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Clima: una rivoluzione industriale è inevitabile

Alluvioni in Ticino nel 2008: un nuovo regime di meteorologia rischia di moltiplicare simili disastri naturali in Svizzera Keystone

Per evitare il surriscaldamento del pianeta è necessaria una rivoluzione industriale nei prossimi decenni, prevede Bruno Oberle, direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente. La Svizzera, che non sarà risparmiata dagli effetti dei cambiamenti climatici, può uscire vincitrice da questa grande sfida.

A Copenaghen, la comunità internazionale è chiamata in questi giorni a concordare importanti misure di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, per frenare i cambiamenti climatici che rischiano di avere conseguenze catastrofiche per il nostro pianeta.

In occasione di questo importante appuntamento politico internazionale, swissinfo.ch ha intervistato il direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente Bruno Oberle, che partecipa in questi giorni al vertice dell’ONU sul clima.

swissinfo.ch: Se da Copenhagen non dovesse uscire un accordo sostanziale di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, a quali minacce potrebbe essere confrontato nei prossimi decenni il nostro pianeta?

Bruno Oberle: Se prendiamo uno scenario pessimista di surriscaldamento molto elevato, possiamo avere un aumento della temperatura media del pianeta di 4 – 5 gradi, con punte di addirittura 10 gradi ai poli. Le conseguenze che ne derivano sono innanzitutto cambiamenti della meteorologia, caratterizzati da un maggior numero di fenomeni violenti: da una parte uragani e cicloni, dall’altra periodi di caldo estremo e di siccità.

Cambiando la meteorologia, cambiano molte altre cose. Se in Svizzera si passa ad esempio da un clima temperato, come quello attuale, ad un clima caldo-umido, cambiano anche le malattie che possiamo contrarre. Già oggi, una malattia tipicamente africana, come la febbre dengue, ha fatto la sua apparizione al sud delle Alpi.

swissinfo.ch: E quali potrebbero essere le conseguenze economiche per la Svizzera?

B.O.: Un nuovo regime di meteorologia, contrassegnato da precipitazioni più intense e violenti, può accrescere notevolmente i pericoli naturali in un paese di montagne, come il nostro, soggetto ad esempio ad alluvioni o smottamenti. Saremo quindi costretti nei prossimi anni ad investire molto denaro per rinnovare le infrastrutture ambientali, che risalgono in parte alla fine del 19esimo secolo, come le grandi correzioni dei fiumi, e che cominciano ad invecchiare.

Vi sono poi diversi settori economici, che saranno toccati dai cambiamenti climatici. L’agricoltura potrebbe essere confrontata a problemi di approvvigionamento di acqua in alcuni periodi dell’anno. Il turismo nelle regioni alpine dovrà far fronte molto probabilmente alla penuria di neve. Vi sono poi degli effetti indiretti che rischiano di pesare finanziariamente ancora di più degli effetti diretti che ho menzionato.

swissinfo.ch: A cosa si riferisce?

B.O.: Sto pensando in particolare all’industria di esportazione, da cui deriva buona parte del reddito nazionale svizzero. Molti paesi dovranno impiegare grandi risorse per combattere gli effetti dei cambiamenti climatici e potranno probabilmente importare meno beni dall’estero, e quindi anche dalla Svizzera.

Tanto per fare un ipotesi, il Bangladesh, confrontato al problema delle alluvioni, potrà forse comperare meno macchine tessili dalla Rieter. La Russia dovrà occuparsi degli effetti dello scioglimento del permafrost e forse potrà permettersi qualche orologio in meno prodotto in Svizzera.

swissinfo.ch: La Svizzera, tra i paesi all’avanguardia in campo tecnologico, potrebbe però diventare uno dei maggiori esportatori di cleantech, tecnologie pulite che servono appunto a ridurre i problemi ambientali.

B.O.: È vero, a condizione che si decida di puntare maggiormente su queste tecnologie. Per cambiare il futuro, bisogna cambiare tutto il nostro modo di utilizzare le energie, rinunciando alle energie fossili. Questo vuol dire che nei prossimi decenni vi sarà una rivoluzione industriale a livello planetario.

In futuro sarà necessario investire soldi in nuove macchine, in nuove tecnologie, in nuovi processi di produzione. E, come in tutte le rivoluzioni industriali, i paesi che avranno a disposizione queste tecnologie da vendere, saranno i vincitori. Essere attivi oggi in questo campo, intravedendo la necessità di un cambiamento globale, vuol dire garantirsi domani un mercato per i propri prodotti.

swissinfo.ch: Si parla quasi soltanto delle conseguenze negative dei cambiamenti climatici. Questa sfida può essere però anche l’occasione per ripensare il nostro modo di vivere, il nostro rapporto con l’ambiente?

B.O.: Qualsiasi sfida può essere affrontata in modo passivo, lasciandosi sopraffare dalle conseguenze. Oppure la si può affrontare in modo attivo, uscendone più forti di prima.

È un fatto che le risorse disponibili sul nostro pianeta sono limitate, così come lo spazio e le capacità di sopportazione del clima. È pure un fatto, nel contempo, che la popolazione mondiale continua ad aumentare e che ognuno di noi aspira ad un consumo più elevato di risorse e di energie.

L’unica via di uscita positiva a questo conflitto è di diventare sempre più intelligenti ed efficienti nel soddisfare i nostri bisogni, sprecando sempre meno natura. Dobbiamo riuscire ad avere un benessere di vita sempre più alto, senza consumare il pianeta. In fondo l’intelligenza è l’unica risorsa che non ha forse un limite e che addirittura si moltiplica quando viene utilizzata.

swissinfo.ch: Per diventare sempre più efficienti e ridurre i consumi di risorse naturali, si attendono generalmente soluzioni dai politici, dagli scienziati o dall’economia. Ognuno di noi può però dare il proprio contributo?

B.O.: Sì, vi sono soprattutto tre settori in cui si può intervenire: le industrie, gli edifici e la mobilità. In Svizzera, in questi ultimi anni, lo sforzo più grande è stato richiesto alle industrie, che hanno portato finora il peso maggiore. Ora l’accento dovrà essere spostato sui risparmi energetici delle abitazioni e sulla riduzione delle emissioni del traffico stradale.

E, in quest’ambito, ognuno di noi può fare qualcosa. Ad esempio circolare con i trasporti pubblici o acquistare un’auto che consuma poco carburante. Risanare il proprio edificio in modo da ridurre drasticamente il consumo energetico o chiedere al proprietario di farlo. Quando si fa la spesa, tenere conto anche della qualità climatica dei prodotti.

Armando Mombelli, swissinfo.ch

I rappresentanti di quasi 200 paesi si riuniscono dal 7 al 18 dicembre a Copenaghen per cercare di raggiungere un accordo sul clima che dovrà prolungare o sostituire il Protocollo di Kyoto, che scade nel 2012.

L’obiettivo è di ridurre le emissioni di gas a effetto serra affinché l’aumento delle temperature non sia superiore a 2 gradi rispetto all’era preindustriale.

Il Giec (Gruppo d’esperti intergovernativo sull’evoluzione del clima) ritiene necessaria una riduzione del 25-40% delle emissioni dei paesi industrializzati entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990.

Il governo elvetico vuole ridurre del 20% le emissioni della Svizzera entro il 2020. Berna è pronta comunque a fissare un obiettivo del 30%, a dipendenza dei risultati della conferenza di Copenaghen.

Nato a San Gallo nel 1955, Bruno Oberle è cresciuto a Locarno.

Dopo aver conseguito un dottorato in scienze tecniche al Politecnico federale di Zurigo, dal 1980 è stato attivo nel settore della gestione e della protezione dell’ambiente, al servizio di aziende private e amministrazioni pubbliche.

Vicedirettore dal 1999 dell’Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio, dall’ottobre del 2005 ne ha assunto la direzione.

Assieme a Mauro Dell’Ambrogio, segretario di Stato della formazione e della ricerca, Bruno Oberle rappresenta attualmente l’unico quadro superiore dell’amministrazione federale di lingua madre italiana.

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