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65mila chilometri intorno al mondo in barca a vela

Un uomo in piedi di fianco a un veliero.
Patrick Michel e la sua amata barca a vela a Newport (Stati Uniti), l'8 giugno 2015. swissinfo.ch


Viaggi. Patrick Michel è salpato da Antigua nel febbraio del 2016. Il quarantenne di Ginevra ci racconta il suo straordinario periplo durato più di quattro anni e gli incontri che l’hanno segnato.

Patrick Michel è in piena fase di introspezione. 47 anni, ginevrino, non sa ancora se rientrerà in Svizzera per fondare la sua società o se isserà le vele per un secondo giro del mondo.

Il primo l’ha portato a termine nei pressi di Antigua, nel Mar dei Caraibi, a fine maggio. Ma cosa ha spinto questo informatico diplomato in filosofia e germanistica a lasciare di botto una multinazionale di Ginevra per lanciarsi nella vela?

«Dal 2000 al 2006 ho lavorato per Tetra Pak. Mi avevano detto che era un lavoro per la vita. Il gruppo non era quotato in borsa e non si avvertiva la pressione degli azionisti. Il tutto è andato avanti bene per circa tre anni. Poi sono iniziate le ristrutturazioni e i tagli ai costi. Ho lasciato l’azienda per diventare consulente esterno di Thomson Reuters. Il mio contratto veniva rinnovato ogni tre mesi, ma verso la fine l’ambiente si era deteriorato. Mi sentivo soltanto un numero. Questa mancanza di lealtà mi ha molto deluso. Durante le vacanze, mentre facevo lo skipper in Croazia, ho chiamato quelli del personale per rassegnare le dimissioni. È stato il momento più gioioso della mia vita», racconta via Skype dalla sua imbarcazione ancorata vicino all’isola siciliana di Vulcano.

Il colpo di fulmine

Appassionato fin da piccolo di barca a vela – grazie alle regolari uscite sul Lemano con il padre – il giorno dopo le dimissioni si impegna come skipper professionista in una ditta del settore. Passati cinque anni sente di voler cambiare vita. «In fondo dipendevo ancora da qualcun altro. Mi sono detto che avere la mia barca sarebbe stata una scelta di vita ideale», afferma. Il destino si dimostra clemente. Su Facebook scova per caso un annuncio che fa al caso suo.

Ostrika, un veliero di quasi 17 metri fabbricato nel 1994, è in vendita. Alcune settimane dopo, nell’aprile del 2015, va a Newport, nello stato del Rhode Island, per visionare quello che diventerà il suo alleato più fedele. «Me ne sono innamorato subito e ho deciso di acquistarlo. Ho svuotato il mio appartamento di Carouge, depositato le mie cose in un magazzino e dai miei genitori e portato alcune borse con me. Dopo tre mesi di impegno per ridare smalto a Ostrika, ero pronto a levare gli ormeggi e partire per le Antille. Da quelle isole ero fermamente intenzionato ad esaudire il mio sogno d’infanzia, fare il giro del mondo in barca a vela», racconta con un ampio sorriso dipinto sulle labbra. E aggiunge: «Vivere su una barca ti dà la libertà di viaggiare, di spostare la tua abitazione. Per me è questa l’avventura, il vero viaggio. Lo scopo non è la destinazione, ma il viaggio per arrivarci. E scoprire altre culture.»

La folle generosità dei polinesiani

Il periplo è iniziato il 2 febbraio 2016 ad Antigua. La rotta è proseguita verso il canale di Panama nel maggio 2016. Il navigatore ha viaggiato anche con la compagna incontrata ad Antigua o con i membri dell’equipaggio scelti sui siti Internet specializzati. La traversata del Pacifico è stata memorabile. Per lui si è trattato del primo nuovo oceano del periplo di 65’000 km.

«Durante il mio giro del mondo le nazioni bagnate dal Pacifico sono state quelle che mi hanno segnato maggiormente. Gli abitanti hanno un cuore d’oro con le persone come me, che arrivano su un veliero. Su ogni isola in cui siamo approdati la gente ci regalava frutta e verdura senza chiedere niente in cambio. Non ho mai visto persone tanto generose. Una volta ho chiesto a un polinesiano come mai ricevevamo così tanto in omaggio. Mi ha risposto che i loro antenati erano un popolo arrivato dal mare e loro, ora che hanno la possibilità di coltivare frutta e verdura sulla terra ferma, vogliono restituirne una parte a coloro che li raggiungono in questo modo. Questa tradizione è sopravvissuta fin nel XXI secolo», conferma Patrick Michel.

Al di là delle cose ricevute, l’avventuriero che dialoga a gesti quando la comunicazione non può avvenire né in francese né in inglese, è colpito dalla pratica del baratto ancora in uso in molte regioni. «È qualcosa di universale. Quando ci servivano prodotti freschi e non avevamo i soldi del posto alcuni abitanti hanno preferito scambiarli con prodotti di prima necessità, sapone, olio, zucchero o caffè, addirittura i nostri vestiti usati o del materiale da pesca. Per loro era più semplice darci un casco di banane o dei limoni piuttosto che dover andare su un’altra isola per cambiare i nostri dollari. Grazie al baratto abbiamo assicurato la nostra sussistenza per settimane», ci racconta.

Patrick Michel sul suo veliero
7 novembre 2016. Durante l’attraversata tra Tonga e la Nuova Zelanda, Patrick Michel scrive i dati marittimi sul diario di bordo. swissinfo.ch

Un’isola molto speciale

Il giro del mondo è impreziosito da immersioni sottomarine, in particolare nei fondali vulcanici di Raja Ampat, in Indonesia. In questa regione si trova la più grande varietà di coralli al mondo. Alcune centinaia di km a sud-est, una notte, l’equipaggio ha attraversato lo stretto di Torres. «L’acqua era di un blu elettrico. Il vento contro la marea sollevava il plancton fosforescente. Era uno spettacolo magico», rievoca.

Un altro ricordo indelebile: Palmerston Island, un isolotto pressoché deserto circa mille chilometri a ovest di Tahiti. Ci vivono una cinquantina di persone, discendenti dello stesso antenato che vi aveva messo piede nel 1863. «È un posto molto speciale, una specie di laboratorio sociale. Gli abitanti ci sono venuti incontro in barca. Noi poi li abbiamo seguiti durante una battuta di pesca e loro ci hanno procacciato il pranzo. Lo considerano una responsabilità nei confronti dei visitatori. E quando ne hanno avuto abbastanza ci hanno riportato al nostro veliero», racconta Patrick Michel.

L’avventura subisce alcune battute d’arresto per eseguire qualche lavoretto di bonifica ad alcune parti dell’imbarcazione. O tornare dalla famiglia in Svizzera durante l’inverno per evitare la stagione degli uragani. A parte una vela lacerata dal forte vento ad inizio 2016, Ostrika non ha avuto alcuna avaria importante. Il navigatore spiega di aver potuto fuggire le tempeste grazie ai sistemi di comunicazione moderni affidabili.

Tuttavia, la pandemia ha modificato la sua rotta. In marzo, invece di salpare per l’Italia, ha lasciato la Namibia in direzione delle Antille, via St. Elena, l’isola dell’ultimo esilio di Napoleone. «Ci siamo rimasti un mese, visto che non sapevamo dove andare, poiché le isole nazione stavano chiudendo i porti una dopo l’altra. Restavano soltanto le Isole Vergini americane che autorizzavano lo sbarco. A quel punto ho cambiato l’equipaggio per una traversata di circa 7500 km in direzione delle Antille. Al largo di Antigua, ho svegliato i compagni alle 7 del mattino. Era il momento di sciabolare lo champagne. Avevo appena realizzato il mio sogno», sorride. Un sogno finanziato grazie alla locazione di due appartamenti a Ginevra.

Dopo questo periplo, il cittadino svizzero come percepisce il suo Paese dall’estero? «Con gli anni trovo che ha perso il suo orgoglio, la sua originalità. Abbiamo capitolato nei confronti dell’Europa. Del resto, quando vado a Ginevra trovo ogni volta una città in piena trasformazione», deplora. Un secondo giro del mondo sembra più plausibile di un ritorno alle radici.

Traduzione dal francese: Lorena Mombelli

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