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Dopo i bilaterali rimane ancora lontana l’adesione all’Unione europea

Una stella svizzera nella bandiera europea sembra un'opzione ancora lontana Keystone

Anche dopo l’approvazione degli accordi bilaterali, la Svizzera resta divisa sulla questione europea. Per gli uni il risultato della votazione rilancia il progetto di adesione all’Unione europea, per gli altri congela invece ogni nuova ambizione.

L’accettazione degli accordi bilaterali rappresenta un passo importante verso l’Europa. Questa interpretazione del voto del fine settimana, sostenuta dal campo degli europeisti, è tutt’altro che condivisa dai difensori della via solitaria, il famoso Alleingang della Svizzera. Lo scontro tra le due fazioni si preannuncia ancora molto lungo ed intenso.

Secondo i sostenitori di una maggiore apertura verso l’Europa, occorreva almeno un buon 60 percento di voti in favore degli accordi per nutrire serie speranze di lanciare e vincere una nuova battaglia sull’adesione all’Unione Europea (UE). Il risultato dello scrutinio, 67 percento di SI, permette in tal senso di confortare questa visione.

Per gli oppositori all’apertura, invece, la selta del popolo non corrisponde assolutamente ad un voto in favore dei 15. Se la Svizzera ha approvato a grande maggioranza gli accordi, è proprio perché intende seguire questa via e vuole evitare ad ogni costo il pericolo di un’adesione ai progetti comunitari.

Un’interpretazione, questa, sostenuta ad esempio dall’Unione democratica di centro che, a denti stretti, aveva appoggiato per finire gli accordi, nonostante l’opposizione di una decina di sezioni cantonali. Secondo l’UDC, l’accettazione dei bilaterali permette di regolare i rapporti con l’UE e cancella ogni dibattito sulla questione dell’adesione.

Un’opinione condivisa anche dalla Lega dei ticinesi e dai Democratici sivzzeri, i due partiti che avevano lanciato il referendum contro i bilaterali. A loro giudizio, il voto rappresenta un punto di arrivo, oltre il quale il popolo svizzero non intende andare. I Democratici svizzeri hanno chiesto inoltre al Consiglio federale di ritirare la domanda di adesione, inoltrata nel 1992 a Bruxelles.

Posizioni simili sono state espresse anche dai rappresentanti di alcune categorie professionali. L’Unione svizzera delle arti e mestieri, che raggruppa i piccoli imprenditori, esclude ogni tentativo di rilanciare il dibattito sull’adesione, considerata una seria minaccia per gli interessi delle piccole e medie aziende. Tra i più diffidenti nei confronti dei 15 figurano inoltre diverse associazioni dei contadini, che temono fortemente una maggiore apertura del mercato per i prodotti agricoli.

Mentre il Vorort, l’associazione del padronato, assume un atteggiamento prudente sulla questione dell’adesione, i principali sindacati si schierano piuttosto in favore di un ulteriore passo verso l’Europa. Per le federazioni dei lavoratori, la Svizzera dovrebbe adeguare il proprio diritto del lavoro a quello adottato dai 15, giudicato molto più elevato e avanzato. I sindacati chiedono comunque al Consiglio federale di applicare efficacemente le misure di accompagnamento per evitare un peggioramento sul mercato del lavoro e, in particolare, il rischio di un dumping salariale.

Tra gli altri partiti politici, l’adesione viene caldeggiata soprattutto dai socialisti e dai verdi. Per entrambi bisogna lanciare subito il dibattito su una maggiore integrazione europea e aprire rapidamente i negoziati sulla domanda di adesione. Un atteggiamento molto più attendista viene manifestato invece dal Partito radicale democratico e dal Partito popolare democratico.

Di fronte a queste divisioni rimane piuttosto delicata la posizione del Consiglio federale che, per il momento, assapora il sostegno accordato dal popolo alla via dei bilaterali. Per il governo svizzero l’adesione all’UE rimane un obbiettivo strategico da seguire a lungo termine: la domanda presentata ai 15 non va intanto né ritirata, né rilanciata. Il Consiglio federale vuole limitarsi nel frattempo a concentrarsi sui nuovi dossier che rimangono in sospeso con Bruxelles, a cominciare da quello sulla fiscalità e sul segreto bancario sollecitato da alcuni paesi membri dell’UE e dalla Commissione europea.

Nonostante i pareri contrapposti, la questione dell’adesione ritornerà presto nelle mani di tutte le forze politiche. Già durante la sessione di giugno, il parlamento dovrebbe infatti chinarsi su un’iniziativa popolare che chiede l’apertura dei negoziati con l’UE. Resistendo alle pressioni, i promotori dell’iniziativa «Sì all’Europa» hanno deciso finora di non ritirare il loro progetto politico. E difficilmente cederanno ora, dopo il 67 percento di voti raccolto in favore dei bilaterali.

Armando Mombelli

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