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Complicata l’adesione agli accordi di Schengen e Dublino

L'accordo di Schengen, che tocca aspetti quali la giustizia, la polizia, la protezione dei dati personali e le informazioni fiscali, si scontra però in Svizzera con le sovranità cantonali Keystone

L'adesione della Svizzera agli accordi di Schengen e di Dublino non sarà sul tavolo del negoziato alla fine della pausa estiva, quando riprenderanno le trattative tra la Confederazione e l'Unione europea (UE), per la definizione di una nuova serie di intese bilaterali. Su questo tema il Consiglio federale ha messo a punto solo un mandato preliminare, mentre si attende ancora che la Commissione europea emetta le proprie raccomandazioni.

I colloqui esplorativi fin qui avviati hanno suscitato scetticismo sia da parte di Bruxelles, sia da parte dei cantoni. Berna ha chiesto di poter accedere agli accordi di Schengen e di Dublino, che regolamentano la cooperazione tra gli Stati dell’UE in materia di sicurezza e di politica d’asilo, ma l’integrazione di un Paese non comunitario si rivela più complessa del previsto. Nessuno è contrario ad una maggiore cooperazione nella lotta contro la criminalità e nella gestione dei flussi migratori, ma «il diavolo si nasconde nei dettagli», ha spiegato Hannes Boner, che rappresenta gli interessi dei cantoni a Bruxelles.

La sovranità dei Cantoni

Schengen – che tocca aspetti sensibili quali giustizia, polizia, protezione dei dati personali e informazioni fiscali – si scontra infatti con la sovranità cantonale. Le decisioni al riguardo sono prese a Bruxelles dai soli Stati UE ed i Paesi extracomunitari che aderiscono all’accordo – Norvegia ed Islanda – sono certo consultati, ma non hanno diritto di voto.

Il processo decisionale, spiega Boner, è «un punto chiave che dovrà essere risolto in modo soddisfacente se si vorrà ottenere l’approvazione della maggioranza dei cantoni». La conferenza dei governi cantonali ha riconosciuto che in caso di adesione della Svizzera all’UE, il trasferimento di competenze a Bruxelles potrà essere compensato con una maggiore presenza dei cantoni in politica estera. «Nel quadro del bilateralismo», tuttavia, questa regola non funziona, dato che nella capitale europea una Svizzera extra UE avrebbe solo un ruolo consultivo.

Il federalismo elvetico

Anche la Commissione europea, in un rapporto interno dello scorso marzo, ha messo le mani avanti, perché la democrazia diretta ed il federalismo svizzero potrebbero essere fonte di ritardi o, addirittura, di immobilismo nella definizione di uno spazio giuridico unitario. Se la Svizzera non dovesse riuscire a recepire tempestivamente le decisioni comunitarie nel proprio ordinamento nazionale, a causa del suo sistema politico, l’intera UE ne soffrirebbe.

In un’intervista pubblicata venerdì dal quotidiano svizzero-tedesco «Berner Zeitung», il direttore dell’Ufficio dell’integrazione Michael Ambühl ha indicato che, dal punto di vista svizzero, gli aspetti positivi di un’adesione elvetica a Schengen sovrastano di gran lunga gli eventuali svantaggi, come peraltro già messo in evidenza da un gruppo di lavoro del Consiglio nazionale nel 1990.

Quanto ai timori che la democrazia diretta svizzera possa un giorno bloccare lo sviluppo degli accordi di Schengen, Ambühl è stato chiaro: «certo, anche su questo punto bisogna porsi delle domande. Ma se i dubbi fossero stati tanto grandi, il consiglio dei ministri degli esteri dell’UE non avrebbe di certo dato luce verde ai negoziati».

swissinfo e agenzie

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