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«Il cinema svizzero deve ritrovare la sua originalità»

Per Renato Berta, il cinema svizzero non deve imitare Hollywood ma coltivare la propria specificità swissinfo.ch

Le Giornate del cinema di Soletta dedicano una retrospettiva al cameraman ticinese Renato Berta, da 40 anni «l'occhio del regista» di realizzatori di tutto il mondo.

In un’intervista a swissinfo, Berta ripercorre i momenti principali della sua carriera, senza risparmiare il suo sguardo assai critico sulla cinematografia elvetica.

Lavorando a fianco dei registi che hanno segnato l’inizio del nuovo cinema svizzero, Renato Berta ha lasciato un’impronta indelebile nella produzione elvetica.

Grazie alla sua capacità di sfruttare la luce e al marcato senso per l’inquadratura, il cameraman ticinese, 61 anni, ha inoltre collaborato con cineasti del calibro internazionale, quali Jean-Luc Godard, Manoel de Oliveira o Amos Gitai.

swissinfo: Come è nata la passione per il cinema e quali sono stati i primi passi della sua carriera?

Renato Berta: Il mio interesse è nato al Festival internazionale del film di Locarno, nella prima metà degli anni ’60, quando abbiamo costituito la prima giuria di giovani. A Bellinzona, nel canton Ticino, abbiamo poi fondato un cine club.

Ricordo che, all’epoca, l’incontro con persone che avevano realizzato un film con le loro mani rappresentava per me una situazione da mito: pensavo infatti che la fabbricazione delle immagini appartenesse all’universo del sogno.

Al Centro sperimentale di cinematografia di Roma ho poi avuto modo di avvicinare i cineasti italiani, tra cui Fellini, Visconti, Pasolini e Antonioni. Quando ho iniziato a girare film, nel 1968, ho avuto la fortuna di inserirmi nei primi lavori di Alain Tanner, Francis Reusser e Claude Goretta. In seguito c’è stata un’evoluzione «a palla di neve» e le collaborazioni si sono moltiplicate.

swissinfo: Quali sono stati gli incontri che hanno segnato maggiormente la sua carriera?

R. B.: Quando si fa del cinema, sono gli incontri che contano. Essenziale è saperli cogliere e sfruttare. Ho presente in particolare l’incontro a Locarno con il regista brasiliano Glauber Rocha: era la prima volta che mi confrontavo con un cineasta. È lui che mi ha consigliato di seguire una scuola di cinema.

Un momento indimenticabile è inoltre stato il lavoro effettuato a Roma con Pasolini, con il quale ci siamo trovati per alcuni giorni per analizzare un film di John Ford. Anche con Alain Resnais, Louis Malle o Jean-Luc Godard ho trascorso grandi momenti della mia vita.

swissinfo: Parlando del suo lavoro lei si è definito «l’occhio del regista». Ci spieghi meglio…

R. B.: È una definizione un po’ generalista, nel senso che ci sono dei registi che hanno bisogno di visualizzare il loro film. Sono «l’occhio del regista» siccome l’operatore è il primo spettatore.

Non mi piace l’espressione «direttore della fotografia» perché il cinema non è solo fotografia, ma anche inquadratura e tempo dell’inquadratura.

swissinfo: Lei ha collaborato con numerosi registi. Quanto è difficile adattare il proprio lavoro a stili diversi?

R. B.: L’operatore è la seconda persona dopo il regista, per cui i rapporti tra i due sono estremamente importanti. Quando ad esempio senti che il regista è pronto a girare la scena, non devi farti trovare impreparato.

Ad ogni modo, la cosa più difficile in un film è trovare la propria coerenza. Alla mia equipe proibisco di parlare del lavoro precedente o successivo, in quanto il film che stiamo realizzando ha le sue caratteristiche, la sua coerenza. Per questo, ogni volta che lavoro con un nuovo regista ho l’impressione di realizzare il mio primo film.

swissinfo: Soletta le dedica quest’anno una retrospettiva, per la quale lei ha selezionato 14 film. Qual è l’immagine di Renato Berta che intende presentare?

R. B.: Ho scelto i film che ritengo i pilastri della mia carriera, tralasciando quelli che bene o male si conoscono già in Svizzera.

Scegliendo 14 registi diversi voglio evidenziare che non mi piace rifare le stesse immagini. Il mio lavoro è dettato più dalla sceneggiatura e dal rapporto con il regista, che dalla maturità professionale.

swissinfo: Lei abita da parecchi anni lontano dalle mura di casa, a Parigi. Quale sguardo porta sul cinema svizzero?

R. B.: Sebbene non conosca molto bene i film svizzeri, ho qualcosa da ridire sulla politica del cinema elvetico: manca di creatività.

Non capisco la politica di Berna che mette a disposizione soldi per organizzare riunioni e serate di gala. Lasciamo fare queste cose a Cannes o a Venezia e investiamo maggiormente nella produzione cinematografica.

La Svizzera, così come il resto dell’Europa, può sopravvivere soltanto se possiede un’originalità propria. Bisogna concentrarsi sulla specificità e non tentare di imitare i film americani.

swissinfo: Nel 2006, il cinema elvetico ha vissuto un anno estremamente positivo, non solo in Svizzera ma anche all’estero. Secondo lei, quali sono le caratteristiche delle pellicole svizzere che piacciono oltre frontiera?

R. B.: Ancora una volta, i film che hanno avuto successo sono quelli che presentano una certa originalità. Se ci si interrogasse maggiormente su questo tema, il cinema elvetico risulterebbe molto più forte. I film che ho realizzato, come ad esempio «La salamandre», hanno avuto successo perché hanno parlato di una realtà di casa nostra.

swissinfo, Luigi Jorio, Soletta

Giornate di Soletta 2007: dal 22 al 28 gennaio.
Circa 300 le pellicole presentate.
La retrospettiva Renato Berta comprende 14 film.

Renato Berta è nato a Bellinzona, nel canton Ticino, nel 1945.

Dopo aver scoperto il mondo del cinema al Festival del film di Locarno, frequenta il Centro sperimentale di cinematografia di Roma dal 1965 al 1967.

L’inizio della sua carriera di cameraman è legato al nuovo cinema svizzero: Berta collabora con personaggi noti quali Alain Tanner, Daniel Schmid o Claude Goretta.

Dal suo primo film uscito nel 1969 («Charles mort ou vif») all’ultimo lavoro nel 2006 («Quei loro incontri»), l’operatore ticinese ha partecipato ad un centinaio di realizzazioni.

Nel 1988 ha vinto il César del Cinema francese per «Au revoir les enfants».

Renato Berta non è l’unico cineoperatore attivo all’estero. Carlo Varini, suo assistente, ha lavorato con il francese Luc Besson, con il quale a realizzato il film culto sull’apnea «Il grande blu» (1988).

Il basilese Martin Fuhrer (Gran Bretagna) ha partecipato al film d’avventura «Lord of the flies» del 1963 e alla produzione hollywoodiana «Omen IV» (1991).

Negli USA, lo zurighese Ueli Steiger ha invece contribuito alla realizzazione di «Godzilla» (1998) e di «The day after tomorrow» (2004).

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