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Bologna nel cuore

Keystone

Negli ultimi anni è diventato un apprezzato commentatore televisivo per la Radiotelevisione svizzera. Ma l'ex attaccante del Bologna Kubilay Türkyilmaz è entrato nella storia del club felsineo grazie alle 83 presenze e alle 24 reti. Swissinfo.ch lo ha incontrato durante le celebrazioni del centenario del Bologna allo stadio Dall'Ara.

Siamo in fila – giornalisti, operatori video, fotografi – ad aspettare i 150 campioni che di lì a breve faranno la loro comparsa a duecento metri dallo stadio Dall’Ara, passando per un tunnel sotterraneo. Poi le stelle del calcio spariranno dentro alle numerose hall dello stadio.

Cerchiamo di richiamare i giocatori alla nostra attenzione. Arrivano Roberto Mancini, Giancarlo Marocchi, l’allenatore Alberto Zaccheroni, Fogli, Pascutti, Pavinato, Tumburus e molti altri. Tutti si chiedono dove sia Kuby: a Bologna lo chiamano così. Lui è arrivato con più di mezz’ora di anticipo rispetto all’appuntamento dell’Antistadio, la zona riservata ai giornalisti e agli addetti ai lavori. È andato per primo a toccare i ciuffi d’erba del «suo» stadio.

Lo incontriamo tra il primo e il secondo tempo della partita celebrativa, dopo la presentazione di tutti i giocatori della storia del Bologna e l’ovazione in curva Bulgarelli, laddove lo stadio non si esaurisce nella sua forma ovale racchiusa tra il Meloncello e via Andrea Costa. Kuby ha giocato venti minuti, mostrando ancora un fisico tonico e una buona tecnica.

swissinfo.ch: Ci parli del giocatore Kubilay Türkyilmaz.

Kubilay Türkyilmaz: Ero un ragazzino pieno di entusiasmo e fame agonistica. Mi piaceva lottare, conquistare ogni gioia con la fatica. Era un po’ il mio segreto. Ancora oggi, per ogni piccola conquista, lotto sempre.

E’ per questo che i tifosi bolognesi mi amano. Quando i supporter capiscono il giocatore, è perché amano il suo talento, ma riconoscono anche l’impegno agonistico e l’attaccamento alla maglia. Fin da piccolo dormivo con il pallone. Forse loro lo hanno capito.

swissinfo.ch: Come si è trovato a Bologna? Qual è il suo stato d’animo in un giorno così speciale e importante?

K.T.: Per me Bologna è una città bellissima. Qui mi sento a casa. Quando giocavo, non pativo lo stress. Ricordo che uscivo la sera senza problemi. Del resto il tifoso bolognese è passionale allo stadio, ma rispetta la tua vita fuori dal campo. Per me questo atteggiamento ha rappresentato una carica pazzesca.

Nel 2000 sono tornato a vivere a Bologna. Molti giocatori, quando hanno lasciato il calcio, sono ritornati qui, tra i quali c’è anche Beppe Signori.

Ora vivo a Bellinzona, ma ogni settimana mi faccio spedire i tortellini. Questo pomeriggio, quando sono arrivato, avevo un nodo alla gola già in autostrada. Poi ho percorso via Andrea Costa e mi sono ricordato di tutte le partite che ho giocato con questa maglia: la mia seconda pelle dopo quella della nazionale.

swissinfo.ch: Lei era un ragazzino prodigio quando giocava nel Bellinzona. Ci può raccontare la sua maturazione calcistica?

K.T.: Dopo aver militato nel vivaio della squadra del quartiere delle Semine, a 18 anni sono passato al Bellinzona.

Ho vestito la maglia del Bellinzona dal 1986 al 1989 e in 79 presenze ho segnato 46 reti. Sono passato poi al Servette, prima di approdare al Bologna.

Diciamo che in Svizzera sono cresciuto come calciatore perché spinto dalla mia grande passione e grinta. In questo senso è stata determinante la mia origine turca. Ho trovato la mia forza nella fusione di due mentalità completamente diverse, anche se spesso i turchi emigrati sognano una rivincita sociale.

Giocando nel Bellinzona e poi nel Servette, ho capito anche che l’intelligenza non serviva solo nei piedi.

swissinfo.ch: Cosa pensa degli investimenti della Federazione Svizzera di calcio e della «querelle» sulla doppia nazionalità?

K.T.: Penso che non sia giusto che un giocatore di doppia nazionalità, sul quale si è investito molto per la sua crescita sportiva inserendolo nelle compagini giovanili nazionali, lasci ad un certo punto la Svizzera per un’altra nazionale.

E’ un problema d’identità. È vero tuttavia che la questione è difficile sul nascere. Secondo me è comunque importante investire sulla multiculturalità, cercando di far capire ai giocatori il valore del rispetto. Nel mio caso il problema non si è posto pur avendo origini turche.

swissinfo.ch: Quando lei arrivò a Bologna, fu accolto con un po’ di scetticismo?

K.T.: Ero il primo svizzero di origini turche ad arrivare in Italia e a Bologna. Ci sono stati grandi nomi prima di me, arrivati in pompa magna e che poi hanno deluso. In quel periodo gli stranieri più in voga erano i brasiliani, gli argentini, i tedeschi.

I luoghi comuni ci sono ovunque. Io ero a metà del guado: ero stato accolto bene dai compagni e dalla società, ma ero circondato da una certa sfiducia. Mi ricordo che stupii i miei compagni quando dissi loro che parlavo quattro lingue.

Il mio chiodo fisso era giocare bene e segnare. Il primo anno al Bologna, nonostante avessi alle spalle un’ottima stagione, non riuscimmo a evitare la serie B. Per me fu una grande delusione e l’anno successivo, nella serie cadetta dove serviva più agonismo che talento, ho fatto molta fatica.

swissinfo.ch: Cos’è cambiato nel calcio secondo lei?

K.T.: Quando giocavo io, il calcio era ancora un divertimento. Poi negli ultimi quindici anni è diventato un business. Anche prima c’erano molti soldi, ma è lo spirito che è cambiato. Avevamo tutto, ma ci sentivamo come i ragazzi della curva che fanno fatica a fare l’abbonamento.

Quando giocavo male, pensavo sempre che dovevo fare di più. A Bologna ho lasciato i goal e i ricordi delle mie prestazioni, ma ci tenevo a essere ricordato anche come uomo.

swissinfo.ch: Di che cosa si occupa adesso?

K.T.: Faccio una vita semplice. Non sono rimasto nel mondo del calcio, se non quando ho la possibilità di commentare le partite di calcio per la Radiotelevisione svizzera.

Ho aperto un negozio di telefoni a Bellinzona e mi occupo di un ristorante. Mi basta quello che ho e quando posso, gioco a golf.

Ambra Craighero, swissinfo.ch, Bologna

La sua carriera inizia nell’US Semine, una piccola società alla periferia di Bellinzona.

Nel 1985 passa all’AC Bellinzona. Segna 46 reti in 79 incontri.
Viene ingaggiato poi dal Servette FC, squadra di Ginevra. Disputa 46 partite segnando 25 marcature.

Nel 1988 arriva la prima chiamata dalla nazionale elvetica. L’avventura in maglia rossocrociata si conclude il 5 settembre 2001. In rossocrociato segna 34 reti in 64 selezioni. Per un breve periodo conquista il primato di gol in nazionale (record battuto il 30 maggio 2008 da Alexander Frei).

Nell’ottobre 1990 passa al Bologna. Le 9 reti realizzate (in 21 match) non evitano al Bologna la retrocessione in serie B. Nella stessa compagine Kubi disputa altri due discreti campionati cadetti: 15 reti in 62 incontri.

Nel 1993 veste i colori della squadra turca del Galatasaray.
Dopo quasi 3 stagioni, nelle quali vince 2 campionati (30 reti), una coppa ed una supercoppa di Turchia, ritorna in patria nelle file del Grasshopper. A Zurigo disputa forse le sue migliori stagioni. Le 45 marcature in 70 presenze di campionato consentono al Grasshopper di conquistare 2 campionati svizzeri e di partecipare per 2 volte consecutive alla fase finale della Champions League.

Nel 1998 lascia la società del Grasshopper. Disputa qualche partita a Locarno nel torneo di serie B andando a segno una sola volta. La stagione successiva è a Lucerna, dove gioca fino alla pausa invernale. Dopo la pausa invernale passa al Bellinzona.

All’inizio della stagione 2000/01 è a Brescia, in serie A al fianco del “divin codino” Roberto Baggio.

Nel febbraio 2001ritorna in Ticino, nel Lugano, squadra che punta a vincere il campionato svizzero di serie A. Nel settembre dello stesso anno, a 34 anni, passa al Lucerna.

Il 12 settembre 2001 si conclude la sua carriera a causa dell’acuirsi dei problemi fisici.

Il 2 settembre 2002 sancisce l’addio al calcio con una partita di beneficenza (Kubi Day) allo stadio comunale di Bellinzona davanti a circa 6’000 spettatori.

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