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Strasburgo rilancia il dibattito sulla libertà d’espressione

Dogu Perincek, presidente del Partito dei lavoratori della Turchia. Keystone

Condannato in Svizzera per aver negato pubblicamente il genocidio armeno, il nazionalista turco Dogu Perincek ha ottenuto il sostegno della Corte europea dei diritti umani. E questo in nome della libertà d'espressione. Il dibattito è aperto sui media svizzeri.

È una sentenza «non priva di ironia», commenta la Neue Zürcher Zeitung. «Mentre la Svizzera voleva profilarsi come inesorabile ed esemplare paladina dei diritti umani, ora si fa rinfacciare dalla Corte europea dei diritti umani di essersi spinta troppo in là».

Secondo i giudici di Strasburgo, la Svizzera ha infatti violato il principio della libertà d’espressione, condannando nel 2007 il nazionalista turco Dogu Perincek per discriminazione razziale. In visita in Svizzera, il presidente del Partito dei lavoratori della Turchia aveva negato pubblicamente l’esistenza del genocidio armeno (1915-1916), parlando tra l’altro di una “menzogna internazionale”. Affermazioni che avevano spinto l’Associazione Svizzera-Armenia a sporgere denuncia per razzismo, facendo appello all’articolo 261 bis del Codice penale svizzero.

Nel marzo 2007 Dogu Perincek era stato condannato dal Tribunale di polizia di Losanna a una pena pecuniaria di 9’000 franchi, sospesa con la condizionale per due anni, più una multa di 3’000 franchi. La sentenza, giudicata razzista e imperialista dall’interessato, era stata poi confermata dal Tribunale federale, la più alta istanza giudiziaria del paese.

1) Chiunque incita pubblicamente all’odio o alla discriminazione contro una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione;

chiunque propaga pubblicamente un’ideologia intesa a discreditare o calunniare sistematicamente i membri di una razza, etnia o religione;

chiunque, nel medesimo intento, organizza o incoraggia azioni di propaganda o vi partecipa;

chiunque, pubblicamente, mediante parole, scritti, immagini, gesti, vie di fatto o in modo comunque lesivo della dignità umana, discredita o discrimina una persona o un gruppo di persone per la loro razza, etnia o religione o, per le medesime ragioni, disconosce, minimizza grossolanamente o cerca di giustificare il genocidio o altri crimini contro l’umanità;

2) chiunque rifiuta ad una persona o a un gruppo di persone, per la loro razza, etnia o religione, un servizio da lui offerto e destinato al pubblico,

è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria.

Interpellata da Dogu Perincek, la Corte europea dei diritti umani ha però sconfessato i giudici elvetici, rimettendo in causa l’applicazione stessa della norma antirazzismo. Strasburgo ha ricordato martedì che «il diritto di dibattere apertamente di questioni sensibili e suscettibili di non piacere è uno dei diritti fondamentali della libertà d’espressione». Un diritto, prosegue la corte, che «distingue una società democratica, tollerante e pluralista da un regime totalitario o dittatoriale».

Il dibattito è aperto

La sentenza di Strasburgo rilancia dunque una questione fondamentale: dove finisce la libertà d’espressione e dove inizia il razzismo?

Per la Neue Zürcher Zeitung, una società democratica come quella Svizzera deve rispettare l’opinione dei singoli e non deve punire chi va controcorrente, anche se diffonde idee false o che disturbano. Ciò non costituisce una minaccia alla pace di un paese, scrive ancora l’editorialista del foglio zurighese. «La popolazione è in grado di reggere certe tensioni e provocazioni spiacevoli. Non tutti i comportamenti sgraditi esigono un giudizio penale».

Di tutt’altro avviso invece l’editorialista di Tages Anzeiger e Der Bund, che giudica la sentenza «difficile da comprendere». «Chi come Dogu Perincek nega fatti storici a scopi di propaganda, si esclude da solo dal dibattito pubblico. Non basta ignorare questi estremisti; sono un caso per il diritto penale». Il commentatore raccomanda alla Svizzera di ricorrere contro la sentenza perché vi è il rischio che la norma antirazzismo venga rimessa profondamente in questione.

L’Associazione Svizzera-Armenia si è detta «profondamente delusa e indignata» dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha accolto martedì il ricorso del nazionalista turco Dogu Perincek. L’organizzazione, che nel processo in Svizzera si era costituita parte civile, ha invitato la Confederazione a ricorrere davanti alla Grande Camera della stessa Corte europea.

Una revisione della norma antirazzismo?

Le voci critiche di fatto non sono mai mancate. L’articolo 261 bis del Codice penale svizzero è stato più volte preso di mira dall’Unione democratica svizzera (Udc, destra conservatrice). Nel 2007, durante una visita ufficiale ad Ankara, l’allora consigliere federale Christoph Blocher aveva dichiarato pubblicamente che la norma svizzera antirazzismo gli faceva venire il «mal di pancia», suscitando un’ondata di polemiche. Nel mirino del leader Udc vi era soprattutto il passaggio che sanziona la negazione o la minimizzazione del genocidio.

La sentenza della Corte dei diritti umani suona dunque come una vittoria alle orecchie di Christoph Blocher. Interpellato da diversi media, tra cui la Radio televisione svizzera romanda, l’ex ministro ha dichiarato che durante la prossima sessione delle Camere federali il suo partito chiederà una revisione dell’articolo, entrato in vigore nel 1995.

«Ora le persone che sono favorevoli al tribunale di Strasburgo – di cui io non faccio parte – hanno l’occasione di rivedere la norma. L’Udc presenterà una mozione in questo senso. Non si tratta di eliminare tutto l’articolo, ma la libertà d’opinione deve essere preservata. L’espressione di un’opinione, anche se falsa, deve essere possibile in democrazia».

La norma antirazzismo tornerà dunque probabilmente sui banchi del parlamento, mentre la Svizzera avrà tempo tre mesi per decidere se presentare ricorso contro la decisione di Strasburgo.

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