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Crisi UBS: “E se a pagare fossero gli americani?”

L'UBS si lascia alle spalle il peggior anno della sua storia, con perdite vicine ai 20 miliardi di franchi e una fiducia messa a dura prova. Per il 2009 promette un ritorno alle cifre nere. Il peggio è dunque passato? La parola al professor Sergio Rossi dell'Università di Friborgo.

La notizia era nell’aria, ma l’entità delle perdite registrate nel 2008 dalla prima banca svizzera è stata messa nero su bianco soltanto martedì: un deficit di 19,7 miliardi di franchi, un deflusso di capitali di 226 miliardi e la soppressione di altri 2’000 impieghi.

Una spirale negativa dalla quale UBS fatica a riemergere, complice anche la perdita di credibilità e di fiducia da parte dell’opinione pubblica. Per il 2009 la banca punta tuttavia a tornare nelle cifre nere riposizionando le sue attività.

Sulla questione ci soffermiamo con Sergio Rossi, titolare della cattedra di macroeconomia ed economia monetaria all’Università di Friburgo.

swissinfo: L’UBS annuncia una perdita storica, ma guarda al futuro con rinnovato ottimismo. Il peggio è dunque passato?

Sergio Rossi: I risultati pubblicati stamani da UBS erano attesi. Non stupisce dunque la perdita eccezionale di 8,1 miliardi di franchi nel solo quarto trimestre e la soppressione di altri impieghi, soprattutto nel settore dell’Investment banking. Il ridimensionamento in Svizzera sarà comunque contenuto, dato che le attività speculative problematiche sono state svolte in prevalenza negli Stati Uniti e in Gran Bretagna e visto che già in gennaio si è registrato un afflusso di nuovi capitali. L’UBS ha inoltre annunciato di voler incrementare le sue attività in Svizzera, potenziando la raccolta fondi e gli investimenti nel settore dell’economia reale.

È comunque ancora troppo presto per affermare che la principale banca svizzera è fuori pericolo. Temo che il futuro di UBS non sarà così roseo come ci si aspetta. Non per colpa dei suoi dirigenti – il cui obiettivo è di tornare a posizioni più solide e abbandonare i settori più a rischio – quanto piuttosto per l’andamento dei mercati finanziari e dell’economia reale. Bisognerà vedere se gli aiuti statali sortiranno l’effetto atteso, con che tempistica e con quali risultati nel mondo intero.

swissinfo: L’UBS ha ridotto l’ammontare massimo dei titoli a rischio trasferiti nel fondo costituito dalla Banca nazionale svizzera. Cosa significa concretamente?

S.R. Questi attivi «tossici» sono stati ceduti a una società veicolo creata e gestita dalla Banca nazionale, di cui la stessa ha acquistato le azioni per un dollaro simbolico. Si tratta di titoli (legati ai mutui subprime, ma anche a prestiti a studenti, leasing di vario genere, carte di credito) che le società finanziarie americane hanno venduto sui mercati del mondo intero. L’UBS li ha poi acquistati in «scatole», nelle quali erano stati inseriti assieme ad altri meno rischiosi, rendendo così ardua e complessa – per non dire impossibile – la valutazione oggettiva del rischio.

L’ammontare di questi attivi illiquidi era stato valutato nell’autunno 2008 a 60 miliardi di dollari per questioni prettamente politiche. Si trattava di una stima generosa per evitare di dover chiedere – in futuro – un ulteriore aiuto alla Confederazione rischiando così un’ulteriore perdita di immagine. Ora invece l’UBS fa un gesto positivo cedendo unicamente una parte dei titoli tossici e assumendo sola il rischio e le perdite derivanti dai 21 miliardi rimanenti.

La Banca nazionale spera di poter rivendere – entro otto o dieci anni – questi attivi (al momento illiquidi) senza perderci troppo. Il presidente Jean-Pierre Roth ha tuttavia già annunciato che l’entità degli utili da distribuire a cantoni e Confederazione è destinato a diminuire nei prossimi anni.

swissinfo: La Confederazione ha stanziato 6 miliardi di franchi per salvare UBS, mentre la banca annuncia bonus per 2,2 miliardi di franchi. È una scelta ragionevole?

S.R: In realtà la maggior parte di questi “bonus” non sono legati a delle prestazioni particolari ottenute dai dipendenti sui mercati finanziari, ma fanno parte del loro contratto di lavoro. Gli impiegati di UBS hanno una parte di stipendio fisso e una parte di stipendio variabile che è particolarmente elevata, sebbene inferiore al 2007. È un modo come un altro per incentivarli e motivarli a lavorare dando il massimo delle loro capacità.

Di questi 2,2 miliardi solo 700 milioni circa sono stati versati in denaro contante per obblighi contrattuali e oltretutto più della metà sono destinati ai collaboratori di rango medio-basso. Questi impiegati non ricevono la tredicesima a fine anno come accade in altri settori. Si tratta dunque di un arrotondamento dello stipendio più che benvenuto in questo momento di crisi e che non è nemmeno esagerato considerando lo stress a cui sono stati sottoposti nel 2008.

swissinfo: L’opinione pubblica, le associazioni dei consumatori e diversi partiti politici hanno però gridato allo scandalo…

S.R: La comunicazione in seno all’UBS è stata molto deficitaria, mal preparata e mal presentata. Anche la tempistica non è stata accuratamente scelta. Bisognava spiegare alla popolazione che i bonus di cui si parla non sono quelli milionari distribuiti gli anni scorsi alla direzione generale o al consiglio di amministrazione, ma una parte di stipendio inserita nel contratto dei collaboratori ai vari livelli della gerarchia aziendale.

Se l’UBS va bene è anche grazie al contributo di questi impiegati. Viceversa, se la banca va male non è per forza colpa dei suoi collaboratori ma degli alti dirigenti che hanno fatto scelte megalomani e su basi sbagliate. Chi sta in cima alla gerarchia aziendale dovrebbe pagare tutte le conseguenze di questo tracollo, mentre chi sta sotto le subisce sulla propria pelle ma non ne è in realtà responsabile.

swissinfo: L’impressione è però che a pagare non siano tanto i dirigenti, quanto i contribuenti chiamati alla cassa…

S.R: È senza dubbio curioso che queste perdite legate al settore americano di UBS vengano caricate sulle spalle del cittadino svizzero. Dovrebbe essere la Federal Reserve, e di conseguenza i contribuenti americani, ad assumersi il rischio di questi attivi tossici e non la BNS. Spetterebbe ai cittadini americani – che hanno finanziato i loro consumi attraverso debiti che non potevano permettersi – contribuire a risollevare l’UBS. Anche perché in Svizzera la banca ha sempre ottenuto buoni risultati.

Il problema di fondo è che la posizione della Svizzera è troppo debole, non soltanto nei confronti dell’Unione Europea ma anche degli Stati Uniti. Dato che il segreto bancario dà particolarmente fastidio agli americani, il Consiglio federale preferisce non alzare troppo la voce e lasciar correre, anche quando avrebbe tutto il diritto di protestare.

Se l’UBS avesse deciso di chiudere tutte le proprie attività negli Stati Uniti, quante persone si troverebbero adesso senza un lavoro? La disoccupazione sarebbe alle stelle e spetterebbe al governo americano farvi fronte. La Svizzera ha un margine di manovra in questo campo come in altri, una potenzialità che deve soltanto imparare a sfruttare sul piano negoziale.

Intervista swissinfo, Stefania Summermatter

Perdita record: nel 2008 UBS chiude con un deficit di 19,7 miliardi di franchi, di cui 8,1 nel solo 4° trimestre.

Nel 2007 la perdita era stata di «soli» 5,2 miliardi.

Deflusso di capitali: 226 miliardi di franchi nel 2008.

Ristrutturazione: 2’000 impieghi in meno nell’Investment banking, che si aggiungono agli altri 9’000 annunciati dall’inizio della crisi.

In Svizzera saranno soppressi tra i 600 e gli 800 posti di lavoro, sia nell’Investment banking che nella gestione patrimoniale.

A dicembre 2008 il numero totale di dipendenti è stato ridotto del 7% a 77’783 unità.

In Svizzera UBS contava a fine anno 26’406 collaboratori (-5%).

UBS nasce il 1° luglio 1998 dalla fusione di Unione di banche svizzere e Società di banche svizzere.

Nei primi otto anni d’attività UBS moltiplica i risultati record.

I problemi iniziano nel 2007 con la crisi ipotecaria negli Stati Uniti. A causa della forte esposizione nel settore dei crediti ipotecari (subprime) UBS moltiplica le perdite ed è confrontata a un deflusso di capitali.

A fine anno è costretta a ricorrere al primo aumento di capitale. Il fondo sovrano di Singapore e un investitore medio-orientale anonimo sottoscrivono un prestito convertibile di 13 miliardi di franchi.

Nell’aprile 2008 gli azionisti approvano un secondo aumento di capitale di 15 miliardi.

In ottobre UBS è in preda a una grave crisi di liquidità: Confederazione e Banca nazionale svizzera (BNS) intervengono con un massiccio piano di salvataggio, iniettando altri 6 miliardi di franchi nel capitale di UBS.

La banca può trasferire i suoi «attivi tossici» in una società apposita per un totale di 60 miliardi di dollari.

Nel luglio 2008 UBS deve recitare il mea culpa davanti al Senato americano per il suo coinvolgimento in alcuni casi d’evasione fiscale.

Già in crisi di fiducia, deve far fronte anche alle critiche per i bonus di 2,2 miliardi di franchi distribuiti ai suoi collaboratori.

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