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Apprensione e solidarietà per Daniele Mastrogiacomo

Il giornalista Daniele Mastrogiacomo, da 27 anni al sevizio del quotidano la Repubblica Keystone

La vicenda del giornalista italo-svizzero - sequestrato nei giorni scorsi in Afghanistan da guerriglieri Taleban che lo accusano di spionaggio – ha sollevato un movimento di solidarietà in Italia.

Il Dipartimento federale degli esteri si tiene in stretto contatto con le autorità italiane per valutare le possibilità di intervento in favore di Mastrogiacomo, la cui madre è vodese.

Pochissimi, anche tra i colleghi di redazione al quotidiano la Repubblica, per la quale Mastrogiacomo lavora dal 1980, sapevano della sua doppia cittadinanza, italiana e svizzera. Logico. Per chi lo conosce, Daniele Mastrogiacomo, il giornalista sequestrato in Afghanistan, si considera soprattutto un “cittadino del mondo”.

Ma inizialmente la storia del doppio passaporto ha creato equivoci e soprattutto qualche preoccupazione alla Farnesina, il ministero italiano degli esteri. Nelle prime ore della sua scomparsa si era infatti diffusa la notizia di una seconda carta di identità, ma inglese, ipotesi forse suggerita dal fatto che il reporter di “Repubblica” è nato in Pakistan, a Karachi.

Circostanza che deve aver ancor più inquietato i funzionari della “cellula di crisi”: le truppe britanniche sono fortemente impegnate su diversi fronti militari della regione, e i terroristi lo sanno.

False accuse

Equivoco presto chiarito. Mastrogiacomo è anche svizzero, per parte di madre. Me lo conferma il fratello Alessandro, raggiunto telefonicamente a Gaeta, cittadina sul litorale partenopeo.

“Il nonno materno era svizzero. Partito dal Canton Vaud, approdato a Milano, impiegato nell’industria della cioccolata. È dunque a lui e a nostra madre che dobbiamo il mantenimento della cittadinanza elvetica”.

Una parte della famiglia sta a Roma (dove abitano la madre, la moglie e i due figli del giornalista) e Milano. “Ma alcuni parenti vivono ancora in Svizzera, a Lugano”. Non sono comunque momenti in cui soffermarsi troppo su questi aspetti. Preme l’ansia per la sorte di Daniele.

“Mi aveva chiamato prima della partenza. L’Afghanistan è un paese che lui conosce bene, come del resto l’Iraq, dove tre anni fa era sfuggito a un tentativo di sequestro”.

Cerca le ragioni per essere fiducioso Alessandro Mastrogiacomo, proprietario di un albergo sulla costa. “Se l’è sempre cavata egregiamente, anche nelle situazioni più difficili, quindi ho la speranza che grazie alla sua esperienza ne possa uscire bene anche stavolta”.

Lo risento qualche ora dopo, ed è lui a chiamarmi. L’inquietudine è aumentata. Da poco le agenzie hanno battuto la notizia di una rivendicazione registrata su nastro e attribuita al leader talebano Dadullah: “Il nostro prigioniero ha confessato di essere una spia”, dice la voce.

Varie ipotesi

Nell’ultimo suo contatto con l’Italia, domenica sera, da Kandahar, l’inviato di “Repubblica” aveva fatto capire di aver preso un’iniziativa non priva di rischi: “Domani dovrei avere un incontro importante, sarà una bella giornata”, aveva detto nel collegamento con Radio Capital.

Un chiaro riferimento ai contatti che Daniele aveva avuto con esponenti della guerriglia talebana e all’organizzazione di un’intervista con uno dei suoi leader.

Il mattino dopo ha lasciato l’Hotel Continental di Kandahar, accompagnato da interprete ed autista. Sulla strada verso Helmand, la trappola: due Toyota bloccano la loro auto, il giornalista e i suoi accompagnatori scompaiono.

Rapito, perché? A Roma prevalgono due ipotesi. Nella regione in cui è avvenuto il sequestro è in corso una robusta offensiva militare delle truppe della NATO contro le formazioni talebane, che con il sequestro avrebbero voluto inviare un messaggio ricattatorio.

Secondo un’altra tesi, negli ultimi giorni alcuni esponenti di primo piano della rivolta islamica sono caduti nelle mani della forza multinazionale. Non si esclude che il rapimento di Daniele Mastrogiacomo rientri in un piano dei Talebani per tentare uno scambio di prigionieri.

Due scenari, due ipotesi ugualmente inquietanti, anche se, nell’impossibilità di verifiche, le autorità italiane sono estremamente e giustamente prudenti.

Pressioni sul governo italiano?

Ma c’è un altro interrogativo che in queste ore preoccupa la classe politica della penisola. In effetti, il sequestro di Mastrogiacomo cade proprio nel momento in cui il parlamento di Roma è chiamato a votare sul rifinanziamento della missione militare dell’Italia in Afghanistan.

Missione contestata da alcuni esponenti della cosiddetta sinistra radicale all’interno della stessa maggioranza. Una spina nel fianco del governo Prodi, che sulla missione afghana potrebbe di nuovo ritrovarsi in Senato senza “maggioranza autonoma” (ottenuta cioè senza l’appoggio esterno dei senatori a vita, non eletti), eventualità che riaprirebbe immediatamente la prospettiva di una seconda e fatale crisi per la coalizione del “professore”.

La domanda è se, con il sequestro del giornalista, i Talebani non vogliano influenzare il voto parlamentare dando fiato allo schieramento pacifista che chiede l’immediato ritiro delle truppe italiane.

Intanto parte la mobilitazione. In Campidoglio l’Associazione romana della Stampa e il sindaco di Roma, Walter Veltroni, hanno organizzato una manifestazione per “la liberazione di Daniele”. Una gigantografia dell’inviato di Repubblica rimarrà sulla piazza del municipio capitolino fino alla soluzione del dramma. La stessa piazza in cui sono state esposte anche le gigantografie di altri sequestrati, come le due Simone o la giornalista Giuliana Sgrena, rapite in Iraq.

swissinfo, Aldo Sofia, Roma

Daniele Mastrogiacomo è nato a Karachi (Pakistan) nel 1954. Detiene il doppio passaporto italiano e svizzero (ereditato dalla madre).

Mastrogiacomo è un giornalista professionista da 27 anni e dal 1992 è inviato speciale del quotidiano “Repubblica”.

Dal 1990 al 1996 si è occupato in qualità di cronista giudiziario di vicende che hanno riempito i media come lo scandalo di “Mani pulite” o il processo a Priebke, ex capitano delle SS naziste.

Più di recente è stato inviato di guerra a Kabul, Teheran, Territori palestinesi, Bagdad e Mogadiscio. L’estate scorsa ha seguito il conflitto in Libano.

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