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Erdogan rilancia le purghe, mille arresti in rete Gulen

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan KEYSTONE/AP/LEFTERIS PITARAKIS sda-ats

(Keystone-ATS) A dieci giorni dal vittorioso referendum sul presidenzialismo, ancora contestato dall’opposizione, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan rilancia le purghe di massa contro i suoi oppositori.

Con una maxioperazione condotta da 8500 agenti in tutto il Paese, nelle scorse ore sono stati arrestati almeno 1120 affiliati alla presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Ma le retate a tappeto sono ancora in corso: i mandati di cattura per sospetti a piede libero sono in tutto 3224.

Secondo il ministro degli interni, Suleyman Soylu, i ricercati “si erano infiltrati nella polizia” e “hanno cercato di guidarla dall’esterno, formando una struttura alternativa”. Per l’accusa, gli arrestati erano delle figure di coordinamento dell’organizzazione di Gulen. L’operazione di oggi rappresenta quindi un “passo importante” nello “smantellamento” della supposta rete eversiva.

I blitz scatenano però nuovi allarmi in Europa sulla repressione di Erdogan. “Abbiamo preso atto con preoccupazione di questi arresti di massa, così come per altri che abbiamo osservato in passato”, ha fatto sapere il ministero degli esteri tedesco. Secondo Berlino, “è giusto che venga fatta piena chiarezza sul tentato golpe dell’anno scorso, ma bisogna rispettare lo stato di diritto e i principi della proporzionalità”.

Dal fallito colpo di stato del 15 luglio, sono oltre 47’000 le persone finite nelle carceri della Turchia per presunti legami con i gulenisti. Tra queste, almeno 10’700 poliziotti e 7400 militari.

Nel frattempo, non si fermano le proteste contro i presunti brogli nel referendum sul superpresidenzialismo di Erdogan. Dopo i ricorsi respinti prima dalla Commissione elettorale suprema e ieri anche dal Consiglio di Stato, il principale partito di opposizione, il kemalista Chp, ha annunciato che chiederà l’annullamento del voto alla Corte europea dei diritti umani.

L’esito della consultazione, vinta di misura dal sì con il 51,4%, continua a dividere, soprattutto per le accuse di manipolazioni e la decisione della Commissione elettorale di considerare come valide anche le schede senza il suo timbro ufficiale, criticata anche dagli osservatori internazionali dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce).

La distanza tra Ankara e Bruxelles sembra allargarsi sempre di più. “L’Ue non vuole in alcun modo chiudere la porta al popolo turco, che resta un popolo amico con cui cerchiamo il dialogo”, ma “la pena di morte rappresenta una linea rossa”, ha ribadito il presidente dell’europarlamento, Antonio Tajani, in apertura di un dibattito in plenaria sulla Turchia.

“L’Europa non è un continente islamofobo”, ha aggiunto Tajani in risposta alle accuse di Ankara dopo la decisione dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa di rimettere il Paese sotto la procedura di pieno monitoraggio. Uno status da cui era uscito nel 2004, quando i negoziati di adesione all’Ue non erano ancora cominciati. “È arrivato il momento di un dibattito aperto e amichevole sul futuro del rapporto tra Unione europea e Turchia”, ha constatato il commissario per le politiche di Vicinato e Allargamento, Johannes Hahn.

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