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C’era una volta la notte

L'Europa di notte, vista da un satellite. Dark Sky

L’uomo ha trasformato il paesaggio naturale. Non solo quello diurno. Di notte, le luci artificiali squarciano l'oscurità, occultando le stelle, disegnando nuovi spazi.

«Fiat Lux!», un progetto realizzato dall’Università della Svizzera italiana, ha indagato gli effetti paesaggistici dell’illuminazione notturna.

Chiasso, un venerdì sera d’agosto. Sul cavalcavia dell’autostrada, grandi teli di plastica tracciano un corridoio translucido lungo il marciapiede, attraversato dai fari delle auto in corsa, dai lampi blu delle insegne luminose.

Il Bar Falena, un’installazione realizzata dagli studenti dell’Accademia di architettura di Mendrisio, è la prima tappa di una gita notturna organizzata nell’ambito di «Fiat Lux!», un progetto finanziato dal Fondo nazionale per la ricerca scientifica e coordinato dall’Istituto di storia delle Alpi di Lugano, dedicato allo studio del «mutamento del paesaggio alpino notturno dal 1945 ad oggi».

Sopra il Bar Falena, il cielo non si oscura mai. L’azzurro pallido della sera scivola lentamente verso un rosa opaco. «Di quanta luce abbiamo bisogno?», scandisce un attore, leggendo un testo di Peter Zumthor, architetto. «È una domanda che la nostra civiltà si deve porre».

La contrazione della notte

Un tempo, quando la notte scendeva sulla Terra, le abitazioni degli uomini erano avvolte dall’oscurità, appena scalfita dalla luce fioca dei fuochi e delle lampade. In alto, le stelle e la luna brillavano nitide nel cielo nero.

Oggi, nelle regioni urbanizzate del mondo, la notte è colonizzata da migliaia di luci artificiali. Riflettori, lampioni, vetrine, fari, ghirlande luminose, insegne ricacciano le ombre negli angoli più reconditi del paesaggio. La notte si restringe.

Nell’ultimo decennio, la densità dell’illuminazione in Europa è più che raddoppiata. Un fatto che emerge con particolare evidenza dalle immagini satellitari notturne. Gli agglomerati urbani appaiono come grandi e informi macchie luminose, da cui si dipanano tentacoli di luce che percorrono le campagne e risalgono le valli.

«A lungo l’illuminazione pubblica è stata segno di modernità, anche nelle regioni periferiche», osserva Marco Marcacci, curatore della parte storica del progetto. E cita l’esempio, estremo, del comune di Maggia, in Ticino. Nel 1950 c’erano due lampioni, nel 2001 sono diventati ben 162.

La luce che inquina

«Il processo di illuminazione pubblica non ha quasi incontrato resistenze. Solo molto di recente si è cominciato a parlare di inquinamento luminoso», aggiunge lo storico.

A lungo hanno prevalso argomenti legati alla sicurezza, alla possibilità di prolungare la giornata lavorativa, alla valorizzazione del patrimonio artistico (l’uso dei riflettori permette una percezione selettiva del paesaggio), giustificando l’estensione dell’illuminazione artificiale.

Oggi se ne cominciano a vedere gli aspetti negativi. Da alcuni anni, l’associazione Dark Sky si batte affinché sia evitata per quanto possibile la dispersione luminosa. Gli ambientalisti si inquietano per gli effetti della luce artificiale sugli uccelli migratori, sugli insetti e sull’uomo.

Alcune amministrazioni pubbliche si sono mosse. Il comune di Burgdorf, nel canton Berna, e il canton Lucerna hanno vietato l’uso di raggi laser all’aperto. La città di Zurigo si è dotata di un piano per ridurre l’inquinamento luminoso nei prossimi dieci anni. Del problema si è occupato anche l’Ufficio federale, in un rapporto ancora inedito.

Animali notturni

«Di notte siamo come animali. Siamo più calmi. Di notte ci vorrebbe calma, tranquillità. Meno luce». La voce esce da un mangianastri, presso una fontana di Muggio.

La valle, a ridosso del Monte Generoso, è la seconda tappa della gita notturna, una gita che gli organizzatori hanno chiamato Notte di Falena. Le voci appartengono a persone intervistate nell’ambito di «Fiat Lux!». «Per me Lugano di notte… sono le luci del lungolago», dice qualcun’altro.

In alto, la Via Lattea è finalmente visibile. Di tanto in tanto una stella cadente attraversa il cielo, per una frazione di secondo. Desidererei una notte più buia. Oltre le colline, la luce rossastra della pianura si mangia un buon terzo della volta celeste, nonostante tutto.

«Che idea sta dietro alla Notte di Falena?», chiedo a Ivan Beer, l’architetto che l’ha organizzata. «Vedere la luce, è semplice», risponde. Brancolo nel buio. Quasi inciampo in una mucca, stesa sul prato a riposare.

Tra le ombre, la luce

È strano camminare di notte. I muscoli sono tesi, i rumori sono più intensi, gli odori anche. Il rapido bagliore di una pila elettrica, subito spenta, basta a trovare il cammino. Peter Zumthor parlava dell’importanza della luce e dell’ombra per l’architettura, poche ore fa.

Una pausa attorno al fuoco, per mangiare un boccone, fa riaffiorare i visi dall’oscurità. Questa luce è rassicurante, apre uno squarcio di umanità in un’ombra soffice. Non è la luce fredda dei neon, che affatica gli occhi, che cancella le ombre o le rende dure e inquietanti, che non concede riposo.

Certo, è nel buio che si può tornare a vedere la luce. Alle 6 e 20 del mattino, il sole arriva sul Dosso delle Mede, a 1176 metri sul mare. Davanti a noi la pianura si spegne e si accende di nuova luce. Nel bosco ai nostri piedi le ombre si ritirano sotto gli alberi, pronte a uscirne di nuovo tra poche ore.

swissinfo, Andrea Tognina

«Fiat Lux! Il mutamento del paesaggio alpino notturno dal 1945 ad oggi» è un progetto realizzato nell’ambito del Programma nazionale di ricerca 48 dedicato a «Paesaggi e spazi alpini». Coordinato dall’Istituto di Storia delle Alpi di Lugano, ha riunito ricercatori di varie discipline: storici, sociologi, geografi, architetti.

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