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Fukushima e l’inversione di rotta sul nucleare

In Svizzera l'energia fotovoltaica è ancora agli inizi. Keystone

Ancora poche settimane or sono, l’abbandono del nucleare non figurava in cima all’elenco delle priorità di nessun partito. Pur avendo inserito questo punto nel loro programma, nemmeno socialisti e Verdi lo ritenevano prioritario, mentre i partiti borghesi difendevano l’atomo a spada tratta.

Poi è venuto l’11 marzo e la catastrofe di Fukushima ha cambiato le carte in tavola. In diversi sondaggi condotti tra la popolazione, la stragrande maggioranza delle persone intervistate si è detta contraria all’energia nucleare.

Preso atto che l’atomo non gode più del sostegno della maggioranza del Paese, socialisti e Verdi si sono affrettati a inserire l’abbandono del nucleare nel loro elenco delle priorità, badando bene a puntualizzare di essersi sempre opposti a questo tipo di energia.

Dopo aver professato non più tardi di gennaio il proprio sostegno alle centrali nucleari in quanto “tassello irrinunciabile” per la sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Svizzera, due settimane dopo Fukushima i popolari democratici (PPD) hanno invertito rotta e si sono schierati a favore dell’abbandono dell’atomo. I Liberali (PLR), dal canto loro, hanno alternato reazioni di sostegno all’uscita dal nucleare a messaggi di ammonimento per i blackout che ne potrebbero derivare.

Il giovane Partito borghese democratico (PBD), nato da una costola dell’Unione democratica di centro (UDC), ha puntato tutto sull’uscita dall’atomo, eppure prima di Fukushima si era detto favorevole alla sostituzione della centrale nucleare di Mühleberg. L’UDC, infine, ha messo in guardia dal commettere l’errore madornale di prendere decisioni affrettate.

Dibattito sul nucleare alla vigilia delle elezioni

 

Alla fine di maggio, il Consiglio federale ha stabilito con una decisione di principio che, allo scadere delle autorizzazioni di esercizio, le centrali nucleari attualmente in funzione non saranno sostituite da nuovi impianti.

L’8 giugno, il Consiglio nazionale ha approvato tale decisione. Se anche il Consiglio degli Stati farà altrettanto in autunno rimane per il momento un’incognita. In ogni caso, il dibattito andato in scena alla Camera bassa ha consentito ai partiti di posizionarsi, alla vigilia delle elezioni federali, su una questione, quella nucleare, di fondamentale importanza per una buona parte della popolazione.

Una scelta basata sulla speranza

 

“Sono perfettamente consapevole dell’appuntamento elettorale di ottobre. Purtroppo, per molti partiti presenti in questa sala, il sostegno all’uscita dal nucleare altro non è altro che un tentativo di accaparrarsi elettori a breve termine”, ha dichiarato il capogruppo UDC Caspar Baader, aggiungendo che, secondo il suo partito, tale abbandono è irrealistico e si basa esclusivamente sul principio della speranza.

Il capogruppo democentrista ha altresì rimarcato che “la Svizzera esisterà anche dopo il 23 ottobre e a quel punto gli elettori non faranno certo i salti di gioia quando verrà loro a mancare la corrente elettrica, o quando le tasse di incentivazione faranno schizzare alle stelle la bolletta dell’elettricità, o ancora quando i posti di lavoro con un elevato fabbisogno energetico saranno trasferiti all’estero.”

I Liberali sono divisi

 

In casa liberale le posizioni sulla questione dell’uscita dal nucleare divergono. Ufficialmente, il partito vuole tenersi aperte tutte le porte, in particolare quelle legate a possibili nuove tecnologie nucleari. Per questo motivo, l’8 giugno il PLR ha preferito astenersi dal voto e ora spera che, in autunno, il Consiglio degli Stati ribalterà la decisione adottata dal Nazionale.

Secondo il presidente dei Liberali Fulvio Pelli “l’ora della verità” non è ancora scoccata. Nel frattempo, la sezione PLR del Cantone di Vaud e alcuni esponenti PLR del Parlamento federale si sono però già pronunciati chiaramente per l’abbandono.

“Se l’uscita dall’atomo dovesse fallire per causa nostra – paventa il consigliere nazionale PLR lucernese Otto Ineichen – il nostro partito subirà pesanti contraccolpi alle elezioni di ottobre e perderà la propria credibilità sulle questioni ecologiche.”

Un’alleanza rosso-verde-borghese

I due partiti borghesi PPD e PBD sono chiaramente a favore di un’uscita dal nucleare. In linea di principio, questa loro posizione è identica a quella di socialisti, Verdi e Verdi liberali. I due fronti, tuttavia, non concordano sulla tempistica dell’abbandono e soprattutto sul quando spegnere i due reattori più vecchi della Svizzera – Beznau e Mühleberg – se immediatamente oppure tra dieci anni allo scadere della loro autorizzazione di esercizio.

Mentre socialisti e Verdi chiedono di uscire il più rapidamente possibile dal nucleare, PPD e PBD propendono per un abbandono graduale, ossia per attendere che il ciclo di vita delle cinque centrali nucleari svizzere giunga regolarmente alla fine.

Pareri discordi in seno all’alleanza rosso-verde-borghese pro-abbandono del nucleare si rilevano anche in merito alla complessa questione del come impostare concretamente la futura politica energetica svizzera, questione nella quale rientrano anche temi come il centesimo sull’energia elettrica per finanziare la ricerca sulle energie rinnovabili, la prassi di autorizzazione per nuovi impianti, l’efficienza energetica e i potenziali di risparmio.

La catastrofe nucleare di Fukushima ha sì rafforzato il fronte antinucleare nella maggior parte dei Paesi UE, ma sinora solo la Germania ha decretato una moratoria sull’atomo e l’idea di sottoporre tutte le centrali dell’Unione a stress test standardizzati fatica a farsi largo.

  

16 Paesi UE su 27 puntano sull’energia nucleare per il proprio approvvigionamento energetico. L’energia prodotta dai 143 reattori presenti sul territorio dell’Unione europea rappresenta un terzo della produzione totale e copre circa il 15 per cento del fabbisogno complessivo. Conformemente al Trattato di Lisbona, ogni Stato è libero di decidere se fare o meno uso dell’energia nucleare.

Messi alle strette dalle discussioni sul clima e sull’approvvigionamento energetico, negli ultimi anni, molti Paesi UE avevano finito con l’abbracciare una politica energetica pro-nucleare. I governi di Germania e Svezia, ad esempio, avevano deciso di abbandonare il progetto di uscita dall’atomo. L’incidente di massima gravità occorso alla centrale nucleare di Fukushima non ha sinora provocato alcun cambiamento radicale di rotta.

  

Unica eccezione, il governo tedesco che il 14 marzo ha decretato una moratoria sull’atomo durante la quale tutte le 17 centrali nucleari del Paese saranno sottoposte a un controllo di sicurezza e le 7 più vecchie disattivate per 3 mesi. In Germania, l’energia nucleare copre circa un quarto del fabbisogno energetico nazionale.

Con le sue 59 centrali nucleari in grado di generare oltre il 75 per cento della produzione totale di energia, la Francia ha dal canto suo annunciato di non voler assolutamente rinunciare all’atomo.

Energia idroelettrica: 55,8%

  

Energia nucleare: 39,3%

Altre: 2,9%

Energie rinnovabili

(da rifiuti, biomassa e biogas, sole, vento): 2%

(Fonte: Ufficio federale dell’energia)

traduzione: Sandra Verzasconi

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