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“Lavorare meno per lavorare tutti!”

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A metà degli anni '90 lo slogan fece il giro d'Europa, insieme all'omonimo libro del sociologo francese Guy Aznar. L'idea era semplice: se la disoccupazione cresce, ridistribuiamo il lavoro disponibile.

Divenuta cavallo di battaglia di molti settori della sinistra europea in un’epoca di bassa congiuntura e forte disoccupazione, l’idea ha trovato un sua prima realizzazione concreta in Francia, dove dal giugno 1998 è in vigore una legge che sancisce la settimana lavorativa di 35 ore.

Gli effetti a lungo termine della legge francese, la cui entrata in vigore è scaglionata nel tempo e che punta sulla negoziazione settore per settore, sono ancora difficili da valutare. Ma essa ha fornito un importante punto di riferimento a livello europeo. Così nella primavera del 1998 l’Unione sindacale svizzera (USS) ha lanciato l’iniziativa popolare “per una durata ridotta del lavoro”, che persegue un obiettivo analogo.

Una settimana media lavorativa di 36 ore

L’iniziativa, consegnata nel novembre del 1999 alla cancelleria federale, chiede l’introduzione progressiva, per tutti i lavoratori, di un tetto massimo di 1872 ore lavorative annuali. Ciò corrisponde ad una settimana lavorativa media di 36 ore.

La riduzione delle ore di lavoro non andrebbe a scapito dei salari medio-bassi. La busta paga rimarrebbe invariata per tutti i lavoratori che percepiscono meno di una volta e mezzo la media dei salari versati in Svizzera, vale a dire meno di 7600 franchi mensili, stando ai calcoli del Consiglio federale.

L’iniziativa prevede pure la diminuzione delle ore straordinarie annuali consentite, da 170 a 100. D’altro canto, tenendo conto delle particolari esigenze di alcuni settori, fissa un massimo di 48 ore lavorative a settimana. Il testo sancisce inoltre il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale.

In Svizzera si lavora molto

Nata come risposta alla perdita di posti di lavoro durante la fase di stagnazione dell’economia negli anni Novanta, l’iniziativa mira prima di tutto a combattere la disoccupazione. Secondo i promotori, la riduzione dell’orario di lavoro potrebbe creare o salvaguardare 250’000 posti di lavoro.

Ma sono anche altri gli aspetti che i fautori dell’iniziativa mettono in rilievo.

Con una media di 42 ore settimanali, fa notare l’USS, la Svizzera è dopo l’Inghilterra il paese europeo in cui si lavora più a lungo. Nel 1998 la media in Germania era di 40,1 ore, in Francia di 39,7 e in Italia di 38,5.

La diminuzione dell’ore di lavoro, oltre a rovesciare questa classifica, permetterebbe una ridistribuzione più equa delle attività remunerate e non remunerate fra uomini e donne, permettendo agli uni e alle altre di dedicare tempo sia alla vita familiare, sia a quella professionale.

Inoltre, affermano i fautori dell’iniziativa, lavorare meno significherebbe migliorare la qualità della vita. Gli effetti della riduzione, sarebbero assorbiti senza problemi dall’aumento della produttività, per cui anche i salari più elevati potrebbero essere garantiti.

Ma la disoccupazione non è più d’attualità

Da parte degli avversari dell’iniziativa, si fa valere innanzitutto il fatto che il problema della disoccupazione non è più urgente e che anzi una diminuzione dell’orario di lavoro potrebbe acuire la carenza di personale qualificato.

Sarebbe inoltre più indicato – dice chi è contrario alla proposta dei sindacati – regolamentare l’orario di lavoro attraverso la contrattazione tra le parti sociali. La soluzione proposta dall’iniziativa sarebbe oltretutto troppo rigida, non contemplando alcuna eccezione.

Terzo argomento, quello finanziario: la riduzione dell’orario lavorativo costerebbe troppo alle aziende. Facendo salire i costi orari del lavoro, finirebbe per fomentare il lavoro nero.

Critiche anche da sinistra. Alcuni settori sindacali ritengono che fissare un tempo di lavoro annuale aprirebbe la porta ad un’ancora maggiore flessibilizzazione del tempo di lavoro, a scapito dei lavoratori.

Il Consiglio federale si è espresso contro l’iniziativa, senza proporre un controprogetto. Alla posizione del governo si sono allineate le due camere del parlamento: il Consiglio degli stati ha bocciato l’iniziativa dell’USS con 35 voti contro 4, il Nazionale con 93 contro 50. Hanno votato a favore socialisti e verdi, mentre all’iniziativa si è opposto in maniera compatta il fronte borghese.

Andrea Tognina

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