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“Il Sol dell’avvenire” non oscura la storia

Una scena del film Il sol dell'avvenire: a Cavriago ( Reggio Emilia,) il busto di Lenin troneggia sempre sulla piazza del paese

Presentato in anteprima al Festival di Locarno, il film ripercorre la nascita delle Brigate Rosse (BR) e le origini della lotta armata in Italia. Preceduto da polemiche politiche prima della proiezione, in sala è stato molto applaudito.

Prima che scorrano i titoli di coda, sullo schermo sfilano alcune fotografie delle vittime barbaramente uccise dalle Brigate Rosse.

Ma appena poco prima di portare alla memoria frammenti dolorosi del passato, il presente si congeda con un’immagine forte, carica di disperazione e umanità: Tonino Loris Paroli (ex BR) si copre il volto e scoppia in lacrime, mentre termina il racconto di un episodio in carcere.

Un pentito, sfinito dalle torture appena subite, riceve un messaggio da altri brigatisti irriducibili che lo vogliono incontrare. L’appuntamento è in realtà una resa dei conti. Morirà strangolato pronunciando queste ultime parole: “… ma fate in fretta”.

Con la voce rotta dal pianto, Tonino si chiede come è possibile uccidere un uomo che è appena stato torturato. Lui, ex operaio metalmeccanico che come brigatista non ha mai sparato un colpo, riconosce gli errori della lotta armata ma non si è mai dissociato dalle BR.

La “scandalosa” normalità

Il documentario di Giovanni Fasanella e Gianfranco Pannone, che non indaga direttamente gli attentati terroristici commessi dalle BR, è stato lungamente applaudito al termine della proiezione. Preceduto da forti polemiche in Italia – il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi ha parlato di “un film che offende la memoria delle vittime del terrorismo” – è comunque destinato a fare discutere ancora.

Perché porta sullo schermo una ferita non del tutto rimarginata, perché invita anche la sinistra italiana a guardare in casa propria, perché è il primo film ad affrontare il tema tuttora scottante delle radici politico-ideologiche del terrorismo di sinistra in Italia, perché privilegia la dimensione umana dei protagonisti e la normalità della loro vita attuale.

“La cosa che dà più fastidio e che è destinata a fare scandalo – ci spiegano infatti Gianfranco Pannone e Giovanni Fasanella, che hanno incontrato un piccolo gruppo di giornalisti poco prima della proiezione del film – è la normalità dei protagonisti, il fatto che parlino delle loro azioni davanti a un piatto di tortellini, che uno di loro coltivi l’orto. Non è stato semplice neppure per i protagonisti parlare a ruota libera davanti alla macchina da presa, nello stesso ristorante dove si erano riuniti per decidere se passare alla lotta armata”.

La storia, quarant’anni dopo

Interamente girato a Reggio Emilia, nei luoghi storici delle cooperative rosse, tra strade ancora oggi intitolate alla rivoluzione d’ottobre e il busto di Lenin che troneggia perfettamente lustrato sulla piazza di Cavriago, il film inizia con una sorta di ricognizione della memoria, attraverso luoghi e volti, che si succedono in sequenza.

Procede poi dall’incontro di tre ex militanti delle BR, un dirigente del Partito democratico (PD) e un sindacalista in un ristorante sulle colline emiliane, a quarant’ anni dalle riunioni che diedero vita alle Brigate Rosse. Seduti intorno ad una tavola imbandita, mentre assaporano cappelletti e altre pietanze emiliane, Franceschini, Paroli e Ognibene (i tre ex brigatisti tornati alla vita normale dopo una lunga detenzione nelle prigioni di mezza Italia), insieme a Paolo Rozzi e Annibale Viappiani, ricostruiscono quegli anni emblematici e il motivo delle loro scelte politiche, in aperto dissenso con la linea ufficiale del Partito comunista italiano (PCI).

Proprio a Reggio Emilia nel ’69, alcuni giovani militanti comunisti abbandonarono infatti il PCI per dar vita all'”Appartamento” insieme ad altri coetanei di provenienza anarchica, socialista, cattolica. Dall’ “Appartamento, una comune sessantottina in cui si coltivavano sogni e ideali rivoluzionari, uscirà il gruppo più agguerrito delle future BR: Alberto Franceschini, Tonino Loris Paroli, Prospero Gallinari, Roberto Ognibene, Lauro Azzolini.

Il cinema e la libertà di espressione

Giovanni Fasanella e Gianfranco Pannone sapevano sin dall’inizio che molti avrebbero avuto e avranno da ridire sul film, soprattutto per la presenza dei testimoni. E ad arrabbiarsi saranno soprattutto coloro che hanno sempre tenuto un atteggiamento omertoso sulla nascita delle BR e coloro che ritengono che un ex-terrorista non possa parlare. Dimenticando che la storia non solo è fatta di episodi e tragedie, ma anche di testimonianze.

Incontrando i giornalisti in una saletta al primo piano di un albergo che si affaccia su Piazza Grande, Gianfranco Pannone e Giovanni Fasanella hanno comunque voluto replicare alle accuse del ministro Bondi. “Sono indignato e offeso” tuona Fasanella, che aggiunge: “La dichiarazione di Bondi è ridicola, è una cialtronata”.

Il giornalista ha passato metà della sua vita a difendersi dalle Brigate Rosse e a combatterle. “L’altra metà – ricorda – l’ho trascorsa cercando la verità sugli anni di piombo attraverso i libri e indagando a 360° per ricostruire le storie e i punti di vista delle vittime e dei loro famigliari”.

“Un paese sano – sottolinea Gianfranco Pannone – è un paese in grado di fare i conti con la propria storia. Ebbene l’Italia non è un paese sano. Vedere inoltre nel cinema politico un nemico, è un ostacolo alla libertà di espressione. I film nascono anche per provocare dibattiti e discussioni. Le idee devono poter scorrere, per questo il cinema italiano deve ritrovare il proprio coraggio. L’interferenza della politica nel cinema deve finire, a prescindere dal fatto che al governo ci sia la destra o la sinistra”.

swissinfo, Françoise Gehring, Locarno

Il film è tratto dal libro di Alberto Franceschini e Giovanni Fasanella “Che cosa sono le BR. Le Radici, la Nascita, la Storia, il Presente”.

Attraverso rievocazioni a tratti anche drammatiche, Alberto Franceschini (detto Franz) Tonino Loris Paroli e Roberto Ognibene insieme a Paolo Rozzi e Annibale Viappiani (che non aderirono alle Brigate rosse) ripercorrono quarant’anni dopo una sorta di viaggio a ritroso, alla ricerca delle motivazioni più profonde delle rispettive scelte.

Il film propone anche la testimonianza di Corrado Corghi, ex dirigente della Democrazia Cristiana ed esponente del cattolicesimo del dissenso, e Adelmo Cervi, figlio di Aldo, uno dei sette fratelli comunisti trucidati dai nazifascisti nel ’43.

“Il Sol dell’avvenire” è un film che offende la memoria delle vittime del terrorismo. Parola di Sandro Bondi, ministro italiano dei Beni Culturali. In una nota ufficiale Bondi parla di “un senso di amarezza e di sconcerto per una ricostruzione che dà voce esclusivamente ai protagonisti di un’ideologia criminale che tante sofferenze ha provocato a tante famiglie, senza che dalle loro testimonianze emerga un solo segno di pentimento o almeno di consapevolezza critica delle proprie responsabilità”.

In seguito all’attacco del ministro Sandro Bondi, gli autori de “Il Sol dell’avvenire” hanno raccolto numerose attestazioni di solidarietà, prima fra tutte quella di un grande del cinema italiano: Ettore Scola. Ma anche dal regista e sceneggiatore Vittorio De Seta, dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (ANAC), dal movimento “100 autori”, dall’associazione dei documentaristi italiani.

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