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Aiuto allo sviluppo? “Solo un complotto occidentale”

La preghiera del venerdì in una moschea di Osh, in Kirghizstan swissinfo.ch

Il vuoto ideologico creatosi dopo il collasso dell'Unione sovietica ha fomentato la crescita del radicalismo islamico in tutta l'Asia centrale.

Per frenarla, i governi del Kirghizstan, Uzbekistan e Tagikistan, hanno optato per la repressione. Incontro con un gruppo islamico fuori legge.

In Kirghizstan sono stati vietati alcuni gruppi islamici segreti e radicali. Tra questi pure Hizb-ut-Tahrir al-Islami (il Partito di Liberazione Islamica) che chiede la creazione di uno Stato islamico.

Fonti statali kirghize ci riferiscono che il gruppo rappresenta una minaccia diretta alla stabilità e la sicurezza della regione.

“Non vogliamo fondamentalisti nella nostra regione”, scandisce Djoomart Otorbaev, ministro del governo kirghizo. “Vogliamo che la gente possa vivere nella maniera che ritiene più opportuna e l’approccio a volte aggressivo di Hizb-ut-Tahrir non è ben accetto”.

Il governo ha così risposto arrestando alcuni membri del gruppo e tenendo sotto sorveglianza gli attivisti tramite i servizi segreti.

Il gruppo è oggetto di una pesante repressione anche nel vicino Uzbekistan, dove si crede ci siano circa seimila “prigionieri religiosi”.

Le ritorsioni

Le azioni disciplinari hanno spinto osservatori internazionali come l’International Crisis Group (ICG) a mettere in guardia contro potenziali ritorsioni.

“La repressione dei suoi membri o di persone a loro associate ha radicalizzato il movimento”, sostiene l’associazione di Bruxelles in un recente rapporto. Usare la mano pesante nella repressione potrebbe, dice il rapporto, “seminare un estremismo ancora peggiore nella regione”.

Anche se gli osservatori stranieri rimangono divisi a proposito dell’influenza di Hizb-ut-Tahrir, il gruppo sembra godere di ampio supporto, specialmente nella regione della Ferghana Valley.

Ci siamo recati in una moschea nelle vicinanze della città di Osh per parlare con Aiup Valiev, uno dei membri più importanti del gruppo messo fuori legge. “Tutto il mondo ci opprime, non solamente il nostro governo”, esordisce il leader.

“Ora l’America controlla il mondo, ma non durerà a lungo. Sarà solo per un breve periodo… vedrete”.

Presenza americana

E Valiev dice anche che la missione dei musulmani “è far sì che l’Europa e l’America credano nell’Islam”.

Gli esperti avvertono che, nella regione, il potere di attrazione dell’Islam cresce parallelamente alla povertà e all’alienazione, particolarmente fra i giovani.

“Fornisce ai giovani un senso e un credo strutturato in un’epoca di cambiamenti sociali difficili e confusi”, dice il rapporto dell’ICG.

Ad aggiungere tensione, la presenza di una base delle forza aerea americana appena fuori Bishkek, la capitale. Aperta originariamente nel 2001 per lanciare operazioni militari in Afghanistan, la base si è gradualmente ampliata.

All’aeroporto principale di Bishkek notiamo almeno sei aerei militari e un jumbo jet della Evergreen International Airlines, una compagnia aerea specializzata in logistica, e storicamente legata alla CIA.

Anche se le forze statunitensi sono attive nella regione su base “temporanea” dalla metà degli anni Novanta, cresce il sospetto che la loro presenza stia diventando permanente.

“Cosa succederebbe se un altro Paese invadesse il vostro”, ci chiede uno dei membri di Hizb-ut-Tahrir, “Come vi sentireste? Noi proviamo gli stessi sentimenti”.

L’ideologia della giungla

Tra alcune fasce della popolazione si è dunque instaurato il dubbio riguardo ai motivi della presenza di stranieri nella regione.

Anche se il governo elvetico e le ONG investono milioni di franchi in Kirghizstan in aiuti umanitari, i fondamentalisti come Valiev credono che il denaro faccia parte di un complotto occidentale per sfruttare la regione.

“Voi volete renderci schiavi con i vostri investimenti”, dice Valiev. “La vostra è l’ideologia della giungla”.

Secondo Valiev, le esperienze degli ultimi dieci anni hanno solo rinforzato questa impressione. La maggior parte delle industrie del Kirghizstan sarebbero state svendute agli stranieri, spesso a prezzi stracciati.

E quasi tutti i giorni dozzine di camion carichi di metallo di recupero kirghizo attraversano i passi di montagna verso la Cina, sulle antiche vie della seta.

Aiup Valiev ritiene che, così facendo, gli stessi camionisti contribuiscono attivamente all’erosione della ricchezza del Paese.

Schegge violente

Questi punti di vista hanno allarmato i governi dell’Asia centrale, che osservano attentamente i gruppi islamici per scorgere i primi segni di una volontà di cambiare marcia, magari pure decidendo di passare all’azione violenta.

Alex Sukhov, un giornalista indipendente di Osh, spiega che membri rinnegati del Hizb-ut-Tahrir hanno formato recentemente un gruppo separato. “Dicono che questo gruppo agirà in modo più radicale”, dice Sukhov. “E certamente se questa scheggia usasse la forza, come semplice cittadino sarei molto preoccupato.”

E’ evidente che molti kirghizi, educati nel sistema secolare sovietico, non vedono con favore il radicalismo islamico.

Sono tuttavia in molti a temere che, con la crescente repressione dei governi, spesso attuata con la tacita approvazione dell’occidente, l’Asia centrale possa diventare un altro calderone per il radicalismo islamico.

swissinfo, Jacob Greber, Philippe Kropf, Osh
(traduzione: swissinfo, Raffaella Rossello)

Hizb-ut-Tahrir (Partito di Liberazione Islamica) chiede la creazione incruenta di uno stato islamico;
Si presume che, nell’intera Asia centrale, disponga di circa 20 mila membri.

Il gruppo fu fondato all’inizio degli anni ’50 da gruppi palestinesi in Giordania.

Conosciuto un po’ in tutto il Medio Oriente, Hizb-ut-Tahrir è diventato attivo in Asia centrale dalla metà degli anni ’90.

Il Kirghizstan ha messo al bando il gruppo, mentre in Uzbekistan la repressione è ancor più dura: i suoi membri sono spesso presi di mira e incarcerati dalle forze di sicurezza.

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