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C’era una volta…Bella infinita

Bella infinita, molto più di un libro di racconti in dialetto: un viaggio nella memoria della Svizzera italiana swissinfo.ch

Un libro di racconti in dialetto, uno scrigno di storie preziose e divertenti in cui si specchia una parte della cultura popolare della Svizzera italiana.

Ha raccolto, rielaborato e trascritto questi racconti Luigia Carloni Groppi, una vivace insegnante e direttrice di scuola elementare, che fin dall’inizio collaborò con il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana.

E prima di cominciare la lettura, l’autrice ci introduce nel mondo delle fiabe con una sorta di breve e gustosa prefazione: “Ho scritto senza mettere in colonna le storie che insegnate mi ha la nonna: racconti che ho raccolto qua e là, ne troverete di ogni qualità: alcuni sono lunghi, altri più corti, di sani e di malati, vivi e morti”.

Nelle storie narrate dai vecchi, personaggi e protagonisti sono molteplici e molto diversi fra loro. Ed è sempre Luigia Carloni Groppi a curarne l’elenco nelle primissime pagine del libro. “Asini, lupi e volpi, cani e gatti, ladroni, disgraziati, savi e matti (…) comari, streghe, orchi e diavoletti (…) si incontrano fra loro con far giocoso togliendoci di notte anche il riposo”.

La lettura di “Bella infinita”, questo il titolo del libro edito dal Centro di dialettologia e di etnografia (CDE) della Svizzera italiana, si annuncia dunque come un’avventura attraverso mondi immaginari, paesaggi fantastici e luoghi familiari, personaggi lontani e vicini al tempo stesso.

La cultura popolare ha questo di straordinario: racchiude in sé qualche cosa di universale – perché sentimenti, saggezza ed emozioni vibrano nell’essere umano al di là dei confini – ma riflette nel contempo la dimensione locale, le storie di casa.

Il sabato del villaggio

Ed è proprio a casa, a Rovio, dove è nata (nel 1872) e ha vissuto Luigia Carloni Groppi, che il libro è stato illustrato dal direttore del CDE Franco Lurà e dall’esperta in letteratura per l’infanzia Letizia Bolzani. Quello del due dicembre non è stato un sabato come gli altri. Alla presentazione del volume la sala era stracolma di gente. Non c’era spazio per tutti. Nemmeno a prendere posto come sardine.

E come poteva essere altrimenti, visto che la storia della maestra che amava anche scrivere novelle, si intreccia con le storie: le sue, quelle degli altri, quelle venute da lontano, quelle della porta accanto. I documenti lasciati da Luigia Carloni Groppi, una delle prime collaboratrici del Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, sono una miniera d’oro.

“In più di un’occasione – spiega a swissinfo il direttore del CDE Franco Lurà – si era pensato di pubblicare almeno una parte dei suoi materiali. Ma poi per diversi motivi, il progetto è stato rinviato. Con la pubblicazione dei racconti dialettali, contenuti in uno dei quattro quaderni che Carloni Groppi ci ha lasciato, è stato ora realizzato uno dei nostri desideri più cari”.

Ricordando la “cantastorie”

“Attraverso la pubblicazione di “Bella infinita” – osserva ancora Lurà – abbiamo voluto mettere a disposizione del pubblico una raccolta di racconti davvero originali. Per facilitare la lettura a tutti, la versione dialettale è accompagnata dalla versione in lingua italiana”.

Per la verità non tutti racconti contenuti nel libro, sottolinea il direttore del CDE, hanno lo stesso spessore o lo stesso valore. Ma per garantire una sorta di coerenza formale e di contenuti, si è comunque scelto di pubblicare l’integralità dei racconti.

Una scelta dettata essenzialmente dal desiderio, come scrive Franco Lurà nell’introduzione, “di far conoscere il patrimonio narrativo di una ‘cantastorie’ popolare di un periodo e di un modello di società che ci pare giusto ricordare e documentare”. Poiché la ricchezza dei modi di dire e delle formule popolari sono un patrimonio della memoria da tenere vivo. Formule che, nella loro saggezza, hanno una dimensione universale.

Cenerentole irachene, africane e ticinesi

Universale e al tempo stesso legata alla cultura locale: una caratteristica della fiaba che la rende unica. Nel mondo, per esempio, ci sono oltre seicento varianti di Cenerentola: si racconta in Asia, Africa, Cina, Vietnam, la si ritrova nella cultura dei nativi americani e negli Inuit.

“I temi forti e la struttura portante di Cenerentola – spiega Letizia Bolzani – sono sempre gli stessi: una fanciulla discriminata, da una matrigna e da una o due sorellastre, che ambisce ad andare ad un ballo o a una cerimonia importante per emanciparsi dalla famiglia ed entrare nella società”.

Nella Cenerentola irachena, per esempio, la fata è un pesciolino che ha promesso di aiutare la giovane donna. “Cenerentola – racconta Bolzani – vuole andare alla cerimonia dell’ “henné” della sposa. Cerimonia dove non ci sono uomini, ma solo donne. E tra di esse anche le madri che cercano mogli per i loro figli”.

Nel libro “Bella infinita”, la “Scendrolina” viene aiutata da una vecchia. E nella storia spiccano elementi locali, come il gomitolo di refe da attaccare ad un castagno per segnare la strada, o il pancotto che Scendrolina darà al principe malato d’amore.

“Le fiabe come tali trasmigrano nel tempo, perché vengono trasmesse di generazioni in generazioni. E trasmigrano anche nello spazio. La fiaba – sottolinea Letizia Bolzani – non ha un proprietario, non avendo un autore: ed è questa la sua ricchezza. La fiaba è meticcia, contaminata, si mescola con le culture, attraverso il mondo e il tempo”.

swissinfo, Françoise Gehring, Rovio

“Bella infinita” – oltre duecento pagine, 75 racconti e un glossario – è dunque il titolo del libro di racconti in dialetto che prende il nome da una fiaba contenuta nella raccolta. La versione in italiano è curata da Michele Moretti, le splendide illustrazioni sono opera di Sheila Stanga e Chantal Ambrosini e il progetto grafico è curtato dallo studio Delucchi.

L’autrice del libro – edito dal Centro di dialettologia e di etnografia – è Luigia Carloni Groppi (1872-1947), una donna, un’educatrice, che ha lasciato un segno importante nella cultura e nella scuola del canton Ticino. Grande anche il suo impegno a favore dell’infanzia.

Il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana è sicuramente uno rei progetti più conosciuti del Centro di dialettologia e di etnografia (CDE) della Svizzera italiana, diretto dal linguista ticinese Franco Lurà.

Il Vocabolario è comunque il primo grande lavoro ad essere stato messo in cantiere. Ultimo nato fra i 4 vocabolari nazionali, nel 1952 ha dato alle stampe il suo primo fascicolo.

Fornisce una quantità impressionante di informazioni: non si limita solo ad indicare la corrispondenza dialetto-italiano, ma presenta pure le diverse sfumature di pronuncia e di significato, una ricca esemplificazione di proverbi, modi di dire e filastrocche, una folta documentazione sulle credenze, le pratiche superstiziose, la farmacopea e la medicina popolare, le usanze e le tradizioni di tutto il territorio della Svizzera italiana.

Il risultato, come indica lo stesso CDE nella sua presentazione, è pertanto quello di un’opera enciclopedica, che condensa, a volte sotto una sola voce, una vera e propria monografia.

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