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Come la Svizzera vuole garantire le pensioni alla prossima generazione

Cloé Jans: “Quello uscito dalle urne è un ‘sì’ pragmatico”

Dopo due fallimenti alle urne, il popolo svizzero ha infine accettato l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne. Il risultato dello scrutinio sulla riforma delle pensioni è stato tuttavia molto meno netto di quando prevedessero i sondaggi. La politologa dell'istituto gfs.bern Cloé Jans analizza la votazione, da cui emerge una spaccatura tra elettorato femminile e maschile.


Persone osservano tese qualcosa dietro l obiettivo
Chi si opponeva alla riforma delle pensioni ha trattenuto il respiro tutto il pomeriggio, come la deputata socialista Tamara Funiciello (al centro), prima di dover ammettere una sconfitta di misura. © Keystone / Peter Klaunzer

La suspense è durata tutto il pomeriggio. Svizzere e svizzeri alla fine hanno accettato per il rotto della cuffia la riforma delle pensioni AVS 21, con il 50,6% dei voti a favore. Le donne lavoreranno quindi fino a 65 anni, come gli uomini. L’elettorato ha approvato in modo più chiaro l’aumento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA), la seconda parte della riforma, vincolata alla prima (entrambe dovevano essere accettate dal popolo per entrare in vigore).

Dopo anni di fallimenti alle urne, il popolo ha infine dato luce verde a un progetto che dovrebbe permettere di stabilizzare il finanziamento dell’assicurazione vecchiaia e superstiti (AVS), il “primo pilastro” del sistema di previdenza elvetico.

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SWI swissinfo.ch: Il margine è stato molto più stretto di quanto prevedessero i sondaggi. Come lo spiega?

Cloé Jans: Abbiamo indicato che la tendenza andava verso un “sì” ed è stato corretto per tutto il pomeriggio. L’evoluzione dell’opinione, che si è rispecchiata nei sondaggi, non escludeva che il margine avrebbe potuto essere stretto. Tuttavia, come sempre per questo tipo di domande, la mobilitazione dell’elettorato è una sorta di jolly, un elemento difficile da prevedere con precisione. Alla fine, l’affluenza è stata un po’ più alta della media, specialmente negli ultimi 20 giorni. Anche questo spiega il risultato così risicato.

Dopo vari fallimenti alle urne, il popolo svizzero ha approvato una riforma dell’AVS. Quali elementi hanno permesso questa volta all’ago della bilancia di pendere verso il “sì”?

Quello uscito dalle urne è un “sì” pragmatico. Negli ultimi anni, tutti i tentativi di riformare il sistema di previdenza sociale della Confederazione sono falliti. Nonostante ciò, la popolazione è ampiamente concorde sul fatto che bisogna agire. Svizzere e svizzeri hanno realizzato che è arrivato il momento di fare dei compromessi. È anche possibile che il popolo abbia votato a favore di più sicurezza in questi tempi di particolare incertezza.

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L’elettorato ha approvato in modo più netto l’aumento dell’IVA rispetto alla modifica della legge federale sull’AVS. Come spiega la differenza tra questi due oggetti, che comunque erano vincolati?

È una considerazione interessante. Le persone percepiscono la portata del problema con il quale è confrontato il sistema pensionistico. Sono quindi pronte a pagare per garantire un futuro alla previdenza vecchiaia. È per questo che il popolo ha accettato in modo più netto l’aumento dell’IVA.

Dall’altra parte, una grande parte della popolazione ritiene che ciò non debba pesare sulle spalle di alcuni gruppi, in particolare delle donne. Perciò, la parte di riforma che prevede l’armonizzazione dell’età pensionabile è stata accolta meno favorevolmente.

Constatiamo anche in altri ambiti, per esempio nel settore della sanità, che svizzere e svizzeri si dimostrano più aperti a un aumento dei costi piuttosto che a una riduzione delle prestazioni. Anche questo spiega la differenza tra i risultati delle due votazioni.

Questo 25 settembre, donne e uomini hanno votato in modo diverso. Per lo scrutinio su AVS 21, lo scarto di genere potrebbe essere il più ampio mai registrato, secondo i sondaggi. Cosa spiega questa spaccatura?

È vero che le grandi spaccature tra differenti gruppi della popolazione, e in particolare quella tra i sessi, sono rare, ma ogni tanto emergono. In questo caso, a spiegare la differenza sono diversi fattori. In primo luogo, le donne sono più toccate dalla riforma rispetto agli uomini, perché dovranno lavorare più a lungo. Poi, naturalmente, la campagna è stata rivolta in modo molto mirato alle donne, con un forte accento su quello che avrebbero perso.

Come spesso succede con i temi di politica sociale, questo voto è stato caratterizzato da un evidente “röstigraben”: il “no” a AVS 21 è stato molto più importante nelle regioni francofone e italofone del Paese. Come analizza queste differenze regionali?

Abbiamo sempre constatato in passato che la Svizzera francese e quella italiana sono più prudenti quando si tratta di politica sociale. Le regioni latine sono meno inclini a dare la loro approvazione a uno smantellamento e lo si è osservato bene nell’ambito di questo scrutinio. Nella Svizzera tedesca, le argomentazioni dei sindacati non sono riuscite a fare breccia durante la campagna. Nella Svizzera francese è stato completamente diverso. Lì il dibattito è stato molto più emotivo, poiché la sensibilità su questi temi è molto più grande.

I sondaggi hanno anche messo in evidenza una separazione tra le persone in una situazione economica agiata e coloro con un reddito modesto. Come interpreta questo aspetto?

I sondaggi mostrano in effetti uno scarto, anche se andrà confermato dalle analisi post voto. Le persone con dei redditi più bassi hanno anche meno sicurezza finanziaria. Possono contare in modo minore su altri aiuti economici per finanziare la propria pensione, per esempio un terzo pilastro (previdenza individuale – privata e facoltativa, ndt). Sono quindi molto più prudenti di fronte a una riduzione delle prestazioni. Inoltre, ad avere redditi più bassi sono spesso le donne che quindi sono doppiamente toccate dal progetto.

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