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“Ogni paese è un caso a sé”

Hugo Loetscher nel suo studio Ex-press

Il vecchio e rodato federalismo potrebbe diventare un intralcio: lo afferma lo scrittore e filosofo Hugo Loetscher, che preconizza un nuovo federalismo che travalichi i confini elvetici.

swissinfo ha incontrato questo instancabile analista dei comportamenti politici e sociali, che in dicembre compirà 79 anni, in margine alla Giornata del federalismo a Baden.

Come Max Frisch e Friedrich Dürrenmatt, anche Loetscher osserva sempre la Svizzera con sguardo critico. Ma contrariamente a Dürrenmatt, egli non ha mai percepito la Svizzera come una sorta di prigione.

swissinfo: Lei viaggia molto, eppure non si lamenta mai dell’angustia della Svizzera. Vista da lontano la Svizzera sembra forse più grande?

H.L.: Penso che quando si conoscono altri paesi l’atteggiamento verso il proprio cambi. Questo in due sensi: da una parte si diventa più critici, dall’altra si scoprono peculiarità di cui in precedenza non ci si era mai accorti.

Nel contempo ci si rende conto di come tante cose che si credevano tipicamente elvetiche, in realtà non sono assolutamente specificità svizzere, ma semplicemente varianti di qualcos’altro.

Per esempio, al termine di una conferenza al Cairo sulla situazione del tedesco in Svizzera, in relazione alla lingua scritta e a quella parlata, un autore egiziano mi spiegò che nel suo Paese hanno esattamente lo stesso problema con l’arabo standard utilizzato per scrivere e il dialetto che si parla normalmente.

All’estero non si perde il senso dei problemi in Svizzera, ma si vedono da angolazioni diverse.

swissinfo: Ci si potrebbe immaginare che un paese minuscolo come la Svizzera potrebbe essere governato con un sistema centrale. Perché mai è invece ancora così fortemente federalista?

H.L.: In primo luogo per motivi storici. La Svizzera è nata dall’unione di Stati autonomi: un’alleanza di Stati che si è poi trasformata in uno Stato federalista. La sua multiculturalità è relativamente recente. Al patto del Grütli non si parlava romancio. Nemmeno i romandi erano presenti. Per preservare la pluralità delle culture era necessaria una struttura federalista.

Molti elementi del nostro Stato federalista sono oggi superati. L’esempio più eclatante è la scuola. Abbiamo più di venti diversi sistemi. Già solo per la migrazione, oggi ciò non è più adeguato.

Il federalismo elvetico può diventare un ostacolo anche nelle relazioni con l’Europa. Perciò occorre trovare una nuova forma di federalismo, un federalismo a livello europeo e forse persino oltre i confini europei. Dobbiamo attuare dei cambiamenti nel nostro paese, non possiamo restare aggrappati a ogni piccolo elemento federalista.

swissinfo: La Svizzera fa parte del contesto europeo. È legata all’Unione europea da accordi bilaterali, ma non ne è membro. Questa situazione danneggia il paese?

H.L.: Per me e per la mia generazione il dibattito europeo non rappresenta una novità. Per noi l’Europa era la questione più urgente, perché non volevamo mai più una guerra.

Faccio parte dei sostenitori dell’adesione all’UE e considero fatale per il paese restarne fuori. Come svizzero sono già europeo. Tutta la cultura è orientata oltre i confini nazionali, da Ginevra verso la Francia, da Bellinzona verso Milano, da Zurigo verso Berlino. La vecchia concezione che si aveva del centro e della periferia non è ormai più valida. Così, per esempio, il Portogallo che una volta appariva lontano, ai margini dell’Europa, recentemente ha assunto la presidenza di turno dell’UE.

Si tratta di una trasformazione di pensiero determinante in un mondo globalizzato: nel globo ogni punto è un centro.

Il confronto, per esempio con l’Islam, comporta la necessità di interessarsi degli altri e di capire. Quello che fa parte degli altri fa parte anche della propria identità.

In passato nella Zurigo protestante c’era anche una chiesa cattolica. Ma ai cattolici era stato proibito di erigere campanili e suonare le campane. Erano quelle della chiesa protestante più vicina che suonavano per i cattolici. Potrebbe essere una soluzione per la diatriba sui minareti: si permetterebbe di costruirli, ma si proibirebbe la chiamata alla preghiera. Questo compito lo svolgerebbe la pastora della cattedrale (di Zurigo, Ndr). (ride).

swissinfo: Che ruolo potrebbe svolgere la Svizzera in Europa?

H.L.: C’è gente che dice che la Svizzera, con la sua esperienza federalista, potrebbe fungere da esempio. Ma io avrei una domanda provocatoria: con tutto il rispetto, cosa avremmo fatto se i grigionesi fossero stati neri e i ticinesi musulmani? Avremmo avuto la possibilità di costruire così facilmente uno Stato federalista?

La fondazione del nostro Stato è avvenuta in condizioni favorevoli. Il paese allora era ancora grosso modo omogeneo. Oggi dobbiamo combinare insieme fattori estremamente eterogenei, come origini e religioni disparate. In Svizzera oggi c’è più gente che parla albanese o portoghese che romancio.

In sintesi, secondo me, riguardo alla questione europea, la Svizzera deve diventare un paese fra gli altri, per essere così nuovamente un paese.

Il problema sarà trovare un equilibrio fra le nostre specificità e le innovazioni. La Svizzera dovrà trovare la sua strada, esattamente come gli altri paesi.

Nelle nostre menti abbiamo impressa l’immagine di una Svizzera contadina. Siamo un paese tecnologicamente molto sviluppato, eppure nei nostri pensieri ci sono sempre una Heidi e le sue montagne. Ma in quei villaggi di montagna oggi ci sono strade piene di boutiques.

swissinfo: La Svizzera si descrive volentieri come un caso particolare. In che misura lo è davvero?

H.L.: Non conosco alcun paese che non sia un caso a sé. In Svizzera ciò è anche legato alla storia. Nella Seconda Guerra mondiale abbiamo avuto la fortuna di essere un caso speciale, nella misura in cui, nel mezzo del conflitto, siamo potuti rimanere neutrali. Ma per il resto non c’è nulla di così specifico che ci avrebbe distinti dagli altri.

Un autore zurighese già alla fine del 18esimo secolo descriveva la Svizzera come un caso speciale. Egli scriveva allora che il tipico svizzero ha la sensazione di far parte di un popolo eletto.

Dopo che avevamo notato che non eravamo i migliori in tutto, improvvisamente ci eravamo sentiti i più miserabili. Eccoci di nuovo un caso speciale.

Di fatto in questo paese la frase veramente sovversiva e provocatrice è: siamo apparentemente nella media come il resto dell’Europa. Per molti svizzeri è inaccettabile il pensiero di essere più o meno come gli altri.

swissinfo, intervista di Corinne Buchser e Susanne Schanda
(Traduzione dal tedesco di Sonia Fenazzi)

Hugo Loetscher è nato nel 1929 a Zurigo. Oggi figura fra gli scrittori svizzeri più noti.

Dopo studi di scienze politiche, sociologia e lettere a Zurigo e a Parigi, dal 1958 al 1962 è stato redattore alla rivista culturale “du”. Dal 1964 al 1969 ha lavorato come critico letterario al settimanale “Weltwoche”.

Dal 1965 soggiorna regolarmente all’estero: in Europa, America latina ed Estremo Oriente.

Dal 1969 lavora come scrittore e pubblicista indipendente.

Loetscher è docente invitato in diverse università in Svizzera, negli Stati Uniti, a Monaco di Baviera e a Porto.

Insignito di numerose onorificenze letterarie, ha fra gli altri ottenuto il prestigioso Premio Schiller nel 1992.

L’ispettore delle fogne, 2001.
Se Dio fosse svizzero, 2004.
Il mondo dei miracoli. Un incontro brasiliano, 2006.

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