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Concorso alla ricerca di sé

"Al primo soffio di vento", di Franco Piavoli, unico film italiano in concorso (foto:pardo.ch) "Al primo soffio di vento", di Franco Piavoli, unico film italiano in concorso (foto:pardo.ch)

L'ammissione di Locarno nella "categoria A" dei festival da parte della Federazione internazionale dei produttori di film è motivo di attese fra gli osservatori e gli amanti del cinema.

Anche se gli organizzatori assicurano che nulla è cambiato, per quel che attiene ai criteri di scelta dei film nel concorso internazionale, e che il salto di categoria ha influito solo sulla struttura del palmarès di Locarno (vi sarà un maggior numero di premi e i premi saranno meglio dotati), è legittimo guardare con particolare curiosità ai film in concorso.

Alcuni temono che l’accesso alla “categoria A” vada scontata con una maggiore dipendenza dai produttori cinematografici, e con il rischio di commercializzare la rassegna.

Il prezzo culturale

“Qual è il prezzo culturale da pagare per sottostare alle leggi dei Grandi Eventi?”, si chiede ad esempio la produttrice svizzera Elda Guidinetti, sulle pagine del Giornale del Popolo (GdP) di lunedì. E prosegue affermando che “le eredità, come tutti sanno, si possono sprecare, dilapidare, oppure far crescere.”

I pessimisti credono poco alla possibilità che Locarno possa competere con gli altri grandi festival, Cannes e Venezia in particolare. A farne le spese sarebbe in primo luogo il concorso, a cui molti critici attestano la capacità, dimostrata negli anni scorsi, di aprire finestre importanti su cinematografie poco note e innovative.

I cambiamenti, insomma, fanno temere che Locarno perda una parte della sua identità. Forse c’è anche un pizzico di nostalgia per un festival a misura di spettatore, in cui era ancora possibile orientarsi fra le offerte cinematografiche.

“Si pensi a com’era la Locarno di una volta, essenziale e spartana, rispetto a quella odierna, promossa a villaggio globale”, osserva sulle colonne del GdP lo storico e giornalista ticinese Orazio Martinetti.

Un concorso del nord

Per gli organizzatori, ovviamente, il salto di categoria offre al festival nuove possibilità di sviluppo, anche e soprattutto qualitativo. A chi si attende uno stravolgimento dei criteri di selezione, il catalogo ufficiale di Locarno risponde ricordando che nel concorso internazionale “saranno presentate opere prime e seconde provenienti da quindici paesi diversi.”

Una rapida scorsa al programma indica tuttavia che, su 22 film in concorso, la parte del leone la fa l’Europa occidentale, con 13 film. Quattro sono invece i film provenienti dagli Stati Uniti e uno ciascuno da Iran, India, Ungheria, Argentina e Cina. Il sud del mondo è scarsamente rappresentato, ed è del tutto assente l’Africa.

Argomento che da solo non basta certo a dare giudizi sulla selezione. Assai più criticabile sarebbe una scelta dettata solo da criteri di rappresentatività geografica.

Film sul disorientamento

Un bilancio, naturalmente, sarà possibile solo a fine festival. Qualche orientamento lo si può tuttavia già trarre dalle prime impressioni e da alcune osservazioni sulle trame dei film in concorso.

Quanto alle impressioni, se si dovessero considerare definitivi i giudizi che si colgono nelle pause tra un film e l’altro e durante le letture dei giornali al caffè, vi sarebbe da preoccuparsi. Ma, si sa, tra un film e l’altro si gioca tutti a fare i critici, e di solito la discussione è vinta da chi si mostra più sprezzante e mette in risalto senza pietà debolezze e incongruenze di una pellicola.

Non ci vorrebbe molto a mettere in rilievo anche i pregi. Prendiamo due esempi visti: il film italiano “Al primo soffio di vento” di Franco Diavoli, e uno dei tre tedeschi, “Sophiiiie” di Michael Hofmann.

Il primo, pur lento, è un ritratto stilisticamente interessante delle solitudini di persone immerse nella calura estiva di un paesaggio agrario. Un film che ha come attore principale la natura, piante animali il fiume le nuvole, e che della natura – ma non solo – riproduce con accuratezza i suoni.

“Sophiiiie” è tutt’altro genere di film, racconto della notte urbana di una giovane donna indecisa se tenere o no il figlio concepito con uno sconosciuto. Crudo, un po’ spezzato nel ritmo, ha il merito di avere un forte impatto e una ripresa che ben si adatta alla vicenda narrata.

Come nel film tedesco, si possono cogliere anche nella trama di altri film in concorso tratti in comune: il viaggio alla ricerca di risposte, che sembrano non arrivare. Un viaggio che può essere attraverso la notte, come in “Sophiiiie” o nel deserto, come i due protagonisti di “Gerry” di Gus Van Sant (USA), oppure ancora per le strade dell’Europa orientale, come in “Blue Moon” di Maria Dusl (Austria).

In generale, si può parlare di molti film sulla ricerca di sé, a cui si possono ricondurre anche “Tan de repente” di Diego Lerman (Argentina), “La cage” di Alain Raoust (Francia), “Das Verlangen” di Iain Dilthey (Germania), “Meijsie” di Dorothee Van den Berghe (Belgio) e altri. E in fondo pure l’italiano “Al primo soffio di vento”.

Forse un percorso inevitabile, in un’epoca di incertezze, e tanto più in un concorso che privilegia l’occidente.

Andrea Tognina, Locarno

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