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Convenzione delle Alpi: un paradosso svizzero?

Sulle Alpi, nel cuore dell'Europa... Schweiz Tourismus

Il parlamento torna ad occuparsi della Convenzione delle Alpi. Le sue norme, a protezione del delicato ecosistema alpino, sono già state ratificate senza particolari opposizioni da altri Stati.

Al contrario, la Svizzera, paese alpino per eccellenza, mantiene numerose riserve. Incomprensibili per molti.

“Ma cos’è questa storia?”, si sono recentemente chiesti numerosi membri della Commissione internazionale per la protezione delle Alpi (Cipra).

“Perché mai la Svizzera intende ratificare soltanto tre dei nove protocolli d’applicazione della Convenzione?”.

L’eccezione svizzera

Dopo una lunga ed attenta analisi, in aprile la Commissione dell’ambiente del Consiglio degli Stati ha infatti raccomandato al plenum, che si esprimerà durante la sessione di giugno, di accettare unicamente i protocolli sui trasporti, sulla protezione del suolo e sulla pianificazione territoriale e lo sviluppo sostenibile.

Tutto il resto sarebbe invece da rimandare. La travagliata gestazione della Convenzione delle Alpi alle camere federali, iniziata nel 1999, non è dunque ancora al suo epilogo.

I contenuti dell’accordo, firmato da otto Stati alpini e dall’UE, sono guardati in cagnesco da parecchi parlamentari borghesi, che temono un’attenzione eccessiva agli aspetti ecologici a scapito di quelli economici.

“Una posizione che all’estero proprio non viene compresa”, rileva Reto Solèr, direttore di Cipra Svizzera.

“Pensiamo all’Austria, paese simile al nostro. Ebbene, il parlamento austriaco ha accettato Convenzione e protocolli senza un solo voto contrario!”

Nel cuore delle Alpi

Ben il 60% del territorio svizzero, circa 25’000 km quadrati, si trova nella zona d’applicazione dei protocolli. Questi ultimi definiscono le misure concrete per realizzare l’obiettivo di salvaguardia della regione alpina.

Di fronte all’ampiezza territoriale dell’impatto di un’eventuale ratifica, è comprensibile che le autorità elvetiche analizzino attentamente le limitazioni che ne potrebbero derivare.

D’altra parte, nel cuore delle Alpi, la Svizzera avrebbe tutto l’interesse a sostenere una collaborazione internazionale per preservare il suo ambiente naturale.

Standard elevati

In questo senso, è vero che gli standard ambientali svizzeri sono già piuttosto elevati.

“Tanto che, come rileva il messaggio del Consiglio federale del 19 dicembre 2001, le norme previste dai protocolli non vanno al di là di quelle già in vigore in Svizzera”, sottolinea Reto Solèr.

Ma, allora, perché è tanto importante che, dopo Austria, Germania, Slovenia e Liechtenstein (Italia, Francia e Principato di Monaco non l’hanno ancora fatto in modo completo), anche la Svizzera li accetti?

“La forza della Convenzione sta nella sua internazionalità”, risponde Soler.

L’accordo è nato dal bisogno dei paesi alpini di considerare questo spazio come una realtà unica, da difendere nel suo insieme creando degli standard di protezione minimi comuni.

“Un paese da solo può far poco”, dice Solèr. “Di fronte al traffico di transito o ai più di 100 milioni di turisti che si recano sull’arco alpino, l’approccio deve essere coordinato internazionalmente”.

Il Consiglio federale ed i governi dei cantoni alpini si sono da tempo espressi a favore della ratifica completa dei protocolli.

Un’opzione che, rileva il Consiglio federale, non implicherebbe alcuna modifica del diritto svizzero. Ma questo avviso è contestato.

Difesa della libertà

“Il compito degli enti parlamentari è quello di non credere al governo o agli esecutivi cantonali”, ribatte infatti Carlo Schmid, vice-presidente della Commissione dell’ambiente della camera alta.

“Molti dei protocolli, che abbiamo analizzato nel dettaglio, prevarrebbero sul diritto svizzero ed implicherebbero nuove disposizioni federali”, aggiunge il senatore democristiano.

“Inoltre, ratificando queste norme ed il conseguente trattato internazionale, perderemmo la libertà legislativa: se un giorno il popolo dovesse voler modificare le nostre leggi in materia ambientale, non potrebbe più farlo”.

Un’eventualità che proprio non piace all’ala più conservatrice e meno internazionalista del parlamento.

Vantaggi concorrenziali

Paradossalmente, tuttavia, l’armonizzazione a livello dell’arco alpino degli standard ecologici e sociali potrebbe tradursi in vantaggi concorrenziali per la Svizzera.

Ad esempio nei confronti di quegli Stati, come Italia o Francia, che dovrebbero dare un giro di vite al livello di protezione del proprio territorio alpino.

“Non riesco proprio a capire la forte opposizione che si è creata in Svizzera”, conclude Reto Solèr.

“Si tratta di una questione teorica: e la libertà è sempre una questione teorica”, ribatte Carlo Schmid.

swissinfo, Marzio Pescia

Tutti gli Stati firmatari hanno ratificato la convenzione quadro;
Austria, Germania, Slovenia e Liechtenstein hanno pure ratificato tutti i protocolli d’applicazione;
Italia e Francia sembrano disposte a ratificarli tutti o quasi;
Una commissione parlamentare svizzera propone invece di ratificarne “solo” tre.

La Convenzione delle Alpi è un trattato internazionale firmato tra il 1991 ed il 1994 da otto paesi dell’arco alpino (Austria, Svizzera, Germania, Francia, Liechtenstein, Italia, Principato di Monaco e Slovenia) e dall’Unione europea (UE).

Il trattato è composto da una convenzione quadro, che ne fissa i principi base, e da nove protocolli aggiuntivi che specificano le misure concrete da applicare in altrettanti ambiti.

La Convenzione ha l’obiettivo di salvaguardare, a lungo termine, l’ecosistema alpino e di garantire il suo sviluppo sostenibile. Intende inoltre tutelare gli interessi economici e culturali delle popolazioni residenti sull’arco alpino.

I nove protocolli d’applicazione aggiuntivi riguardano protezione della natura e tutela del paesaggio, agricoltura di montagna, pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile, foreste montane, turismo, energia, difesa del suolo, trasporti e composizione delle controversie.

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