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Brigate di pace, le guardie del corpo dei diritti umani

Volontaria di PBI durante una protesta di un'associazione di avvocati a Kathmandu, 2006. peacebrigadesinternational.ch

Da 30 anni le Brigate di Pace Internazionali offrono protezione ai difensori dei diritti umani nelle zone a rischio del pianeta. La presenza sul posto dell'ong incoraggia il lavoro di chi rischia la vita per denunciare violazioni e impunità.

Manika Jha, nepalese, ha due “difetti”: è una giornalista ed è una donna. In una società conservatrice e dominata dagli uomini, dove impunità e corruzione dilagano, la giovane 23enne non poteva scegliere percorso più difficile.

«La mia è una situazione molto pericolosa», ci dice Manika, unica donna reporter nel distretto di Dhanusa, una delle regioni più instabili del Nepal. «Nei miei articoli parlo delle violazioni dei diritti delle donne, della violenza domestica e della corruzione».

Temi delicati e scomodi che molti vorrebbero relegare al silenzio. «Nel gennaio 2009 è stata uccisa una mia collega e vicina di casa. Lo stesso giorno qualcuno ha disegnato una croce sulla mia porta. Mi hanno detto che sarei stata la prossima», racconta Marika.

Alle minacce hanno fatto seguito attacchi fisici, incluso un tentato omicidio nel maggio 2010. «Mi hanno picchiata, ma la polizia non ha reagito». Insicura e spaventata, Manika ha cercato sostegno presso alcune organizzazioni locali. «Per mia fortuna mi hanno messo in contatto con le Brigate di Pace Internazionali».

Accompagnamento protettivo

Fondata nel 1981 in Canada, l’organizzazione non governativa Brigate di Pace Internazionali (Peace Brigades International, PBI) è attiva nel settore dei diritti umani e della risoluzione pacifica dei conflitti.

«Il nostro obiettivo è di sostenere i difensori dei diritti umani in modo che possano svolgere il loro lavoro sul terreno», spiega a swissinfo.ch Jean-David Rochat, uno dei coordinatori di PBI Svizzera. «I nostri principi sono la non violenza, l’imparzialità, la non ingerenza, l’indipendenza e la ricerca del consenso».

L’attività principale di PBI, prosegue Rochat, è l’accompagnamento protettivo. «I nostri volontari accompagnano i difensori dei diritti umani nei loro spostamenti. Oppure mantengono un contatto a distanza per assicurarsi che tutto vada bene».

Ed è proprio questo contatto a distanza che ha permesso a Manika di continuare a lavorare con maggiore sicurezza. «I volontari di PBI mi chiamano regolarmente da Kathmandu. E se ho un problema mi possono raggiungere in brevissimo tempo».

Difesa dell’ambiente

Dal primo intervento in Guatemala nel 1983, l’azione di PBI si è estesa ad altri paesi latinoamericani e asiatici. «In passato lavoravamo nelle zone di conflitto, dove sostenevamo soprattutto esponenti della società civile», spiega Jean-David Rochat.

«Ora collaboriamo anche con organizzazioni locali, giornalisti, sindacalisti e avvocati dei diritti umani in regioni di post conflitto, come ad esempio in Colombia e in Messico».

Ad essere aumentate negli ultimi anni sono pure le richieste di accompagnamento da parte di ambientalisti. La corsa alle risorse naturali e l’accaparramento delle terre, rileva Rochat, hanno in effetti alimentato i conflitti tra le multinazionali e le popolazioni indigene.

Deterrente internazionale

Fondamentale per i volontari di PBI è la valutazione dettagliata della situazione e dei potenziali rischi. «Per noi è importante sapere chi potrebbero essere i potenziali aggressori», spiega Janina Hotze, collaboratrice del progetto in Nepal.

«Dobbiamo essere sicuri che queste persone sono consapevoli che un eventuale loro atto criminale, contro i volontari o i difensori dei diritti umani, potrebbe avere ripercussioni nella comunità internazionale».

Per questo motivo, PBI ha rinunciato a progetti in Africa o in paesi dilaniati dalla guerra civile. «Saremmo stati confrontati a gruppi armati o ai baroni della guerra, per i quali l’opinione internazionale non ha alcuna importanza», afferma Hotze.

Più voce ai diritti umani

Oltre all’accompagnamento protettivo, PBI funge da intermediario tra le agenzie delle Nazioni Unite e le associazioni locali. Ha pure un ruolo di osservatore, informando regolarmente le ambasciate, i politici e le forze di sicurezza sulle violazioni dei diritti umani.

Organizzando conferenze, incontri e workshop in diversi paesi del mondo, PBI intende poi dare maggiore visibilità ai difensori dei diritti umani. Come appunto a Manika Jha, invitata per qualche giorno in Europa. «Le autorità locali reagiscono diversamente se sanno che gli attivisti sono stati all’estero per parlare della situazione nel loro paese», osserva Jean-David Rochat.

In 30 anni di attività, indica PBI sul suo sito internet, l’impegno civile per la protezione dei diritti umani è cresciuto e le brigate della pace hanno contribuito a salvare numerose vite umane. «Il successo più grande – afferma Janina Hotze – è quando non c’è più bisogno di noi».

Le Brigate di Pace Internazionali (PBI, Peace Brigades International) nascono nel 1981 sull’isola di Grindstone (Canda) su iniziativa di un gruppo di pacifisti.

I primi volontari partono alla volta del Guatemala nel 1983.

Nello stesso anno viene creata una sezione in Svizzera con sede a Berna.

L’organizzazione, riconosciuta dalle Nazioni Unite e dal Dipartimento federale degli affari esteri, è attiva nelle regioni di post conflitto (Colombia, Messico, Guatemala e Nepal).

La presenza internazionale di volontari (un’ottantina all’anno) conferisce maggior peso alle rivendicazioni dei difensori dei diritti umani e richiama le autorità locali al rispetto dei diritti fondamentali.

PBI ha ricevuto il premio Martin Ennals 2001, considerato il “premio Nobel” per i diritti umani.

Oltre a mandare volontari sui progetti all’estero, PBI Svizzera organizza degli incontri per parlare del principio della non violenza. Invita regolarmente dei difensori dei diritti umani per sensibilizzare l’opinione pubblica svizzera alle problematiche constatate sul terreno.

Tra il 1996 e il 2006 il Nepal è stato teatro di una sanguinosa guerra civile tra maoisti e potere monarchico. Oltre 15’000 civili hanno perso la vita.

In seguito a un accordo tra le parti e alle elezioni del 2008, il Nepal è diventato una Repubblica.

In piena fase di transizione, il paese himalayano rimane instabile e le tensioni politiche continuano ad essere elevate.

Su richiesta di organizzazioni locali, le Brigate di Pace Internazionali hanno aperto un ufficio nella capitale Kathmandu e a Gularia, nell’ovest del paese.

Scopo del progetto: sostenere le persone e le organizzazioni che si battono contro l’impunità, le violazioni dei diritti umani e la discriminazione delle caste e dei gruppi marginalizzati.

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