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Charles Lewinsky: «Oggi non esiste più un solo tipo di famiglia ebrea»

Il romanzo di Charles Lewinsky "La fortuna dei Mejier" traccia la storia di una famiglia di ebrei svizzeri dal 1871 al 1945. Keystone

Centocinquant’anni fa, gli ebrei residenti in Svizzera accedevano alla parità giuridica e civica. La loro storia, piena di ostacoli, è stata raccontata da Charles Lewinsky nel romanzo «La fortuna dei Meijer». Un tuffo nel passato in compagnia dello scrittore zurighese.

«La fortuna dei Meijer», romanzo imponente (più di 700 pagine) e avvincente, pubblicato nel 2006, è la saga di una famiglia argoviese ebrea, che si staglia su cinque generazioni, dal 1871 al 1945.

swissinfo.ch: Quando gli ebrei residenti in Svizzera hanno potuto accedere alla parità giuridica nel 1866, vivevano principalmente nel canton Argovia e più precisamente nei villaggi di Lengnau e Endingen. Per quali motivi?

Charles Lewinsky: Per due ragioni: economica e fiscale. Prima di parlarne, devo però fare una precisazione storica. Durante l’Antico Regime, Argovia non era un cantone ma un baliaggio. Non aveva gli stessi diritti dei cantoni sovrani da cui dipendeva e che avevano posto alla sua testa un governatore chiamato balivo. Quest’ultimo aveva bisogno, nel suo baliaggio, di ebrei. Per una ragione economica, aveva scelto come luogo di residenza per loro Endingen e Lengnau, perché questi due villaggi si trovavano a prossimità di grandi centri dove si tenevano dei mercati, come la città di Baden. Gli ebrei, mercanti di bestiame e commercianti ambulanti, vendevano i loro prodotti in questi mercati. La sera dovevano però rientrare nei loro villaggi. Erano obbligati.

Charles Lewinsky è nato nel 1946 a Zurigo.

Scrittore, drammaturgo e regista, Lewinsky ha pubblicato il suo primo libro – intitolato Hitler auf dem Rütli – nel 1984.

In italiano sono stati tradotti tre suoi romanzi: «La fortuna dei Mejier» (Einaudi, 2007), «Un normalissimo ebreo» (Abendstern, 2014) e «Un regalo del Führer» (Einaudi, 2014).

In quest’ultimo romanzo, Lewinsky ritraccia la storia di Kurt Gerron, uno degli attori cinematografici e teatrali degli anni ’20 più amati dal pubblico, tra i cui ruoli spiccano in particolare quello dell’Illusionista nell’Angelo Azzurro e di Tiger Brown nell’Opera da tre soldi di Bertold Brecht.

Con l’avvento di Hitler, l’ebreo Gerron prende la via dell’esilio, ma non riesce ad attraversare l’Atlantico. Nel 1943 viene catturato in Olanda e da qui deportato a Theresienstadt. Il responsabile del campo di concentramento gli chiede di girare un film di propaganda per mostrare all’opinione pubblica internazionale quanto sia bella la vita nella città-lager. Alla fine delle riprese Gerron è deportato ad Auschwitz dove viene immediatamente ucciso assieme alla moglie.

Del film girato a Theresienstadt sussistono ancora solo alcuni stralci.

L’altro motivo era l’imposta. Il balivo aveva inventato tutta una serie di tasse a cui erano soggetti gli ebrei: imposta sul matrimonio, sulla costruzione di una sinagoga, ecc. Il denaro raccolto finiva nelle sue tasche.

swissinfo.ch: È proprio a Endingen e Lengnau che inizia il suo romanzo «La fortuna dei Meijer». Seguendo la storia di una famiglia ebrea, mostra quanto l’emancipazione sia indispensabile per l’integrazione. Vero o falso?

C.L.: Non formulerei le cose in questo modo. Il mio romanzo inizia nel 1871, quando l’emancipazione era già diventata realtà, ma gli ebrei non si erano ancora ‘mossi’. Mi spiego. Immaginatevi un uccello imprigionato in una gabbia per diversi anni. Gli aprite la porta, ma non vola via subito, perché si è abituato a stare rinchiuso.

Un aspetto tipico della storia degli ebrei in Svizzera è la loro professione. Sono stati mercanti di bestiame, almeno all’inizio, come Salomon, il «patriarca» della famiglia nel mio romanzo. Più tardi, i loro discendenti sono usciti dal confinamento in cui rimanevano i loro avi, diventando, ad esempio, mercanti di tessuti, per poi evolvere nell’ambiente della moda. Si sono così trasferiti in città come Baden o Zurigo. Ci è voluta una generazione però per vedere una diversificazione dei mestieri degli ebrei.

swissinfo.ch: Se dovesse scrivere un romanzo su una famiglia ebrea che vive in Svizzera nel XXI secolo, direbbe che conserva ancora un certo timore nei confronti dell’emancipazione?

C.L.: È una domanda a cui è difficile dare una risposta, poiché presuppone che esista un solo tipo di famiglia ebrea, come nel caso de «La fortuna dei Meijer». All’epoca in cui si svolge il mio romanzo, si era obbligati a vivere nello stesso villaggio, si avevano gli stessi costumi, lo stesso sguardo sulla religione e così via. Oggi esistono diversi tipi di famiglia ebrea: atee, credenti, tradizionaliste, moderniste, ecc. Come scegliere? Il ventaglio è molto ampio…

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swissinfo.ch: I pregiudizi però persistono. Qua e là in Europa, l’antisemitismo è ancora presente. In quanto scrittore ebreo, lo ha subito?

C.L.: Personalmente no. Se l’antisemitismo nel mondo fosse come quello in Svizzera, la vita sarebbe un paradiso. Posso menzionare un aneddoto. Qualche settimana fa ho scritto un articolo politico apparso sul Tages-Anzeiger. Vi sono state molte reazioni. Sono stato trattato da idiota, da maledetto intellettuale, da sinistroide, ecc. Non sono però stato confrontato con nessun attacco antisemita. Sono rimasto sorpreso in bene. È piuttosto un segnale positivo. Ciò non significa che l’antisemitismo non esista. Ha diverse forme.

swissinfo.ch: Quali?

C.L.: Posso fare un esempio. Sono un membro di una comunità ebraica a Zurigo. Quando vado alla sinagoga, sono sottoposto a controlli per ragioni di sicurezza. Questo controllo costa molto denaro alla comunità, è indispensabile, ma lo Stato non partecipa finanziariamente. È un po’ come se toccasse a noi ebrei assicurare la nostra sicurezza. Si chiederebbe a un protestante o a un cattolico di assicurare la propria protezione?

swissinfo.ch: Da qualche anno la questione dell’antisemitismo è ritornata in primo piano in Europa. Come reagisce agli attentati di Parigi di gennaio e di novembre 2015?

C.L.: Nella storia dell’umanità vi è sempre stata una comunità religiosa che improvvisamente decideva di essere la sola a detenere la Verità e che doveva imporla a tutte le altre. È il lato oscuro di tutte le religioni, che corrono sempre il rischio di diventare, in un determinato momento, fanatiche. Detto ciò, attaccare l’altro perché è ebreo, cristiano o musulmano, non è dovuto solo a ragioni religiose. La religione è però sempre una buona scusa per fare la guerra. Sfortunatamente non sono un politico e non ho soluzioni per questi problemi. Non posso fare altro che trovare mostruosi gli attentati di Parigi.

swissinfo.ch: A volte dispera per quanto concerne la capacità di tolleranza dell’essere umano?

C.L.: Non sono un ottimista. Considero che l’essere umano non sia molto intelligente. Non ha mai tratto le lezioni del passato. Perché dovrebbe cambiare oggi?

swissinfo.ch: Per concludere, vorrebbe indicare una personalità ebrea che, a suo avviso, ha contrassegnato la storia di questo paese?

C.L.: No, non lo farò. Credo che la storia di questo paese sia stata fatta dagli svizzeri e non c’è nulla da aggiungere. Che siano cattolici, ebrei o buddisti mi è indifferente. Designarne uno o dieci significa creare un ghetto. E di ghetti proprio non ne voglio.

Traduzione di Daniele Mariani

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