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Alla fondazione Gianadda un pittore da rivalutare

Sion, 1928. Gianadda

Edouard Vallet, vissuto a cavallo fra otto e novecento, si inserisce a pieno titolo nella linea nobile della pittura elvetica di Hodler, Segantini e Giovanni Giacometti.

La fondazione Gianadda di Martigny espone le opere di questo artista, forse meno radicale dei suoi predecessori, ma dotato di un’uguale potenza plastica nelle statuarie figure umane e nei paesaggi.

Dopo la pubblicazione del catalogo ragionato dell’opera pittorica (presso l’editore Cramer di Ginevra) una grande retrospettiva alla Fondation Gianadda di Martigny propone la riscoperta di Edouard Vallet (1876-1929), artista ginevrino innamorato del Vallese.

“A me piace pronunciarlo con una dentale alle fine, come se si scrivesse Vallette”: il curatore della mostra di Martigny parte da questa vezzosa provocazione. A pronunciarlo senza la fatidica “t”, Edouard Vallet resta infatti prigioniero, in francese, di una facile rima: “Vallet-Valais”. Una rima che diventa un’etichetta, quella di un pittore (che pure in vita ebbe onori e gloria) monocorde e monomaniaco, innamorato della rude vita vallesana, delle feste in costume o delle balle di fieno.

Jacques Dominique Roullier – dopo aver curato, insieme a Bernard Wyder il ponderoso catalogo ragionato della pittura – presenta questa mostra con intenti molto chiari, rivalutare Vallet.

Un trentennio di creazioni

L’ammirazione per Ferdinand Hodler, l’illustre antenato, è uno dei tratti fondamentali di un’opera che si estende su un trentennio, assai compatta nello stile, ma estremamente vivace tecnicamente.

Uno dei grandi meriti della mostra alla Fondation Gianadda è di mostrarci fino a che punto Vallet fu versatile e geniale dal profilo tecnico: dagli schizzi a matita alle acqueforti, dagli acquarelli su cartone ai grandi oli su tela, il pittore dà prova di un talento spesso affatturante. Si veda, a fine esposizione, un magnifico “Arbre dans la falaise” ad inchiostro e matita, del 1927, che ha la stessa umile meraviglia di un disegno di Shitao.

Una gioventù movimentata

L’incisione è certo uno degli elementi federatori dell’opera vallettiana, “si potrebbe dire che Vallet incide i dipinti e dipinge le incisioni”, afferma Rouiller, ed è in effetti il primo amore e la prima formazione di un artista precoce, ma in gioventù un po’ discolo (la sua biografia adolescenziale è costellata di fughe, resipiscenze, balzi in avanti).

Le sue stampe – da collegarsi intimamente, per l’enorme fluidità di temi e immagini, con il resto della produzione – sono di grande modernità, con la doppia tendenza alla durezza delle linee e alla raffinatezza del chiaroscuro (in particolare con l’uso molto accorto della puntasecca). Mostrano inoltre una grande precisione, un artista “che amava il lavoro fatto bene, col perfezionismo dell’artigiano che sa usare i suoi strumenti di lavoro”.

Nei grandi oli che edificano l’universo monumentale di Edouard Vallet, a questa concentrazione di forme si arriva invece a tappe. Fino al 1906, Vallet appare un degno seguace di Corot, ma il suo realismo non è mai banale o pedissequo e una tavolozza di colori tendenzialmente chiari trova il suo contraltare in qualche atmosfera più romantica (“La veillée” del 1906). Il tema del giardino – molto presente soprattutto a partire da inizio secolo – lo spinge anche verso tratti vagamente nabis o a raccogliere qualche fugace suggestione da Cuno Amiet.

Ma dal 1906 in poi, il suo stile si afferma con decisione: la frontalità delle inquadrature (evidente e potente anche negli autoritratti), la natura e gli uomini massicci e vigorosi, i colori che vanno ormai dal verde scuro al marrone, come nel dittico “Le matin à la montagne” e “La montagne en hiver” (1912), in cui la stessa incombente massa di roccia è figurata in un grigioblù metallico oppure striata di neve e castano-bruno.

Uno stilista coerente e cocciuto

Vallet diventa allora un compositore di partiture visive, esercitando quello che il curatore definisce un “nomadismo dell’immagine” (che consiste nello spostamento di figure od oggetti, da un quadro all’altro, da un contesto all’altro), talvolta dichiaratamente geometrico (“Enterrrement” del 1919), altrove estremamente attento al dettaglio che teatralizza panorami altrimenti piatti (si vedano le piccole macchie di colore sulla distesa verde acida di un prato arioso in “Le village”, 1921).

Guardando i quadri dell’ultimo periodo – Vallet, lui stesso statuario, muore cinquantenne minato da una salute molto fragile – si sospetta che una tendenza più “liquida” e misticheggiante avrebbe potuto arricchire la stoffa di questa pittura un poco perentoria (“La montagne rouge” del 1923 o le segantiniane “Valaisannes endormies” del 1928). Ma la mostra di Martigny ci offre comunque l’esempio di uno stilista coerente e cocciuto, quasi sospeso nel tempo, che ha la forza solenne e rocciosa di un vallese tutt’altro che bucolico.

swissinfo, Pierre Lepori

Edouard Vallet nasce a Ginevra il 12 gennaio 1876; dopo una gioventù burrascosa frequenta i corsi d’incisione di Alfred Martin all’école des Beaux-Arts.

Grande ammiratore di Hodler, pittore molto noto dai contemporanei – che ha il privilegio di poter vivere della propria arte già ad inizio secolo – Vallet si appassiona alla vita paesana e al panorama pietroso del Vallese e i suoi temi ricorrenti (giardini, lavori paesani, ritratti di gente semplice) saranno sempre attinti a questa ispirazione “etnografica”.

Muore il 1° maggio 1929 a Onex (Ginevra) all’età di 53 anni.

La mostra Edouard Vallet è aperta alla Fondation Gianadda di Martigny dal 17 novembre 2006 al 4 marzo 2007 e propone un catalogo di 263 pagine, composto di numerose testimonianze e studi biografici, curato da Jacques Dominique Rouiller (commissario dell’esposizione).

Un primo catalogo ragionato delle stampe di Vallet venne pubblicato già nel 1917 dall’editore Graber di Basilea.

Un catalogo ragionato dell’opera pittorica è edito nel 2006 dall’editore Patrick Cramer di Ginevra, a cura di Bernard Wyder e Jacques Dominique Rouillier (conta 640 pagine e 900 illustrazioni).

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