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Decreto Tremonti: e poi?

La Paradeplatz di Zurigo, il cuore della finanza elvetica: ulteriori amnistie fiscali da parte di altri Stati possono svuotare il salvadanaio svizzero? Keystone

Esaurita la minaccia dello scudo fiscale, la piazza finanziaria svizzera, soprattutto quella ticinese, conta i miliardi sfuggiti di mano. E se anche altri Stati seguissero l'esempio italiano?

Il conto alla rovescia è terminato. Il tempo a disposizione dei contribuenti italiani per annunciare al fisco il rientro dei capitali “nascosti” all’estero scade mercoledì 15 maggio. Per chi non ne ha approfittato, Tremonti, il ministro dell’economia del governo Berlusconi, prevede tempi grami. “Dopo la carota, arriverà il momento in cui useremo il bastone”.

La Banca d’Italia auspicava il rientro del 20% degli averi italiani piazzati nel mondo, vale a dire circa 100 miliardi di euro. Tale esagerato obiettivo (o proclama politico?) non è stato evidentemente raggiunto. Ma i soldi rimpatriati non sono pochi. Mancano dati definitivi, ma si parla di 30-40 miliardi di euro.

“Dal punto di vista economico, si tratta di una misura intelligente, soprattutto in un paese come l’Italia. Il ritorno alla superficie di parecchi capitali incrementerà il gettito fiscale. Il problema tuttavia è che sono premiati coloro che non hanno rispettato la legge evadendo soldi al fisco. Si pone una questione di giustizia fiscale”, precisa il professor Stéphane Garelli dell’istituto IMD di Losanna.

Svizzera in prima fila

La stragrande maggioranza dei capitali italiani all’estero è depositata in Svizzera: ben 400 miliardi di euro su 550. Di questo importo, circa 250 miliardi sono gestiti sulla piazza finanziaria ticinese. Facile dunque che buona parte degli averi che hanno risposto all’appello di Tremonti provengano dai forzieri svizzeri e, in particolare, luganesi.

“Il flusso finanziario verso la penisola dovrebbe rappresentare il 10% del valore complessivo dei patrimoni privati italiani in Svizzera”, rileva Thomas Suter, portavoce dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB). La percentuale è confermata anche dalle grandi banche (UBS e Credit Suisse) e da istituti ticinesi come la BSI o la Banca del Gottardo. Un salasso tutto sommato sostenibile per l’economia elvetica.

Le filiali in Italia delle stesse banche svizzere riescono addirittura a recuperare un buon 50% dei capitali rimpatriati. Ma un rischio permane. Che, almeno in parte, con gli averi emigrino anche i posti di lavoro. In Ticino è già realtà: parecchi istituti investono in Italia e riducono il personale al di qua del confine. Una tendenza certo influenzata anche dal decreto Tremonti.

Nuove amnistie in vista?

Secondo dati recenti, l’11% del PIL elvetico è generato dal settore bancario. Significativo. Le banche amministrano circa 3’500 miliardi di franchi. In questo oceano finanziario, la quota parte dei capitali stranieri rappresenta ben il 56% del totale!

Cosa accadrebbe se altri Stati decidessero di attuare politiche fiscali simili a quella italiana? È fantascienza immaginare un ridimensionamento della gestione patrimoniale in Svizzera? Quali sarebbero le conseguenze per l’economia nazionale?

All’ASB si stemperano i pericoli. “I cittadini stranieri non investono in Svizzera soltanto per sfuggire alle rispettive autorità fiscali. I nostri istituti e la nostra piazza garantiscono stabilità, competenza e qualità. Pregi che non perderemmo a causa di una qualsiasi politica fiscale estera”, sottolinea Thomas Suter.

L’impatto varierebbe poi in funzione di dove l’amnistia sarebbe introdotta. Belgio e Spagna stanno pensando di farlo. La Francia ne ha già proposte un paio, con scarso successo, negli anni ’80. La Germania non ci pensa nemmeno. “Ma attenzione, cambiano i governi e con loro le politiche” precisa Thomas Suter.

Cosa ne pensa il professor Garelli? “Un’amnistia fiscale è difficile da far digerire ai Parlamenti. La maggioranza deve essere forte e compatta a difesa del progetto. I rischi per la Svizzera di assistere alla moltiplicazione di azioni come quella italiana sono quindi minori di quelli derivanti dalle pressioni della Commissione europea sul segreto bancario”.

Un’euroamnistia?

Se fosse la stessa UE a presentare un’amnistia orchestrata a livello comunitario? Niente è impossibile, ma questa possibilità appare molto remota.

I quindici dovrebbero infatti accordarsi dal punto di vista giuridico e politico su un tema, la fiscalità, che resta di competenza dei singoli Stati. “Molto più semplice che i governi interessati agiscano da soli”, precisa Stéphane Garelli.

La minaccia di una mega-amnistia sembra dunque solo teorica. Ma, il settore non deve abbassare la guardia. Probabilmente, a medio termine, “la fortuna delle banche elvetiche non potrà più basarsi su eccezioni giuridiche come il segreto bancario nella sua forma attuale” conclude il professore dell’IMD di Losanna. Come dire che l’importanza delle condizioni macroeconomiche, della qualità dei servizi e delle competenze professionali è costantemente in crescita.

Marzio Pescia

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