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Continuità per la giustizia internazionale

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Il primo luglio nasce la Corte penale internazionale permanente dell'Aia. Oltre 60 paesi, fra cui la Svizzera, hanno ratificato giovedì lo statuto.

L’idea di creare una corte permanente che persegua a livello internazionale i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio non è nuova. Ma per contrastare l’impunità di chi commette delle violenze efferate è necessario un consenso di larga portata.

Nella storia del ventesimo secolo, le corti speciali internazionali sono state create puntualmente e con un mandato limitato nel tempo, per esempio dopo la Seconda guerra mondiale a Norimberga e Tokyo o, dopo il conflitti degli ultimi anni per il Ruanda e i Balcani.

Il mosaico delicato del patrimonio umano rimane comunque minacciato da violenze efferate che si ripetono, malgrado esistano norme universalmente riconosciute che le condannino. Nel 1998, la Conferenza diplomatica di Roma ha gettato le basi per dare continuità al rispetto delle convenzioni internazionali e dei diritti umani. Adesso si passa alla fase operativa, grazie alla firma degli atti di giovedì a New York. E già il primo luglio all’Aia si aprirà la Corte penale internazionale.

“Per la prima volta le competenze del tribunale internazionale saranno allargate anche territorialmente”, afferma Antonio Cassese, attualmente giudice al Tribunale speciale per la Iugoslavia all’Aia. Dunque la comunità internazionale disporrà di uno strumento in più che le permetterà di intervenire costantemente.

Potenze latenti

Ma l’assenza di importanti paesi è un’ipoteca per il lavoro della futura corte. Lo conferma anche il giudice Cassese: “Per il momento il presidente degli Stati Uniti Gorge W. Bush non sembra intenzionato a sostenere il progetto e anche per Cina e Russia non sembrano essere maturi i tempi per avvicinarsi ad un’iniziativa che presuppone delle concessioni ad un’istanza esterna al paese”.

Per il giudice si tratta però di una questione di tempo: “Già sessanta paesi sostengono l’iniziativa, bastano a far partire la nuova istituzione e a dargli il necessario sostegno. Anche il tribunale internazionale per la Iugoslavia – ricorda Cassese – ha avuto bisogno di anni per imporsi a livello internazionale, dimostrare l’utilità del suo mandato e per convincere gente e governi a collaborare. È una questione di risultati e di credibilità”.

Inoltre il predecessore di Bush, Clinton sosteneva la Corte e questo lascia sperare in una svolta della superpotenza: “Con una nuova amministrazione si può pensare ad un avvicinamento”.

Ma ratificare le convenzioni che regolano la nuova istanza giudiziaria internazionale, impone delle concessioni da parte del paese. Fra queste l’impegno all’estradizione degli accusati. Per Cassese vale quindi il fatto che “i paesi che sostengono fin d’ora il mandato della Corte non hanno problemi di coscienza”. Sono dunque soprattutto gli stati che non hanno vissuto recentemente delle dittature e delle ferite profonde che imporrebbero l’intervento della Corte internazionale.

“D’altra parte la presenza della corte rappresenta una sorta di garanzia per le democrazie che vi aderiscono; nel caso di una presa del potere violenta, di guerre o di brutali stravolgimenti, esisterà al di fuori dei confini un’istanza a cui si dovrà rispondere”. Si tratta dunque di un grande progetto che vuole porre dei limiti all’impunità di chi si rende colpevole di gravi crimini. Anche se non ci sarà una competenza retroattiva che integri le infrazioni già avvenute.

L’impegno svizzero

La Svizzera ha partecipato fin dall’inizio alla creazione della nuova Corte. Nel 2000 il governo ha dato il suo appoggio, seguito nel 2001 dalle due camere del Parlamento. Per l’osservatore Antonio Cassese, “l’impegno svizzero è in linea con la tradizione umanitaria di un paese democratico e la sua adesione al concerto delle Nazioni Unite dello scorso marzo conferma questo traguardo”.

Il Consiglio federale da parte sua, ricordando che la Svizzera è depositaria della Convezioni di Ginevra, auspica un’intensificazione degli sforzi per l’applicazione a livello planetario del diritto umanitario, nel rispetto della neutralità, ma con determinazione.

In cinque anni di dibattiti, il numero dei paesi disposti ad impegnarsi è raddoppiato. Con sessanta partecipanti si garantisce ora la nascita e il funzionamento del Tribunale. “Credo sia cresciuta una coscienza e un consenso per una giustizia internazionale – conclude il giudice – e le esperienze, raccolte con i tribunali straordinari negli ultimi anni, hanno ridato fiato al grande progetto di una Corte permanente che garantisca una giustizia per tutti”.

Daniele Papacella

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