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L’India, la Svizzera e i piccoli contadini

Piantagione di tè nell'ovest del Bengala. In seno all'OMC, l'India vuole negoziare una clausola sulla sovranità alimentare, con l'obiettivo di salvaguardare i piccoli produttori. Keystone

All’OMC l’India continua a impedire un accordo di libero scambio per salvaguardare i sussidi che concede ai suoi piccoli contadini e alla sua popolazione più povera. Una posizione sostenuta dal sindacato contadino Uniterre, che ha lanciato un’iniziativa popolare per garantire la sovranità alimentare anche in Svizzera.


In seno all’Organizzazione mondiale per il commercio la crisi perdura. È quanto constatato durante l’ultima riunione del Consiglio generale (organo esecutivo) lo scorso 21 ottobre. Il problema è costituito dal rifiuto dell’India di confermare l’accordo adottato alla conferenza ministeriale dell’OMC a Bali Collegamento esternonel dicembre del 2013, un testo sostenuto all’epoca anche da Nuova Dehli.

L’India aveva ottenuto che il suo programma di aiuto alimentare – l’acquisto di grano ai piccoli agricoltori locali a un prezzo superiore a quello di mercato e la rivendita alla popolazione a un prezzo inferiore – non fosse toccato dall’accordo, prima di un nuovo negoziato in programma nel 2017 che avrebbe dovuto perpetuare questo tipo di programma d’aiuto alimentare.

Ora, poco dopo il suo arrivo al potere nel maggio scorso, il nuovo primo ministro indiano Narendra Modi ha rimesso in questione l’intesa, affermando di voler negoziare subito una clausola sulla sovranità alimentare dell’India, senza attendere il 2017.

L’esempio del Brasile

Per l’ex capo negoziatore svizzero all’OMC, Luzius Wasescha, la svolta dell’India non è giustificata: «Nessuno può mettere in causa il diritto all’alimentazione. Sul piano della comunicazione, Nuova Dehli su questo tema ha una posizione forte. Ma se l’India fosse più aperta al mondo, la sua economia andrebbe meglio e meno persone soffrirebbero la fame e avrebbero bisogno di questo programma speciale».

«Quel che si può dire dal punto di vista dell’OMC è che non è l’obiettivo di questa politica a essere contestato, ma il metodo utilizzato, con una doppia sovvenzione che non è neppure notificata all’OMC. Anche i paesi in via di sviluppo hanno un minimo di obblighi»

Un’altra potenza emergente, il Brasile, è diventata una grande esportatrice agricola senza proteggere i suoi contadini dalla concorrenza internazionale. E senza rinunciare a portare avanti un ampio programma di aiuto alla popolazione più povera. L’India non potrebbe seguire la stessa strada?

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Questo contenuto è stato pubblicato al Gli sforzi della Svizzera di aumentare la propria autosufficienza alimentare potrebbero indicare una via alternativa al modo corrente di pensare l’agricoltura, afferma l’ambientalista e attivista indiana Vandana Shiva.

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La militante ecologista e figura di spicco dell’altermondialismo, l’indiana Vandana ShivaCollegamento esterno, respinge questa argomentazione: «In Brasile centinaia di migliaia di ettari di terreno possono essere detenuti da una sola persona. Questo in India non è permesso dalla legge. E il governo non può riscrivere la legge fondiaria. Inoltre il 70% del cibo consumato nel mondo è prodotto da piccole aziende. Le piccole aziende producono di più e ciononostante perdura il mito che l’agricoltura su larga scala sarebbe la risposta alla fame».

Con o senza l’OMC

Ma in effetti, non è legittimo volere mantenere un’agricoltura di sussistenza invece di un’agricoltura votata all’esportazione?

«Ma certo», risponde Luzius Wasescha. «Con la Norvegia, la Svizzera è sempre ai primi posti nelle sovvenzioni all’agricoltura. Lo facciamo proprio per salvaguardare il settore agricolo. Ma perseguiamo questa politica con strumenti riconosciuti dall’OMC. L’India potrebbe fare la stessa cosa. Solo che per motivi ideologici il governo indiano non accetta il principio che un paese come l’India debba rispettare una disciplina analoga a quella dei paesi industrializzati».

L’analisi non è condivisa dal sindacato svizzero Uniterre, che sostiene la posizione indiana. «L’OMC non è il contesto giusto per discutere queste questioni. Il gendarme del commercio non favorisce l’agricoltura su piccola scala, ma solo le grandi aziende agroalimentari. Preferiamo che non ci sia nessun accordo», afferma la segretaria del sindacato contadino Valentina Hemmeler Maïga.

«Il programma d’aiuto alimentare dell’India non danneggia altri paesi. Ogni Stato deve avere il diritto di definire la sua politica agricola e alimentare, in Svizzera come in India», aggiunge.

Per questa ragione Uniterre ha lanciato un’iniziativa popolare dal titolo «Per la sovranità alimentare. L’agricoltura riguarda tutte e tutti»Collegamento esterno. L’iniziativa chiede che l’approvvigionamento con alimenti di produzione svizzera sia preponderante e che la loro produzione abbia cura delle risorse naturali. Il ricorso agli organismi geneticamente modificati (OGM) sarebbe definitivamente bandito.

Vandana Shiva vede con molto favore il progetto. «Se c’è un paese che può indicare un’altra via nell’agricoltura, questo è la Svizzera. Anche se Syngenta (multinazionale agroalimentare, NdR) ha la sua sede in Svizzera, la popolazione svizzera ha deciso una moratoria sugli OGM. Questo dimostra che il potere delle grandi aziende non necessariamente fa presa sui cittadini. E questo grazie al diritto d’iniziativa».

Nuovi legami tra campagna e città

Yvan Droz, professore di sociologia dello sviluppo all’Istituto di studi superiori internazionali e sullo sviluppo (IHEID) di Ginevra, ritiene che l’iniziativa vada nella giusta direzione, come pure quella lanciata dall’Unione svizzera dei contadini, che chiede un approvvigionamento della popolazione con derrate alimentari provenienti da una produzione svizzera sostenibile e diversificata.

Coautore di uno studio sulla difficile situazione dei contadini (Malaise en agriculture)Collegamento esterno Yvan Droz osserva che in Svizzera gli aiuti statali spesso non bastano: «Tra la metà e due terzi delle fattorie non fanno utili. Funzionano in perdita. Gli agricoltori lavorano 51 o 52 settimane l’anno, 80 ore la settimana. E tutto questo senza guadagnare un soldo, nonostante gli aiuti statali».

Tuttavia, in Svizzera come altrove, l’approccio all’alimentazione sta cambiando. Anche se rappresentano solo una piccola percentuale della popolazione, i contadini trovano maggiore ascolto nella popolazione urbana. Ne è una prova la rapida crescita nelle città di associazioni e cooperative di consumatori e produttori locali, in Svizzera come in tutta Europa.

Secondo Yvan Droz, questa potrebbe essere una strada interessante per l’agricoltura: «La carica simbolica dell’alimentazione è forte. Si è ciò che si mangia. Una produzione locale ben definita crea un legame di confidenza tra produttore e consumatore. Una confidenza che era stata messa in crisi da una serie di scandali alimentari».

Contro i prodotti chimici

In India tuttavia le sovvenzioni all’agricoltura sono quasi triplicate tra il 2004 e il 2011, passando da 10,3 a 29,1 miliardi di dollari. E sono destinate soprattutto all’acquisto di fertilizzanti, all’irrigazione, all’elettricità e alla semenza. Non sarebbe possibile ridurre le sovvenzioni con pratiche agricole più sostenibili?

«È proprio questo il lavoro che sto facendo con il governo indiano», risponde Vandana Shiva. «La sola maniera di ridurre le sovvenzioni è di uscire dalla trappola chimica, che in ogni caso non è mai stata necessaria all’agricoltura. Le imprese che avevano fabbricato prodotti chimici per la guerra hanno pensato al modo di continuare a commercializzare questi prodotti tossici. Ci hanno chiusi in un sistema completamente insostenibile, dove il mondo ricco spende 400 miliardi di dollari l’anno in sovvenzioni all’agricoltura».

L’OMC nella tormenta

Nella sua riunione del 21 ottobre, il Consiglio generale dell’Organizzazione mondiale del commercio non è riuscito a trovare un consenso sull’attuazione dell’accordo di facilitazione degli scambi (TFA) stipulato alla fine del 2013 a Bali. L’India ha preso di sorpresa i suoi partner rifiutandosi in luglio di firmarlo.

Definito all’epoca «storico« perché si trattava del primo accordo di liberalizzazione del commercio dopo la creazione dell’OMC, il «pacchetto di Bali» comprende tre aspetti: l’impegno a ridurre le sovvenzioni agricole per i prodotti destinati all’esportazione, un aiuto allo sviluppo basato su forti riduzioni delle tariffe doganali per i prodotti dei paesi più poveri e un programma di semplificazione delle pratiche amministrative alle frontiere.

Molti temono che con un nuovo fallimento l’OMC perda la sua credibilità di fronte alla proliferazione di accordi di libero scambio bilaterali.

Non così Luzius Wasescha, ex negoziatore svizzero all’OMC: «Questi accordi si basano in larga misura sul diritto dell’OMC. In certi ambiti ci si spinge un po’ più in là con la riduzione delle tariffe doganali e degli ostacoli al commercio. Ma non si tratta di misure incompatibili con le regole dell’OMC».

Wasescha ricorda inoltre che l’organismo svolge altre attività essenziali per il commercio internazionale, quali la soluzione dei conflitti commerciali, i negoziati di accesso di nuovi paesi, la sorveglianza delle politiche commerciali nazionali e globali e l’assistenza tecnica.

Secondo il diplomatico svizzero, le discussioni in seno all’OMC non sono bloccate da un conflitto tra nord e sud, ma piuttosto da un conflitto tra Washington e Bruxelles. «Gli Stati Uniti hanno il loro sistema con le loro norme, analogamente all’Unione europea, non solo in ambito agricolo, ma in tutti gli ambiti. Fino a quando non ci sarà un accordo tecnico tra Washington e Bruxelles su tutte le questioni che bloccano l’OMC a Ginevra non ci saranno risultati bilaterali tra USA e UE, né in seno all’OMC. È una realtà che relativizza il peso dei paesi emergenti».

(traduzione di Andrea Tognina)

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