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Una Svizzera in “stand by” lotta contro la recessione

Keystone

Il secondo pacchetto di sostegno alla congiuntura, da 710 milioni di franchi, ha superato mercoledì l'ultimo scoglio parlamentare. Una politica dei «piccoli passi» che non fa tuttavia l'unanimità. La parola a due esperti.

Dopo il Consiglio Nazionale (Camera del popolo) lunedì, il Consiglio degli Stati (Camera dei cantoni) ha dato mercoledì il via libera al secondo piano di rilancio economico da 710 milioni di franchi, che vanno ad aggiungersi ai 900 milioni già stanziati a dicembre.

Il pacchetto contempla una serie di investimenti a favore delle infrastrutture stradali e ferroviarie, per il miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni, ma anche per ricerca, energia solare e ambiente. Misure puntuali giudicate però insufficienti dalla sinistra, che voleva un piano più ambizioso, e fin troppo generose dall’Unione democratica di centro (UDC).

Misure puntuali o piani di rilancio?

«Nell’affrontare la crisi – prima finanziaria e poi economica – i governi dei diversi paesi hanno scelto due impostazioni», spiega Lino Terlizzi, giornalista ed analista economico. «Alla strategia americana dei grandi piani di rilancio o sostegno economico, si oppone quella tedesca dei piccoli passi. Uno spirito, questo, che sembra pervadere anche l’azione della Confederazione, che ha preferito non cedere alla tentazione dei grandi annunci a carattere psicologico».

«Il mercato svizzero si contraddistingue per un certo pragmatismo», prosegue Terlizzi, «e non credo che consumatori e imprenditori si lascino influenzare da questi proclami. Hanno più che altro bisogno di risultati concreti».

Sta di fatto che in un periodo di recessione, la fiducia nel futuro non è sicuramente alle stelle, precisa Délia Nilles, responsabile del settore ricerca all’HEC di Losanna. «La Svizzera è in una fase di stand by che porta i consumatori a risparmiare, malgrado il calo dei prezzi e dei tassi di interesse».

Di fronte a questo scenario, Délia Nilles si mostra dunque piuttosto scettica: «Non voglio dire che il piano varato dal governo non servirà a nulla, ma avrà sicuramente un impatto limitato. L’economia svizzera è troppo piccola e dipendente dal settore delle esportazioni perché queste misure siano davvero efficaci».

Anche perché, precisa Nilles, «l’entità dei due pacchetti corrisponde allo 0,4% circa del Prodotto interno lordo svizzero». Una quota piuttosto limitata rispetto ad altri paesi occidentali che, come nel caso degli Stati Uniti, hanno investito più del 5%.

Uno squilibrio «doloroso, ma necessario»

Per far fronte alla crisi, il governo svizzero ha stanziato finora poco più di un miliardo e mezzo a sostegno dell’economia e diverse decine per la sua piazza finanziaria. Uno squilibrio che ha suscitato non poche perplessità anche perché se nel primo caso l’impatto sui consumatori è diretto, nel secondo resta piuttosto vago.

La Svizzera non aveva però alternative, secondo Lino Terlizzi. «Se un paese ha una piazza finanziaria importante non può permettersi – in questa fase di recessione – di concentrarsi soltanto sull’economia reale. Viceversa, quando è quest’ultima ad avere un ruolo maggiore, allora tutte le risorse possono essere impiegate per rilanciarla».

«Nel caso svizzero, dunque, sarebbe stato irragionevole e azzardato non sostenere la piazza finanziaria e in particolare l’UBS. È stata una scelta dolorosa, ma inevitabile».

Una crisi diversa dalle altre

Inevitabile, per uscire dalla recessione senza troppi scossoni, è anche la collaborazione verticale tra Confederazione, cantoni e comuni. «Le misure messe a punto dal governo federale non hanno alcun senso se prese singolarmente», ammonisce Délia Nilles. «Ci vuole una maggior consapevolezza da parte di tutti gli attori coinvolti, una strategia coordinata che permetta alla Svizzera di essere pronta quando l’economia ricomincerà a girare per il verso giusto».

Dello stesso avviso anche Lino Terlizzi che sottolinea comunque quanto sia difficile fare previsioni di fronte a una situazione del tutto nuova, per origine e dimensione. «Questa crisi è profondamente diversa da quella del 1929 e non soltanto per il suo carattere internazionale, ma soprattutto perché è partita dal settore finanziario statunitense per riflettersi – in una sorta di cammino inverso – sull’economia reale».

«Ci vorrà senza dubbio del tempo per riprendersi», conclude Terlizzi, «ma sono convinto che proprio perché all’origine vi è un eccesso di finanza, l’economia reale può ancora contare su dei meccanismi di rilancio».

swissinfo, Stefania Summermatter

Prima fase dal gennaio 2009 (totale 900 milioni di franchi):

Liberazione delle riserve di crisi delle casse federali: 550 milioni

Abrogazione del blocco dei crediti: 205 milioni

Aumento della spesa per la protezione contro le inondazioni: 66 milioni

Contributi alla promozione dell’alloggio: 45 milioni

Spese per costruzioni civili: 20 milioni

Promozione delle esportazioni: 5 milioni.

Seconda fase dall’estate 2009 (totale 710 milioni):

Miglioramento delle infrastrutture, in particolare trasporti ferroviari e stradali: 530 milioni

Investimenti in energia e ambiente: 90 milioni

Finanziamenti supplementari per la ricerca: 50 milioni

Altri settori, tra cui turismo: 40 milioni.


Misure supplementari dal 2009-2010 (non ancora quantificabili finanziariamente):

Prolungamento da 12 a 18 mesi delle indennità per lavoro parziale, allo scopo di limitare i licenziamenti presso le imprese in difficoltà.

Aumento dei contributi all’assicurazione contro i rischi delle esportazioni in favore delle aziende esportatrici confrontate a carenze di liquidità.

Modifica della legge che promuove la costruzione di abitazioni e l’accesso alla proprietà.

Sgravi fiscali, in particolare per le famiglie, allo scopo di favorire i consumi.

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