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Riflessioni di un frontaliere svizzero

Claudio Gianettoni, frontaliere "al contrario" swissinfo.ch

Claudio Gianettoni è uno dei pochi ticinesi a compiere il percorso inverso rispetto alle decine di migliaia di frontalieri che si spostano ogni mattina dall'Italia per andare a lavorare in Svizzera. Ritratto.

La Lega dei ticinesi ha appena vinto le elezioni cantonali, e le affermazioni del suo presidente a vita Giuliani Bignasca sulla necessità di ridurre il numero di frontalieri hanno avuto ampio risalto in Italia, suscitando parecchie reazioni. Sulla base della propria esperienza, Claudio Gianettoni va decisamente controcorrente.

A scanso di equivoci: Claudio Gianettoni è un ticinese DOC, originario della Valle Verzasca. Un ticinese diventato frontaliere per svolgere l’attività di responsabile del Distretto commerciale di Varese, incarico ricevuto grazie alla sua esperienza internazionale di consulente aziendale, sia per il settore pubblico sia per quello privato.

Al nostro incontro arriva con una bicicletta elettrica, esempio di uno dei tanti progetti in cui è impegnato: mettere a disposizione dei turisti che atterrano all’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo) il velocipede e trasportare gratuitamente i loro bagagli agli alberghi che aderiscono all’iniziativa. Sul percorso scelto vengono poi segnalate diverse proposte personalizzate – musei, concerti, rassegne gastronomiche – in base ai gusti del ciclo-turista.

«La mia attività consiste nell’analizzare quanto esiste sul territorio e sviluppare idee per rendere l’offerta più interessante, evitando i doppioni», riassume Gianettoni.

Vicini lontani

Il suo osservatorio è privilegiato: gli chiediamo quindi – in un periodo caratterizzato da accese discussioni sulla reciprocità tra Italia e Svizzera – se da parte delle aziende ticinesi vi sono tentativi concreti per inserirsi nel mercato del nord-Italia.

«Guardi, le posso fare l’esempio degli impresari costruttori di Lugano: non si interessano nemmeno agli appalti al di là del Monte Ceneri, dato che ritengono di avere già abbastanza lavoro. Figuriamoci quindi se vogliono davvero lavorare in Italia, dove bisogna fare i conti con tanta burocrazia e imparare a conoscere i meccanismi specifici».

Più in generale, aggiunge, «noto che il Ticino istituzionale non sa com’è organizzata la controparte italiana. Vi sono tanti ticinesi di buona volontà che – in vista di un possibile accordo di collaborazione – si incontrano regolarmente con interlocutori italiani privi dell’autorità decisionale che possiede un funzionario del cantone Ticino».

Domande da porsi

La scarsa conoscenza della controparte ha conseguenze molto pratiche: «Qui ci arrabbiamo dicendo che gli italiani rubano il lavoro. Se però andiamo a vedere la legge regionale della Lombardia per l’artigianato, scopriamo che esiste un finanziamento per chi svolge attività all’estero: invece di lamentarci, dobbiamo chiederci perché una simile norma non esiste anche da noi!»

Claudio Gianettoni si domanda pure «perché ci sono voluti duecento anni per istituire un’antenna dell’amministrazione cantonale ticinese a Berna [il delegato ticinese ha cominciato la sua attività nel 2011], cioè per capire l’importanza di essere presenti laddove sono prese le decisioni?».

A titolo di paragone, fa notare, «la Valle d’Aosta – che ha 110’000 abitanti, non 370’000 come il Ticino – dispone di proprie rappresentanze a Bruxelles e a Parigi, dove gli imprenditori possono ritrovarsi, discutere e lavorare».

Politica ed economia

Secondo Gianettoni, anche i problemi relativi alla fiscalità tra la Confederazione e l’Italia andrebbero gestiti in modo maggiormente pragmatico.

«La Svizzera è il terzo investitore istituzionale nella Penisola: è impensabile che questo dato di fatto non abbia un peso adeguato! La politica e l’economia devono unirsi e andare insieme a Roma per discutere le problematiche tra i due paesi».

Se questo non avviene, aggiunge, «significa che i legami tra il mondo politico e quello economico non sono sufficientemente forti. Forse le difficoltà attuali non sono in realtà abbastanza gravi per mettere tutti d’accordo… E questo è un problema svizzero, non italiano. Per ottenere risultati occorre essere uniti, agire in modo coordinato, e il Ticino dovrebbe dal canto suo essere capace di agire come rappresentante della Svizzera in Italia».

Il peso del passato

Già, i rapporti tra Ticino e Italia. Gianettoni ha le idee chiare: «Tutti i ticinesi che hanno avuto un nonno ticinese sanno cosa significa la fame, la carestia, la necessità di fare l’emigrante».

Nello stesso tempo, «anche i ticinesi di seconda generazione – che sono stati un elemento fondamentale per la crescita del cantone – non possono chiedere di sbarrare le frontiere. Sarebbe un suicidio: per continuare a crescere, il Ticino non può fermarsi qui!».

Inoltre, «nei ticinesi è a mio parere ancora presente una sorta di paura atavica nei confronti dell’Italia, retaggio della cacciata dalla Lombardia a metà Ottocento [da parte delle autorità austriache, le quali accusavano quelle ticinesi di proteggere gli agitatori liberali] e del periodo dei “fortini della fame” [opere di fortificazione a Sementina e Camorino]».

In realtà, conclude, «non dovremmo invece dimenticare quanti sono riusciti ad avere successo con il loro lavoro, basti pensare ai grandi costruttori del barocco. Il Ticino – che si è sviluppato proprio grazie all’emigrazione – non può e non deve sprecare le sue potenzialità chiudendosi su sé stesso».

L’Italia è da anni il secondo partner commerciale della Svizzera in ordine di importanza e la sua bilancia commerciale presenta regolarmente un’eccedenza (nel 2009 2,1 miliardi di franchi).

La Penisola è il terzo mercato d’esportazione per la Confederazione e il secondo paese di provenienza delle importazioni elvetiche.

Con investimenti diretti per 22 miliardi di franchi, la Svizzera, l’ottavo paese investitore in ordine di importanza, crea 78’000 posti di lavoro in Italia.

Viceversa, i sei miliardi di franchi di investimenti diretti italiani occupano 13’000 persone in Svizzera.

Fonte: Dipartimento federale degli affari esteri

Gli ultimi dati disponibili concernenti lo spostamento di frontalieri in uscita dal cantone Ticino risalgono al 2000, in occasione del censimento federale della popolazione.

I lavoratori che viaggiavano quotidianamente verso l’estero (quindi l’Italia) erano allora 429. A recarsi ogni mattina in Svizzera, partendo da sud, sono invece circa 45’000 persone (dati del 2010).

Nel 2002 è entrato in vigore l’accordo bilaterale sulla libera circolazione delle persone.

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