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Dalla Russia, con disperazione

Molte giovani russe una volta giunte in Svizzera vengono costrette a prostituirsi Keystone

"Traffico di donne" dalla Russia alla Svizzera: l'ambasciata elvetica si mobilita. Le organizzazioni di difesa delle donne sono scettiche.

In Svizzera il fenomeno della “prostituzione importata” è in aumento. Dopo la caduta del muro di Berlino, la guerra nell’ex Jugoslavia e l’apertura delle frontiere in Europa si sono formate vere e proprie organizzazioni criminali dedite al traffico di “schiave del sesso”, provenienti dall’Europa orientale, in particolare dalla Russia.

Mosca è uno dei centri di questo commercio. Dalla capitale russa le donne vengono mandate sui mercati polacchi, asiatici e tedeschi. Alle giovani viene prospettato un avvenire economico fiorente. Ma la realtà è ben diversa.

Secondo dati forniti dall’amministrazione cittadina moscovita, esistono più di 330 “imprese”, dedite a questo tipo di “affari”. Ogni anno vengono “esportate” in questo modo 50’000 cittadine russe.

Il miraggio di una “vita migliore”

Molte giovani russe, spesso con una buona formazione scolastica ma in situazioni economiche difficili, si lasciano tentare dal miraggio di un lavoro lautamente retribuito nella ricca Svizzera. Attirate da allettanti annunci si presentano all’ambasciata svizzera a Mosca per ottenere un visto turistico che le porterà nella “terra promessa”, ignorando tuttavia quello che le aspetta.

L’ambasciata svizzera a Mosca si è resa conto del problema e ha adottato dei provvedimenti, che dovrebbero permettere di frenare il drammatico fenomeno.
In collaborazione con un’organizzazione non governativa russa la sede diplomatica elvetica ha deciso di esaminare più attentamente le richieste di visti per la Svizzera. I risultati di questa misura non si sono fatti attendere: in tre mesi sono state respinte 66 richieste.

Organizzazioni scettiche

Una cifra che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, preoccupa le organizzazioni che lottano contro il “traffico di esseri umani”.
“Quello che fa l’ambasciata è ottimo dal punto di vista umano”, spiega a swissinfo Marianne Schertenleib, responsabile dei contatti con la stampa al Centro d’informazione per donne (FIZ) di Zurigo, ma il rifiuto, magari arbitrario, di un visto, a qualcuno che ne avrebbe assolutamente bisogno, è problematico.”

Secondo Marianne Schertenleib i criteri di scelta dell’ambasciata dovrebbero essere trasparenti e giustificabili. “Sempre più spesso le nostre sedi diplomatiche all’estero non concedono visti turistici perché affermano che determinate condizioni non sono soddisfatte”. Una spiegazione tutt’altro che trasparente. “Molte volte, più che di protezione si tratta di angherie che queste donne devono subire”, sottolinea la portavoce del FIZ.

Priorità all’informazione

L’ambasciata svizzera a Mosca non si limita però ad una verifica più particolareggiata della richiesta di visti. Opuscoli e articoli della stampa svizzera, tradotti in russo vengono messi a disposizione, perfino sul sito Internet della sede diplomatica, per rendere attente le giovani donne sui pericoli nei quali incorrono. Un provvedimento sostenuto anche dal FIZ, secondo il quale l’informazione è la cosa più importante.

Le cittadine russe alle quali viene negato il visto devono però conoscere le motivazioni esatte del rifiuto, dice Marianne Schertenleib e avere la possibilità di opporsi per via amministrativa o legale, a questo rifiuto.

Leggi più severe e diritto di soggiorno

In generale, per lottare più efficacemente contro il fenomeno della tratta di essere umani bisognerebbe inasprire le leggi in materia. “Ci sono troppo poche condanne di persone che si macchiano di questi delitti”, dice Marianne Schertenleib, “e così le leggi non hanno abbastanza presa”.

Finora il governo svizzero ha sempre rinviato una vera e propria discussione sul tema.
Le cosiddette “ballerine” fruttano allo Stato svizzero 9,5, milioni di franchi sotto forma di imposte alla fonte.

Queste donne non possono cambiare lavoro e non facendo parte dei Paesi dell’UE non ottengono un regolare permesso di lavoro. Sono dunque illegali e nel caso di difficoltà, anche gravi, non osano rivolgersi alla polizia per paura di essere espulse dalla Svizzera.

Organizzazioni come il FIZ chiedono pertanto che venga creato un diritto di soggiorno per vittime di questo traffico. Un diritto per permettere loro di rompere finalmente questo circolo vizioso.

Elena Altenburger

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