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“È giusto che Dougan e Rohner non diano le dimissioni”

Secondo Peter V. Kunz sono ora da prevedere multe piuttosto salate anche per le altre banche svizzere sotto inchiesta negli Stati uniti unibe.ch

Nonostante una multa di 2,8 miliardi di dollari e le ammissioni di colpa, i dirigenti del Credit Suisse non devono rassegnare le dimissioni per non innervosire i mercati, afferma l’esperto di diritto economico Peter V. Kunz. Il ruolo svolto in passato da Urs Rohner quale capo-giurista della banca suscita però alcuni interrogativi.

swissinfo.ch: L’accordo raggiunto dal Dipartimento di giustizia americano e Credit Suisse è stato accolto positivamente dal governo svizzero, dall’Associazione svizzera dei banchieri e dalla Banca nazionale. Come valuta questa intesa per la banca e per la piazza finanziaria svizzera?

Peter V.Kunz: Per il Credit Suisse si tratta di un accordo finale molto costoso, ma positivo. L’insicurezza del diritto legata all’inchiesta negli Stati uniti pesava negativamente sulla banca. La multa è veramente molto elevata, ma permette di regolarizzare il passato e di guardare ora avanti.

Questo accordo è positivo anche per la piazza finanziaria svizzera, dal momento che il governo elvetico non dovrà di nuovo ricorrere al diritto d’urgenza per consegnare dati della clientela agli Stati uniti.

2008

Bradley Birkenfeld, ex collaboratore di UBS, ammette davanti a un giudice americano di aver aiutato clienti a frodare il fisco quando era alle dipendenze della banca. L’UBS finisce sotto inchiesta negli Stati uniti.

2009

Stati Uniti e Svizzera firmano l’accordo definitivo sulla vicenda UBS. Berna trasmetterà nello spazio di un anno i dati relativi a 4450 conti UBS. La banca paga una multa di 780 milioni di dollari.

2010

Dopo l’ultima trasmissione da parte della Svizzera di dati riguardanti i casi di assistenza amministrativa, l’autorità fiscale statunitense IRS ritira definitivamente l’azione civile contro UBS.

Le autorità fiscali e giudiziarie americane aprono però delle inchieste a carico di 14 altre banche, con sede in Svizzera, tra cui Credit Suisse, HSBC Suisse, le banche cantonali di Basilea e Zurigo, Julius Bär e la Banca Wegelin.

2011

Il Dipartimento di giustizia americano chiede alle banche svizzere informazioni sui clienti delle banche sotto inchiesta.

2012

Il governo autorizza la consegna di dati criptati relativi alla clientela. La chiave per decifrarli dovrebbe venir consegnata solo nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa o giudiziaria.

Sotto la minaccia di un procedimento giudiziario, la Banca Wegelin, il più vecchio istituto di credito elvetico, chiude i battenti e vende le sue attività non americane al gruppo Raiffeisen.

Le Camere federali accettano una modifica dell’accordo di doppia imposizione tra Svizzera e Stati Uniti. Con questo documento, La Confederazione si impegna a fornire agli USA assistenza amministrativa in questioni fiscali anche in caso di domande raggruppate.

2013

Il Consiglio federale rilascia a diverse banche l’autorizzazione a cooperare con gli Stati Uniti per appianare le controversie fiscali. L’autorizzazione non concerne i dati della clientela.

swissinfo.ch: Nonostante il sollievo generale, non vanno dimenticati gli aspetti negativi. Questo caso danneggia nuovamente l’immagine della Svizzera e della sua piazza finanziaria?

P.V.K.: Questo danno si è già prodotto alcuni anni fa. Da almeno 5 o 6 anni, si è diffusa l’immagine che la Svizzera e le sue banche nascondano fondi evasi al fisco. Questa visione concerneva dapprima l’UBS poi il Credit Suisse e le altre banche elvetiche messe sotto inchiesta negli Stati uniti. Non credo quindi che con questo accordo l’immagine venga ulteriormente danneggiata.

Solo l’anno scorso, dopo che il parlamento aveva respinto la Lex USA, il governo ha deciso, a giusta ragione, di farsi da parte e di lasciar regolare dalle stesse banche il contenzioso con gli Stati uniti. Il Credit Suisse ha trovato da allora una soluzione nel giro di un anno.

swissinfo.ch: Dopo che l’UBS era finita sotto inchiesta negli Stati uniti, il Credit Suisse aveva sostento a più riprese di non avere problemi con la giustizia americana. Era solo una campagna pubblicitaria?

P.V.K.: Ne sono rimasto sorpreso pure io. Cinque anni fa, allorché era venuto alla luce il caso UBS, il Credit Suisse aveva dichiarato per mesi di non avere problemi. Sorprendono quindi ora le ammissioni di colpa da parte dei dirigenti della banca, in quanto le attività del Credit Suisse negli Stati uniti non erano di poco conto.

È particolarmente grave la distruzione di prove da parte della banca: e-mail sono state cancellate e non sono stati interrogati collaboratori che avevano lasciato la banca. Il Credit Suisse ha suscitato l’impressione di aver voluto barare. Una tattica sicuramente non intelligente, da quanto risulta oggi.

swissinfo.ch: I dirigenti della banca hanno veramente una veste “bianca come la neve”, come affermato dal presidente del consiglio di amministrazione Urs Rohner?

P.V.K.: Trovo giusto che Rohner e l’amministratore delegato Brady Dougan non vogliano rassegnare le dimissioni. Innanzitutto per non innervosire i mercati.

Rohner è però già da molto tempo al servizio della banca. E non nel consiglio d’amministrazione, in cui uno può affermare di non svolgere attività operative. Per diversi anni è stato capo-giurista e consulente generale del Credit Suisse. Era quindi implicato nella situazione problematica. Sorgono quindi questioni che dovranno prima o poi essere prese in esame dal consiglio di amministrazione e dagli azionisti.

swissinfo.ch: Oltre la distruzione di documenti, il dipartimento americano di giustizia ha rimproverato a Dougan e Rohner una mancanza di cooperazione. I due se la caveranno veramente così?

P.V.K.: Credo di sì per quanto riguarda eventuali sanzioni da parte delle autorità penali e di sorveglianza americane. Le autorità americane avrebbero potuto esigere le dimissioni dei due. Non lo hanno fatto, tenendo anche conto di una possibile reazione negativa dei mercati.

La questione è però diversa per quanto concerne eventuali denunce civili nei confronti del Credit Suisse e dei suoi dirigenti. È ben possibile che gli azionisti e i clienti americani avanzino pretese di risarcimento.

La seconda banca svizzera è finita nel 2010 sotto inchiesta negli Stati uniti, sospettata di aver aiutato migliaia di cittadini americani ad evadere il fisco.

Il 25 febbraio scorso, una sottocommissione d’inchiesta del Senato americano ha accusato Credit Suisse di aver servito oltre 22’000 clienti statunitensi con un patrimonio complessivo di circa 12 miliardi di franchi, di cui tra l’85 e il 95% non è stato tassato.

Il 26 febbraio, deponendo davanti alla sottocommissione permanente d’inchiesta del Senato americano assieme a tre collaboratori, il presidente della direzione di Credit Suisse Brady Dougan ha ammesso comportamenti scorretti da parte di alcuni dipendenti dell’istituto in relazione a clienti americani che hanno evaso il fisco. Il management non ne era però al corrente.

Il 19 maggio Credit Suisse si è dichiarato colpevole di aver cospirato per aiutare facoltosi clienti americani ad evadere le tasse e ha accettato di pagare 2,8 miliardi di dollari per chiudere l’indagine avviata dal Dipartimento di giustizia.

swissinfo.ch: Quali indicazioni emergono da questo accordo per le altre 13 banche svizzere sotto inchiesta negli Stati uniti?

P.V.K.: Bisogna distinguere due cose. Innanzitutto la multa imposta al Credit Suisse servirà da modello per le altre banche svizzere. L’importo non può essere ancora stimato, dal momento che dipende dall’arbitrio delle autorità americane. Probabilmente anche per le altre banche le multe saranno più care di quanto si poteva prevedere finora.

Le ammissioni di colpa non dovrebbero invece costituire un problema per le altre 13 banche, almeno in base alle loro dichiarazioni. La Banca cantonale di Zurigo sostiene ad esempio da anni di non aver svolto direttamente le attività contestate e di aver fatto ricorso a gestori patrimoniali indipendenti. Credo quindi che le altre banche dovrebbero avere meno problemi del Credit Suisse.

swissinfo.ch: Non vi è quindi nessun rischio che una delle banche svizzere faccia la fine della Wegelin, che è scomparsa?

P.V.K.: No. La Banca Wegelin era un caso speciale, poiché aveva condotto questi affari in maniera perfettamente consapevole, come hanno ammesso gli stessi responsabili. Le altre banche erano pure presenti negli Stati Uniti, ma non hanno fatto questi affari in modo pro-attivo come la Wegelin.

swissinfo.ch: Il Credit Suisse ha ammesso la sua colpevolezza. I suoi clienti statunitensi possono adesso tirare il fiato o l’IRS potrebbe ancora ottenere i loro nomi?

P.V.K.: No, non potranno tirare il fiato. Anche se i loro dati non verranno trasmessi facendo ricorso al diritto d’urgenza, rimane la possibilità dell’assistenza amministrativa. Il governo svizzero ha promesso che fornirà rapidamente assistenza amministrativa e ha per questo potenziato il personale. Non oggi, ma probabilmente tra due o tre anni, le autorità statunitensi saranno in possesso di quasi tutti i nomi dei clienti americani.

swissinfo.ch: La multa e l’ammissione di colpevolezza del Credit Suisse segnano l’inizio della fine della vertenza fiscale con gli Stati Uniti?

P.V.K.: Tre settimane fa ho scritto in un commento che in linea di principio il conflitto fiscale è stato risolto. Ciò vale soprattutto per quanto concerne il diritto d’urgenza e il sostegno politico dello Stato. L’unica cosa che ancora manca, è la fattura finale per le infrazioni delle banche svizzere.

Anche per le 106 banche che si sono annunciate la fattura sarà molto cara. Ma dovrebbero sopravvivere. Nei prossimi due anni, potrebbero invece avere dei problemi quelle banche che non partecipano al programma, ma che hanno avuto a che fare con denaro nero. Non è escluso che l’una o l’altra piccola banca svizzera possa subire lo stesso destino della Wegelin.

Traduzione di Armando Mombelli e Daniele Mariani

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