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Il Credit Suisse sfugge al peggio negli USA

«Nessuna istituzione finanziaria è al di sopra della legge», ha ribadito il ministro di giustizia USA Eric Holder. Keystone

Le reazioni all’annuncio dell’intesa raggiunta tra il Credit Suisse e il Dipartimento di giustizia statunitense per chiudere la procedura contro la banca sono in generale di sollievo. L’istituto svizzero deve sì pagare una multa di 2,8 miliardi di dollari, ma conserva la sua licenza negli USA e può ora guardare avanti.

Colpevole di aver cospirato per aiutare facoltosi clienti americani ad evadere le tasse. Il Credit Suisse ha accettato lunedì di pagare una multa miliardaria per chiudere la procedura avviata dal Dipartimento di giustizia (DoJ) statunitense.

L’intesa non implica la revoca della licenza bancaria e – per la Confederazione – esclude la trasmissione di dati dei clienti della banca.

Il governo svizzero, che non ha partecipato direttamente ai negoziati, ha accolto «favorevolmente» l’accordo, che permette alla banca «di porre fine alle pluriennali controversie giuridiche». In una conferenza stampa organizzata martedì mattina a Berna, la ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf ha dichiarato che non dovendo far ricorso al diritto d’urgenza (per trasmettere dati di clienti), l’ordine giuridico e la piazza finanziaria svizzera escono rafforzati. Una parte della vertenza è chiusa, ha affermato Widmer-Schlumpf, ricordando che vi sono ancora alcune banche che stanno negoziando con gli Stati Uniti. Ogni caso sarà esaminato individualmente e la multa record inflitta al Credit Suisse non costituisce un campione di misura, ha aggiunto.

Impatto ridotto sulle attività

«Siamo molto rammaricati per i passati comportamenti scorretti che hanno portato a questo accordo», ha indicato dal canto suo il presidente della direzione del Credit Suisse. Brady Dougan ha inoltre indicato di «aspettarsi un impatto molto ridotto sulle attività della banca». Del resto, martedì mattina l’azione del gruppo ha aperto in netto rialzo alla Borsa svizzera.

Ai microfoni della radio svizzero tedesca SRF, Urs Rohner, presidente del consiglio d’amministrazione del Credit Suisse, ha dal canto suo indicato di non considerarsi responsabili per quanto fatto dalla banca negli Stati Uniti. Una constatazione che vale anche per Brady Dougan.

«Personalmente ci sentiamo bianchi come neve», ha dichiarato Rohner. Sapere però se tutta la banca ha la coscienza tranquilla, è un’altra cosa, ha precisato. La direzione si assume comunque tutta la responsabilità e continuerà a farlo.

Le prime richieste di dimissioni dei vertici della banca, in particolare di Dougan e di Rohner, sono intanto iniziate a piovere. Un paio di parlamentari socialisti ne hanno fatto espressamente richiesta, domandando anche che i dirigenti restituiscano i loro bonus. Dougan ha però dichiarato di non aver mai preso in considerazione la possibilità di dimettersi. Il presidente della commissione dell’economia del Consiglio nazionale, il liberale radicale zurighese Ruedi Noser, ha dal canto suo lanciato un appello alla moderazione. Dichiarandosi colpevole, «il Credit Suisse ha risolto i suoi problemi senza il sostegno dello Stato, i politici devono rispettare tutto ciò».

L’Associazione svizzera dei banchieri si è associata al governo esprimendo il suo sollievo per il fatto che l’ordine giuridico svizzero sia stato rispettato. L’accordo – aggiunge l’ASB – permette alla banca di fare una croce sul passato e di concentrarsi nuovamente sulle sue attività.

Al termine di un’indagine sulle attività di Credit Suisse con clienti americani fra il 2000 e il 2008, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari FINMA constata che la banca ha gravemente mancato ai suoi obblighi di determinazione, limitazione e controllo dei rischi. L’istituto ha applicato le misure ordinate dall’autorità: ora il procedimento è stato archiviato senza altri provvedimenti nei confronti della banca, si legge in un comunicato diramato martedì.

La FINMA aveva avviato a febbraio del 2011 un’inchiesta nei confronti di Credit Suisse sui rischi legati ad affari con clienti americani privati a partire dal 2000. L’organismo aveva allora rivelato «violazioni importanti degli obblighi di determinazione».

L’istituto si è esposto «negli Stati Uniti a dei rischi giuridici e di reputazione eccessivamente elevati», ha sottolineato la FINMA, concludendo che i rischi si sono infine «materializzati».

«Nessuna banca è al di sopra della legge»

La banca, su cui pendeva il capo d’imputazione di associazione per delinquere, ha ammesso di aver fornito assistenza ai suoi clienti affinché presentassero dichiarazioni dei redditi non corrette. Un rapporto del Senato americano stimava che nel 2006 il Credit Suisse deteneva tra 10 e 12 miliardi di dollari di 22’000 clienti statunitensi, soldi in gran parte non dichiarati.

Il Credit Suisse diventa così la prima banca negli ultimi 20 anni a dichiararsi colpevole di un reato negli Stati Uniti: l’ultima volta era infatti successo alla giapponese Daiwa Bank nel 1995. L’intesa rappresenta un segno del cambiamento di marcia del DoJ, duramente criticato oltre Atlantico per aver trattato troppo con i guanti di velluto le banche dopo la crisi finanziaria del 2008.

«Questo caso mostra come nessuna istituzione finanziaria, qualunque sia la sua dimensione, è al di sopra della legge», ha sottolineato il ministro di giustizia Eric Holder in una conferenza stampa indetta lunedì sera a Washington. «Il Credit Suisse ha cospirato per aiutare i cittadini americani a nascondere i propri attivi offshore al fine di evadere le tasse», ha affermato Holder, spiegando che centinaia fra dipendenti e manager della banca hanno avuto un ruolo nell’aiutare i ricchi americani ad aggirare il fisco. «Quando una banca è impegnata in una tale cattiva condotta, deve attendersi di essere perseguita penalmente dal Dipartimento di giustizia».

Fattura molto più salata che per l’UBS

L’ex banchiere del Credit Suisse e dell’UBS Bradley Birkenfeld, che aveva testimoniato contro i suoi ex datori di lavoro nel 2007, reagisce al verdetto con un sentimento ambivalente.

«Da un lato, è gratificante vedere che finalmente il Credit Suisse sia tenuto per responsabile delle sue pratiche di frode fiscale transfrontaliera. Dall’altra, è a dir poco scandaloso che il Dipartimento di giustizia (DoJ) ha trascinato i piedi per anni», dichiara a swissinfo.ch.

«Nella primavera del 2007, ho testimoniato sull’operato non solo dell’UBS, ma anche del Credit Suisse. Entrambe le banche erano coinvolte in questi affari illeciti. Ho lavorato per i due istituti e ho visto cosa succedeva».

Nel 2009 Birkenfeld è stato condannato a 40 mesi di prigione per non aver aiutato clienti americani a evadere il fisco. Per la sua testimonianza, che aveva portato all’apertura di una procedura contro l’UBS, l’informatore aveva poi ricevuto nel 2012 una ricompensa di 104 milioni di dollari dall’Internal Revenue Service (IRS, il servizio delle imposte statunitense).

Per Scott Michel, avvocato di clienti dell’UBS e di Credit Suisse, «la decisione del DoJ di incolpare una banca mondiale importante, piuttosto che concludere un Deferred Prosecution Agreement [ndr: accordo di differimento dell’accusa, la procedura utilizzata con l’UBS], rispecchia evidentemente la gravità dell’operato dell’istituto», indica a swissinfo.ch, ricordando che nel 2009 l’UBS se l’era «cavata» con una multa di 780 milioni di dollari per risolvere una vertenza analoga.

Una soluzione che soddisfa entrambi

Il vice ministro di giustizia statunitense, Jim Cole, ha spiegato che la differenza di trattamento tra le due banche è dovuta alla mancanza di cooperazione del Credit Suisse e al suo atteggiamento imperturbabile ostentato durante i tre anni di inchiesta.

Direttore del Centro di diritto bancario e finanziario dell’Università di Ginevra, Luc Thévenoz ritiene invece che la differenza di trattamento tra le due banche si spiega con il contesto finanziario ed economico mondiale. «Siamo usciti dalla crisi finanziaria, il Credit Suisse ha dei fondi propri solidi e può far fronte a queste multe», ha indicato alla radio RTS La Première.

I procuratori hanno fissato una multa elevata, ma che non minaccia né il Credit Suisse né i suoi dipendenti a Wall Street, afferma da parte sua Beckett Cantley, professore di diritto fiscale alla John Marshall Law School di Atlanta. «Sembra che il DoJ e il Credit Suisse abbiano trovato un accordo che permette al primo di ottenere la vittoria che desiderava, evitando al secondo di essere minacciato in quanto istituzione e di impedire così il sisma economica provocato da un fallimento bancario maggiore».

La seconda banca svizzera è finita nel 2010 sotto inchiesta negli Stati uniti, sotto l’accusa di aver aiutato migliaia di cittadini americani ad evadere il fisco

Il 25 febbraio scorso, una sottocommissione d’inchiesta del Senato americano ha accusato Credit Suisse di aver servito oltre 22’000 clienti statunitensi con un patrimonio complessivo di circa 12 miliardi di franchi, di cui tra l’85 e il 95% non è stato tassato.

Il 26 febbraio, deponendo davanti alla sottocommissione permanente d’inchiesta del Senato americano assieme a tre collaboratori, il presidente della direzione di Credit Suisse Brady Dougan ha ammesso comportamenti scorretti da parte di alcuni dipendenti dell’istituto in relazione a clienti americani che hanno evaso il fisco. Il management non ne era però al corrente.

Il 19 maggio Credit Suisse si è dichiarato colpevole di aver cospirato per aiutare facoltosi clienti americani ad evadere le tasse e ha accettato di pagare 2,8 miliardi di dollari per chiudere l’indagine avviata dal Dipartimento di giustizia.

2008

Bradley Birkenfeld, ex collaboratore di UBS, ammette davanti a un giudice americano di aver aiutato clienti a frodare il fisco quando era alle dipendenze della banca. L’UBS finisce sotto inchiesta negli Stati uniti.

2009

Stati Uniti e Svizzera firmano l’accordo definitivo sulla vicenda UBS. Berna trasmetterà nello spazio di un anno i dati relativi a 4450 conti UBS. La banca paga una multa di 780 milioni di dollari.

2010

Dopo l’ultima trasmissione da parte della Svizzera di dati riguardanti i casi di assistenza amministrativa, l’autorità fiscale statunitense IRS ritira definitivamente l’azione civile contro UBS.

Le autorità fiscali e giudiziarie americane aprono però delle inchieste a carico di 14 altre banche, con sede in Svizzera, tra cui Credit Suisse, HSBC Suisse, le banche cantonali di Basilea e Zurigo, Julius Bär e la Banca Wegelin.

2011

Il Dipartimento di giustizia americano chiede alle banche svizzere informazioni sui clienti delle banche sotto inchiesta.

2012

Il governo autorizza anche la consegna di dati criptati relativi alla clientela. La chiave per decifrarli dovrebbe venir consegnata solo nel quadro di una procedura di assistenza amministrativa o giudiziaria, oppure dopo una soluzione globale della vertenza fiscale.

Sotto la minaccia di un procedimento giudiziario, la Banca Wegelin, il più vecchio istituto di credito elvetico, chiude i battenti e vende le sue attività non americane al gruppo Raiffeisen.

Le Camere federali accettano una modifica dell’accordo di doppia imposizione tra Svizzera e Stati Uniti. Con questo documento, La Confederazione si impegna a fornire agli USA assistenza amministrativa in questioni fiscali anche in caso di domande raggruppate.

2013

Il Consiglio federale rilascia a diverse banche l’autorizzazione a cooperare con gli Stati Uniti per appianare le controversie fiscali. L’autorizzazione non concerne i dati della clientela.

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