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I produttori di formaggio tornano alle origini

Christian Simmen (a destra), direttore della cooperativa Sennerei Nufenen, sottolinea l'importanza di valorizzare i prodotti della regione e di sensibilizzare maggiormente la popolazione. Sennerei Nufenen / Nadja Simmen

Alcuni dei caratteristici formaggi svizzeri potrebbero sparire dai supermercati esteri, secondo diversi esperti. Tra le cause vi sono i prodotti "falsi" e la mancanza di un'identità di marchio ben definita. Alcuni casari però hanno trovato il segreto del successo proprio dietro l'angolo di casa.

In una recente edizione della rivista agricola svizzera Der Landfreund, diversi esperti di marketing hanno lanciato l’allarme: alcuni tra i tradizionali formaggi svizzeri, come Emmentaler, Tilsiter e Sbrinz, potrebbero sparire dai mercati esteri se non riusciranno a differenziarsi dalla concorrenza e a contrastare la tendenza negativa delle esportazioni.

In seguito alla crisi economica del 2008, in molti paesi – tra cui Germania, Francia e Italia, principali mercati d’esportazione svizzera – i consumatori hanno iniziato a prestare più attenzione al borsellino e i prodotti svizzeri faticano a tenere il passo.

Prendiamo l’esempio dell’Emmentaler. Secondo Konrad Heusser, che gestisce la società Mundig, attiva nell’esportazione di formaggio svizzero, i produttori elvetici hanno scelto di esportare prevalentemente formaggio giovane, “di soli quattro mesi”, facendosi così travolgere dalla concorrenza. «Quando il formaggio è così giovane, non c’è una gran differenza di sapore ed è quindi solo una questione di prezzo».

Oggi all’estero vi sono innumerevoli prodotti simili all’Emmentaler o al Gruyère venduti con il marchio “formaggio svizzero”, alcuni dei quali prodotti dal gigante elvetico Emmi.

Nello Stato americano del Wisconsin, ad esempio, un Gruyère locale viene venduto a due terzi del prezzo di quello svizzero. Una lotta impari che si riflette anche sulle statistiche delle esportazioni.

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In che modo un casaro svizzero può competere con produttori internazionali che vendono formaggi simili a prezzi più vantaggiosi? Bisogna attirare i clienti esigenti, risponde Philippe Bobin, produttore del formaggio a pasta molle Brie de Meaux, che prende il nome dalla cittadina francese di Meaux, ad est di Parigi.

Philippe Bobin e i suoi colleghi produttori di Brie de Meaux hanno creato un’associazione per valorizzare questo formaggio e le tradizioni ad esso legate.

Wikimedia Commons

«In Francia ci sono ancora piccoli produttori che difendono la loro identità ed è questo a fare la differenza», fa notare Philippe Bobin. «La Svizzera invece parla di “formaggio svizzero”. È una semplificazione eccessiva e una minaccia per le identità locali».

La ricetta segreta dell’Appenzeller

«I francesi dimostrano un incredibile sciovinismo riguardo al formaggio», afferma con un sorriso Konrad Heusser. Il direttore della Mundig sottolinea come i francesi mangino prevalentemente formaggio nazionale e per questo i produttori si concentrano soprattutto sul mercato interno.

Secondo Heusser, la Svizzera potrebbe ispirarsi ai paesi vicini per valorizzare meglio i suoi formaggi.

I produttori di Appenzeller, un formaggio a pasta semi-dura tipico del nord-est della Svizzera, stanno cercando di rafforzare l’identità del marchio e di sottolinearne l’unicità attraverso slogan che parlano di una “ricetta segreta” e del “formaggio più saporito della svizzera”. Una campagna mediatica che punta a conquistare principalmente il mercato tedesco, ma i cui risultati si fanno ancora attendere.

Altri sviluppi

La guerra del parmigiano

Nella vicina Italia, gli esportatori di Parmigiano Reggiano puntano sull’aspetto locale della catena di produzione come argomento di vendita. Con un mercato del formaggio saturo e in un contesto di  crisi economica, i produttori hanno lavorato sodo negli ultimi anni per far crescere le esportazioni. E di recente ce l’hanno fatta.

Ma come per i formaggi svizzeri, anche per il Parmigiano Reggiano la battaglia più grande è quella contro i cosiddetti prodotti “generici” o “falsi”.

«La questione dei formaggi “generici” è seria. Ma abbiamo constatato che le leggi adottate per proteggere i marchi funzionano bene», spiega Igino Morini del Consorzio Parmigiano Reggiano. Nel 2008, ad esempio, la Corte di giustizia europea aveva stabilito che il formaggio venduto in Germania col nome “parmesan” violava le norme comunitarie. «Solo i prodotti recanti la denominazione d’origine protetta (Dop) “Parmigiano Reggiano” possono essere messi in commercio con la denominazione “parmesan”», avevano precisato i giudici.

Più lontano però, la protezione del marchio si è dimostrata più difficile da garantire. Negli Stati Uniti, “parmesan” è considerato un termine generico, malgrado gli sforzi legali portati avanti dal Consorzio Parmigiano Reggiano. E la situazione non è molto diversa in Cina, dove i consumatori non abituati ai prodotti caseari comprano soprattutto in base al prezzo e finiscono con un comune formaggio parmigiano proveniente dalla Nuova Zelanda invece del vero Reggiano.

Più regionale e variato

Poiché fuori dall’Europa la battaglia legale sul marchio Dop non sarà facile da vincere, i produttori di Parmigiano Reggiano devono giocare la carta della sensibilizzazione, afferma Morini. Si tratta, ad esempio, di spiegare ai consumatori i punti di forza del parmigiano, attraverso campagne o eventi organizzati nei punti vendita.

Su scala molto più piccola, anche Christian Simmen – direttore della cooperativa di casari Sennerei Nufenen, nel canton Grigioni – sottolinea l’importanza di una corretta sensibilizzazione dei consumatori.

Fino a dieci anni fa, la sua cooperativa produceva formaggio all’ingrosso per il mercato svizzero, in collaborazione con la Emmi e altri distributori. Poi un giorno i contadini hanno deciso di produrre la propria gamma di formaggio, con il marchio Via Lama, destinata prevalentemente all’esportazione. Oggi, il 60% del formaggio prodotto dalla cooperativa è distribuito in modo autonomo, mentre il 40% è venduto dalla Emmi.

«Abbiamo iniziato in modo modesto, con un prodotto di nicchia», spiega Simmen. «Abbiamo prodotti biologici della regione. Per commercializzare il prodotto puntiamo sul fatto che tutto il latte utilizzato proviene dalla regione alpina. Le nostre esportazioni sono cresciute, poco a poco, anno dopo anno».

Heusser ha notato che diversi produttori in Svizzera stanno ormai adottando strategie simili. Pur continuando a vendere porzioni importanti di formaggio ai grandi distributori, molti contadini scelgono di esportare o vendere direttamente i loro formaggi.

«Lavoriamo con un casaro che produce Appenzeller e un prodotto simile, ma stagionato più a lungo. Si vende estremamente bene, soprattutto negli Stati Uniti. Non riusciamo a star dietro alla domanda».

Heusser si dice cautamente ottimista sul futuro del mercato del formaggio svizzero. Il lieve aumento delle esportazioni registrato nel 2012 è stato attribuito al fatto che i prodotti artigianali e di nicchia stanno lentamente trovando la loro strada.

E i produttori di marchi più in difficoltà, come l’Emmentaler, stanno cercando di recuperare terreno. Dal 1° luglio 2013 sono in vigore nuove norme di controllo per i produttori di Emmentaler, con l’obiettivo di rendere il formaggio più esclusivo. Sul fronte del marketing, invece, si sta cercando di avvicinare i giovani al formaggio coi buchi, attraverso la partecipazione ad eventi sportivi.

Ma non è forse troppo tardi per salvare un marchio che per decenni è stato il pilastro dell’esportazione svizzera di formaggio? Dalla Francia giunge un po’ di incoraggiamento.

«Credo che non si mai troppo tardi», rammenta Bobin. «Bisogna puntare su argomenti come l’origine del latte, il luogo in cui è stato prodotto il formaggio, il tipo di montagna. Bisogna lavorare su fattori stagionali, spiegare come sono fatti gli animali, cosa distingue un prodotto dall’altro. Insomma bisogna sapere comunicare tutto ciò».

(Traduzione dall’inglese, Stefania Summermatter)

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