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Collaborazione fra i quotidiani della capitale

Collaborazione tecnica, si afferma, non editoriale fra i due giornali di Berna Keystone

Il giornale di Berna «Der Bund» unisce la produzione con il concorrente locale «Berner Zeitung». Un ulteriore passo nella profonda trasformazione dell’editoria elvetica.

Sono ormai oltre 600 i giornalisti senza lavoro in Svizzera.

Le difficoltà finanziarie hanno costretto il quotidiano «Der Bund», dopo 153 anni di esistenza, a collaborare con il suo diretto concorrente, la «Berner Zeitung», per sopravvivere.

Le due testate rimarranno indipendenti, ma a livello tecnico, di distribuzione e nell’acquisizione della pubblicità ci sarà un’unica struttura. Lo hanno comunicato le due parti, il Bund Verlag e Espace Media Group. Dal profilo occupazionale, ciò comporterà il taglio di 25 posti.

Entrambe le testate bernesi resteranno dunque divise sul mercato dei lettori: il «Bund» è un giornale tradizionalmente diretto al pubblico della capitale e ha un profilo moderatamente conservatore, mentre la «Berner Zeitung» è diffusa soprattutto nella regione ed ha un taglio aperto, un’indirizzo definito «forum».

La soluzione, che dovrebbe permettere al «Bund» di uscire dalle cifre rosse, è denominata «modello bernese». Se l’operazione sarà avallata dalla Commissione della concorrenza, la collaborazione sarà effettiva all’inizio dell’anno prossimo.

Una scelta complicata

Il «Bund», quotidiano fondato nel 1850 con il mandato di trasportare l’ispirazione liberale del tempo, naviga nelle cifre rosse da anni. A inizio anni Novanta era stato rilevato da Ringier che un anno dopo ha rivenduto la partecipazione al gruppo di Zurigo Neue Zürcher Zeitung (NZZ).

Ma anche l’inflessibile NZZ, che detiene l’80% del capitale, non è riuscita a trovare una soluzione. E nel 2002, per la prima volta in oltre 200 anni di storia, anche il quotidiano di Zurigo e il suo impero editoriale, conquistato negli ultimi 15 anni, hanno prodotto un deficit milionario.

Per salvare il «Bund», negli ultimi mesi si erano cristallizzate due soluzioni. Da una parte ci sarebbe stata la possibilità di vendere la testata alla «MittellandZeitung», un giornale sovraregionale con numerose edizioni locali. Questo avrebbe ridotto il «Bund» ad un giornale mantello prodotto altrove. Unicamente le pagine regionali avrebbero mantenuto la loro indipendenza.

L’altra è quella scelta ora: la collaborazione con il primo concorrente. Per evitare il monopolio locale, il gruppo NZZ ha venduto solo il 40% del suo pacchetto alla Espace Media Group. L’indipendenza editoriale dovrebbe così essere garantita.

Un fenomeno nazionale

Ma non solo Berna vive una rivoluzione mediatica. La crisi dell’editoria colpisce profondamente tutto il settore. Il brusco calo delle inserzioni degli ultimi due anni non risparmia nessuno. Fra il 2002 e il 2003 il calo reale per i quotidiani è stato del 10,6%, ancora peggiore è il bilancio per i periodici.

Così a giugno ha chiuso i battenti il settimanale romando «dimanche.ch». Il gruppo zurighese TA Media – editore tra l’altro del «Tages Anzeiger» e coprorietario della «Berner Zeitung» – ha invece riduce gli organici di 140 unità.

Analoghe misure di salvataggio per il quotidiano romando «Le Temps». Attraverso una ristrutturazione e l’entrata nel pool degli azionisti del primo gruppo nazionale Ringier, la situazione dovrebbe ritrovare un suo equilibrio.

Negli anni scorsi sono inoltre nati numerosi titoli mantello, come il citato esempio «MittellandZeitung». Fra questi la «Südostschweiz», un giornale che raccoglie sette testate regionali della Svizzera orientale.

Nella Svizzera italiana il processo di concentrazione è già avvenuto anni fa: da cinque quotidiani si è scesi a tre. UNico paziente sotto osservazione: il «Giornale del Popolo».

La Diocesi di Lugano si è infatti ritirata negli scorsi mesi, cedendo il titolo a investitori privati. Il quotidiano dovrà adesso dimostrare di saper vivere delle proprie forze, dopo anni con un bilancio in passivo.

Attualmente i sindacati calcolano che ci sono oltre 600 giornalisti senza lavoro in Svizzera. Secondo la stima della Federazione di categoria si tratta del 10% del totale.

swissinfo, Daniele Papacella

La caduta del mercato delle inserzioni pesa su tutti i gruppi editoriali svizzeri che si vedono costretti a fare delle economie. Inoltre negli anni Novanta sono nati una serie di nuovi titoli, soprattutto periodici, che si ritrovano adesso con l’acqua alla gola.

Anche nel settore elettronico le cose non vanno meglio: praticamente tutte le radio e televisioni private lavorano in deficit e sopravvivono grazie al finanziamento trasversale dei grandi gruppi editoriali proprietari.

Anche la SRG SSR idée suisse, il servizio pubblico di radio e televisione, lamenta per il 2002 la perdita di una fetta di pubblicità. Anche qui le misure di risparmio hanno permesso di limitare i danni in bilancio.

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