creata una nuova offerta con l’intento di coinvolgere maggiormente le associazioni degli svizzeri all’estero. In questa sezione hanno la possibilità di gestire il proprio sito, magari anche ispirandosi ad altri club. Inoltre, è previsto di favorire il dialogo tra generazioni all’interno delle community. “Siamo partiti da un approccio bottom up, ossia dal basso verso l’alto, abbandonando quindi la logica istituzionale. Tutto ciò per rispondere adeguatamente ai bisogni dei nostri utenti, le svizzere e gli svizzeri all’estero”.

È un’arma a doppio taglio. Cosa sarebbe successo se il voto degli svizzeri all’estero avesse spostato l’ago della bilancia verso il no nella votazione per l’acquisto degli aerei da combattimento? Qualcuno si potrebbe chiedere se la Quinta Svizzera ha voce in capitolo su questioni di politica interna visto che paga le imposte all’estero.

Prima di tutto, bisogna ricordare che non ci sono cifre complete sul voto degli svizzeri all’estero. Fintanto che solo pochi Cantoni registrano separatamente i voti dei loro cittadini all’estero, rimaniamo nel campo delle supposizioni. Sarebbe quindi importante disporre finalmente di dati precisi da tutti i Cantoni. Non sarebbe interessante solo per noi, ma anche per la nostra democrazia.

Ciò non metterebbe però a tacere chi non vede di buon occhio l’interferenza su questioni nazionali di chi vive all’estero…

Fa parte della democrazia. In Svizzera abbiamo definito questo diritto civile. Certo, ci si può chiedere se sia giustificato concedere il diritto di voto a chi, da trent’anni, vive fuori dai confini nazionali. Anche qui basta dare un’occhiata alle cifre. Degli 800mila svizzere e svizzeri all’estero, circa 180mila esercitano i loro diritti politici come votanti iscritti nel catalogo elettorale di un comune svizzero. Molti non vogliono quindi più partecipare al dibattito politico in Svizzera.

Votare quattro volte all’anno è una responsabilità, ci vuole tempo e bisogna prepararsi. Per questo motivo, di solito sono soprattutto i cittadini che trascorrono un breve periodo all’estero ad essere attivi politicamente in patria. Inoltre, la partecipazione al voto degli svizzeri all’estero evidenzia che molti sono piuttosto restii ad esprimersi su questioni che li interessano marginalmente.

Il voto sull’iniziativa per la limitazione ha suscitato invece l’interesse degli svizzeri all’estero. L’OSE è scesa apertamente in campo contro questo oggetto. Alla fine, il risultato scaturito dalle urne è stato netto. Quello dell’OSE è stato un impegno inutile?

No, la lotta aveva anche una componente simbolica. Era essenziale sottolineare l’importanza della libera circolazione delle persone per gli svizzeri all’estero. Inoltre, in politica non bisogna mai dare per scontata una vittoria. Bisogna lottare fino all’ultimo secondo. Fa parte del gioco.

Anche il problema dell’iniziativa a favore di una moratoria sul voto elettronico si è risolto da sé: la raccolta firme non è riuscita. Un bel colpo di fortuna per l’OSE.

Sì. È un regalo. Il fallimento non ci obbliga così a dare battaglia. Probabilmente il tema centrale del dibattito non sarebbe stato la moratoria sull’e-voting, bensì il diritto di voto degli svizzeri all’estero. Era questa la nostra preoccupazione maggiore.

Il dibattito sui diritti politici è probabilmente solo posticipato, non crede?

Sì, è così. Ma un simile dibattito è l’espressione di un’opinione molto unilaterale e negativa sugli svizzeri all’estero. Invece, la questione potrebbe essere considerata da un altro punto di vista: la Svizzera è un Paese piccolo, non fa parte dell’Unione europea, non ha stretto alleanze e ha quindi bisogno degli svizzeri all’estero. Sono utili per allacciare contatti nel mondo. La diaspora ha un valore incredibile per il Paese. L’ambasciata svizzera a Singapore è stata edificata sul terreno del club degli svizzeri all’estero. È un’immagine che dice più di mille parole.

È un’immagine che ricorda però che i tempi stanno cambiando. Le associazioni degli svizzeri all’estero hanno difficoltà a ringiovanire le loro fila, i suoi membri stanno invecchiando. Quanto è grande il problema?

È un fenomeno normale, con cui è confrontato ogni sistema di milizia. Ci vuole tempo per impegnarsi per una comunità e le persone anziane di tempo ne hanno. Dodici anni fa, quando sono entrata a far parte dell’OSE, il presidente d’allora mi disse: “Da quarant’anni si afferma che le associazioni degli svizzeri all’estero stanno morendo”. E poi, i giovani e gli anziani hanno interessi diversi. I social media hanno però apportato una ventata nuova e danno la possibilità di allacciare contatti tramite internet. Questa evoluzione ha però anche allargato il divario tra generazioni. Nonostante i nuovi media di comunicazione, incontrarsi di persona è importante. La pandemia ce lo ha ricordato.

E proprio nel 2020 è stato impossibile organizzare questi incontri. Tutti i congressi e gli eventi dell’OSE e delle associazioni degli svizzeri all’estero sono stati annullati. Cos’è andato perso?

“L’e-voting è talmente complesso che solo la Confederazione è in grado di coordinarlo.”

Di sicuro lo scambio informale. Ma abbiamo vinto anche molto: i nostri membri sono stati obbligati a cimentarsi maggiormente con le nuove tecnologie. Ciò ci permette di incontrarci più spesso tra membri dell’OSE e di ridurre la durata delle sedute.

Ciò potrebbe favorire una democratizzazione del Consiglio degli svizzeri all’estero? In futuro si prevede di dare la possibilità ai membri di partecipare a distanza alle sessioni del consiglio?

Certo. Si può diventare membri del Consiglio dell’OSE senza doversi sobbarcare l’onere finanziario e di tempo che la carica attualmente comporta.

Nel 2021 è previsto il rinnovo del Consiglio dell’OSE. Il voto avverrà in forma digitale?

È sempre stata nostra intenzione permettere il voto online. Nel 2017, quando c’era ancora l’e-voting, abbiamo svolto dei test in Australia e in Messico. Adesso il sistema di voto elettronico non c’è più. Quindi non sappiamo come andare avanti. Stando alle nostre informazioni, la Posta intende testare un nuovo sistema nel terzo trimestre del prossimo anno. Per l’elezione del Consiglio dell’OSE questa opportunità arriva purtroppo in ritardo.

Ciò significa che per quanto riguarda l’e-voting non s’è scritta la parola fine. Ci può fornire qualche dettaglio in più?

Beh, l’evoluzione è buona, migliore che in passato. È un buon segno e ci rende felici il fatto che la Posta stia sviluppando un nuovo sistema. Inoltre, i segnali che ci giungono dal parlamento sono positivi.

“Se la Svizzera intende mobilitare i giovani, deve proporre loro una possibilità affinché possano votare online.”

In Svizzera, negli ultimi tempi nessuno a parte l’OSE si è schierato a favore del voto elettronico. Giusto?

Sì, è così ed è normale che sia così. È il nostro ruolo. Ma anche i Cantoni, la Confederazione e molti altri ancora saranno felici quando sarà possibile votare online.

La lotta per il voto elettronico non è una sorta di raison d’être per l’OSE?

No, il nostro compito è essere al servizio degli svizzeri all’estero. L’e-voting fa parte del nostro lavoro perché permette agli svizzeri all’estero di far sentire la propria voce. Vivono all’estero, si sentono svizzeri, guardano al loro Paese da un’ottica internazionale. Sono stranieri anche nel luogo di residenza. Secondo noi, anche la Svizzera può approfittare del fatto che la loro voce viene udita in patria.

Quasi 8 svizzeri su 10 per l’e-voting

Tra la popolazione svizzera il voto online attualmente ha il vento in poppa. In un sondaggioCollegamento esterno sui servizi numerici dello Stato, realizzato dalla società di consulenza Deloitte, il 78% degli intervistati si è detto favorevole al voto elettronico. Per la precisione, il 43% lo approva “vivamente” e il 35% è piuttosto favorevole. Solo l’8% “non lo approva affatto” e il 14% è piuttosto contrario. L’indagine demoscopica è stata condotta su un campione rappresentativo di 1500 persone tra i 16 e i 64 anni, residenti in Svizzera. I risultati sono stati pubblicati il 28 dicembre.


Traduzione dal tedesco: Luca Beti

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