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“La Libia rischia la frammentazione territoriale”

Un oppositore al regime riposa dopo una notte di combattimenti nei pressi di Ajabiyah, 21 marzo 2011. Reuters

A tre giorni dall’intervento da parte della coalizione nella rivolta libica, si moltiplicano gli interrogativi sul futuro del paese nordafricano. Per l’esperto di Medio Oriente Riccardo Bocco, la caduta del regime di Gheddafi potrebbe innescare una vera guerra civile e causare la divisione del paese.

L’operazione Alba dell’Odissea lanciata dalla coalizione internazionale potrebbe magari trasformarsi in un tramonto per la Libia.

Dopo le proteste di piazza iniziate un mese fa nelle città di Bengasi e al Baida, l’intervento militare delle forze occidentali rischia di modificare i fragili meccanismi di uno Stato che in realtà non è tale e di spaccare la Libia in tre province, spiega a swissinfo.ch Riccardo Bocco, professore presso l’Istituto di alti studi internazionali di Ginevra.

In gioco ci sono petrolio, interessi economici e la salvaguardia del proprio scranno da parte di Berlusconi e Sarkozy.

swissinfo.ch : Quali nuovi scenari si aprono sulla Libia con l’intervento della coalizione internazionale?

Riccardo Bocco: Fare delle ipotesi sul futuro del paese nordafricano è più che azzardato. Inizialmente, mi ero illuso che questa azione militare potesse offrire a Gheddafi la possibilità di uscire di scena in maniera onorevole.

Invece, il rais ha chiarito subito che non ha nessuna intenzione di farsi da parte e che vuole continuare la sua guerra. E il tempo potrebbe diventare un suo prezioso alleato. Potrà servirsi delle vittime civili causate dagli attacchi aerei della coalizione per la sua propaganda e sfruttare anche una divisione all’interno della Lega Araba.

Più dei bombardamenti, sarebbe efficace il controllo sui proventi derivati dalla vendita del petrolio, mettendo così a secco Gheddafi. Ma per attuare questa misura ci vorrebbe una volontà politica che l’Occidente non ha.

Rimane inoltre irrisolto un punto interrogativo: la questione delle armi chimiche di cui dispone. Per il momento non le ha usate, ma che cosa succederà se decidesse di farlo?

swissinfo.ch: La coalizione internazionale si è lanciata dunque in quest’avventura senza una vera strategia e senza conoscerne gli esiti.

R.B.: Già, proprio così. E non è la prima volta che una coalizione internazionale agisce senza avere un piano b. Ma ora non è chiaro nemmeno il piano a. La Francia di Sarkozy ha riconosciuto il consiglio di Bengasi. Ma chi è l’opposizione? Con chi abbiamo a che fare? Dei 31 membri, soltanto di 11 si conoscono i nomi.

Per il momento in Libia non c’è una coalizione nazionale che può essere definita tale. Ci sono gli insorti che hanno formato il Comitato nazionale di transizione, insediatosi a Bengasi. Ma a Tripoli chi è con loro e chi è contro il regime? La caduta di Muammar Gheddafi potrebbe innescare una vera guerra civile in Libia. Il rischio di una frammentazione territoriale, sociale e politica è più che reale.

swissinfo.ch: Negli altri paesi arabi in cui si è assistito al crollo del regime non c’è stata però una disgregazione dello Stato. Come mai la Libia corre questo pericolo?

R.B.: Effettivamente, con la caduta di Mubarak l’Egitto non è scomparso, con la fuga di Ben Ali la Tunisia non è crollata, ma per la Libia, invece, il discorso è diverso. Se Gheddafi se ne va, tutto potrebbe essere messo in discussione e si potrebbero innescare dei moti di rivendicazione territoriale per l’appropriazione delle risorse petrolifere.

Il rischio che ci sia una frammentazione territoriale in Libia con la creazione di tre province principali, Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, è in parte frutto di un secolo e mezzo di storia e della fragile costruzione dello Stato.

Il progetto politico del colonnello libico, nato dopo la rivoluzione del ’69 e sfociato nel libro verde, era di creare uno Stato con un “non Stato”. Questa visione di un “non Stato” va collocata nella sua dimensione storica, in cui il periodo della colonizzazione italiana ha  un ruolo chiave. Infatti, il controllo della Libia da parte degli italiani esclude e marginalizza la popolazione locale, mantenendone così le strutture tribali e impedendo la creazione di un vero e proprio Stato. In Tunisia, invece, i francesi coinvolgono i locali e ciò ha degli effetti di detribalizzazione [perdita progressiva dei caratteri tribali originali ndr.] della società.

Quando Gheddafi va al potere nel 1969, mantiene inoltre le rivalità tribali all’interno del paese, che si riflettono anche nell’esercito, nei confronti del quale prova una forte diffidenza. Lo lascia debole, per non essere minacciato e crea invece delle brigate, dei corpi speciali capitanati dai figli, da fedeli alleati o da lui stesso, che ora gli salvaguardano il potere. È un’altra situazione di frammentazione, che rispecchia la fragilità del sistema libico.

Questa frammentazione a vari livelli, anche nell’esercito, è un segno ulteriore della fragilità della costruzione dello stato da parte di Gheddafi, che ha la sua logica nella sua storia e nella relazione tra la società libica con lo stato stesso.

swissinfo.ch: Qual è la vera posta in gioco in Libia?

R.B.: La posta in gioco è il controllo delle risorse petrolifere. Un’alleanza maggiore tra la Cirenaica e l’Egitto potrebbe garantire una maggiore autonomia al Cairo. Il petrolio libico interessa naturalmente a tutta la regione. Un cambio al potere in Libia aprirebbe inoltre nuovi  e interessanti scenari economici per gli Stati del Maghreb.

C’è inoltre la questione dell’immigrazione, di cui in Europa si parla soltanto come minaccia. Se la Libia sarà in grado di ricostituire un mercato del lavoro, non solo per i paesi arabi, ma anche per una parte degli africani che attraversano il Sahara, farà automaticamente da tampone. Ciò eviterà all’Europa di dover adottare delle misure repressive contro le persone che vogliono raggiungere il vecchio continente in cerca di lavoro.

Non dimentichiamo poi, per esempio, che l’Italia e la Francia hanno bisogno del petrolio libico. Senza trascurare tutto l’indotto dei vari contratti firmati negli ultimi due anni da parte delle imprese italiane. Grazie a questo intervento militare, Berlusconi e Sarkozy stanno cercando di tirare acqua al loro mulino per salvare la loro fragile posizione politica interna.

Riassumendo: l’esito della questione libica può rivelarsi fruttuosa o catastrofica per i Berlusconi e Sarkozy.

Il vento di protesta che soffia sui paesi musulmani del Nordafrica ha raggiunto a metà febbraio anche la Libia. Cronologia di una rivolta.

15-22 febbraio: nelle città di Bengasi e al Baida, nel nord-est del paese, la popolazione scende in piazza per protestare contro il regime di Gheddafi. La polizia spara sui manifestanti; le vittime sarebbero oltre 200.

22-24 febbraio: i ribelli prendono il controllo di diverse città, dalla frontiera con l’Egitto fino ad Ajdabiya. L’Onu parla di un migliaio di morti.

27-28 febbraio: l’Onu, gli Stati Uniti e l’Ue adottano una serie di sanzioni contro la Libia (blocco degli averi del clan Gheddafi e embargo sulle armi). A Bengasi i ribelli formano il Consiglio nazionale transitorio.

1° marzo: l’Onu lancia l’allarme umanitario; oltre 100’000 persone sono in fuga dalla Libia.

2-6 marzo: il regime di Gheddafi lancia una controffensiva, bombardando le città controllate dagli insorti. La Lega libica dei diritti umani parla di 6’000 morti. La Corte penale internazionale apre un’inchiesta per crimini contro l’umanità.

7-11 marzo: le forze di Gheddafi riconquistano Ras Lanuf, Ajdabiya e Zawiya, l’unico bastione ribelle a ovest di Tripoli.  L’Ue rafforza le sanzioni contro Tripoli.

17 marzo: il Consiglio di sicurezza dell’ONU adotta la risoluzione 1973 che prevede l’imposizione di una “no-fly zone” sui cieli libici e autorizza “tutte le misure necessarie” per assicurare la protezione dei civili.

19 marzo: scatta l’operazione “Odissey Dawn”. Le forze della coalizione, guidata da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, bombardano la Libia.

21 marzo: durante la notte da lunedì a martedì, la coalizione internazionale concentra i bombardamenti su basi navali e aeroporti militari. Viene presa di mira anche la residenza del colonnello Gheddafi. A tre giorni dall’inizio dell’intervento militare occidentale, la Cina e la Russia chiedono l’immediato cessate il fuoco e l’avvivo di trattative.

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