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I 70 anni del cineasta franco-svizzero Jean-Luc Godard

Il regista franco-svizzero Jean-Luc Godard, in un'immagine scattata nel 1995. Keystone

Compleanno nel mondo del cinema. Jean-Luc Godard (nella foto), uno dei miti viventi della settima arte ha festeggiato domenica i 70 anni. Nonostante l'età non sembra però che il celebre regista abbia intenzione di andare in pensione.

Residente da una ventina di anni a Rolles, nel Canton di Vaud, ai bordi del lago Lemano, Jean-Luc Godard è nato a Parigi nel 1930 da genitori svizzeri. Una sua celebre frase, che ama ripetere sovente, è la seguente: “Io non invento niente, leggo molto. La mia originalità e il mio fardello sta nel credere che il cinema sia fatto più per pensare che per raccontare storie”.

Godard, nato ricco da padre banchiere che, ben presto gli tagliò i fondi per costringerlo a studiare, dopo essersi arrangiato con piccoli lavori, diventa critico e saggista per Cahiers du cinéma e successivamente uno dei registi d’avanguardia più importanti degli ultimi trent’anni. Prediligendo la ricerca di nuovi linguaggi cinematografici, li ha evoluti così tanto da influenzare tutti i colleghi.

Critico e cinéphile aggressivo, caposcuola della Nouvelle Vague, Jean-Luc Godard fece compiere negli Anni Sessanta una vera e propria rivoluzione al cinema, letteralmente sconvolgendone struttura, ritmo, linguaggio. Con “Fino all’ultimo respiro” A bout de souffle del 1959, segnò, come era avvenuto vent’anni prima in America con “Citizen Kane” di Orson Welles, una nuova data e uno spartiacque nella storia dell’arte cinematografica.

Rompendo con il racconto tradizionale, i suoi film, che hanno piuttosto la veste di saggi e largamente attingono a citazioni, aforismi e collages, si immergono nel reale riproducendone contraddizioni e frantumazioni e sostituendo ad un’ideologia stabile il documento dinamico di un mondo che cambia.

Tra autobiografismo doloroso e straniamento brechtiano, tenerezza indifesa e provocazione allarmante, dividendo critica e pubblico e passando da un anarchismo di destra a una militanza di estrema sinistra, Godard ha sezionato i problemi del nostro tempo: la condizione della donna (“La donna è donna” del 1961; “Questa è la mia vita”, del 1962; “Una donna sposata”, del 1964), la guerra calda e fredda (“Le petit soldat”, 1960-63; “Les carabiniers”, del 1963; “Made in USA”, del 1966, l’episodio di “Lontano dal Vietnam”, del 1966), la società industriale e il suo futuro (“Alphaville”, del 1965; “Due o tre cose che so di lei”, del 1966; “Week-end”, del 1967), i rapporti tra cinema e vita (“Il disprezzo”,del 1963, tratto da Moravia; “Bande à part”,del 1964; “Pierrot le fou ovvero Il bandito delle 11”,del 1965) e tra i due sessi (“Maschio e femmina”, del 1966), le nuove tensioni ideali tra “i figli di Marx e della Coca-Cola” (“La cinese”,del 1967).

Dopo il maggio 1968 Jean-Luc Godard si trasforma in ideologo militante e dirige “Lotte in Italia” (1970). Di tale periodo poi fornì un’ironica e struggente autocritica in “Crepa padrone, tutto va bene” del 1972.

Ritiratosi dal cinema industriale e militante, sperimentò il video nel laboratorio ”Sonimage” di Grenoble, da cui uscirono fra il 1975 e il 1978 lavori come “Numéro deux”, “Ici et ailleurs”, “France, tour détour deux enfants”. Nel 1978 ha fatto una rentrée nel cinema con “Sauve qui peut (la vie)”, seguito da altri grandi film come “Passion” del 1982, “Prenom Carmen” dell’anno dopo e “Nouvelle Vague” del 1990.

I critici Plaza e Redondo nel loro saggio intitolato “Il cinema-Tecnica e storia della settima arte” scrivono a proposito di Jean-Luc Godard: “Alla fine degli Anni Cinquanta intorno al critico cinematografico André Bazin e alla rivista Cahiers du Cinéma si raccolse un gruppo di giovani cinefili che, dapprima nei loro scritti e più tardi nei film, elaborarono la teoria del cinema d’autore e proclamarono il proprio desiderio di rinnovare il cinema”.

È la nascita della “Nouvelle Vague”, una nuova ondata di cineasti francesi che si sono opposti al cosiddetto “cinéma de papa” (il cinema tradizionale) di Clair, Carné, Clouzot ecc. Questo nuovo movimento si è imposto soprattutto grazie a “Fino all’ultimo respiro” (Orso d’Oro per la regia al Festival di Berlino) di Jean-Luc Godard… lo scardinatore del cinema; colui che insieme a François Truffaut (tra l’altro soggettista del film) ha rivoluzionato il linguaggio cinematografico mettendone in crisi tutte le certezze.

Pur definito “troppo complicato per essere compreso”, seppur sempre oscuro, senza successo di massa e quindi senza i favori del grande pubblico, il cinema di Godard è inteso come arte assoluta. Influenzato dai maestri americani (Howard Hawks, Alfred Hitchcock, Orson Welles, Nicholas Ray e Douglas Sirk), ha introdotto innovazioni radicali. Geniale e dissacrante, abile sezionatore dei meccanismi della narrazione, è abituato a lavorare con budget bassissimi, soltanto pochi giorni di lavorazione girando in mezzo alla gente (anche nei pressi di casa sua). Considerato da tutti un folle per aver buttato all’aria tutte le regole esistenti, narrative, fotografiche e di montaggio, soltanto dopo diverso tempo la critica ha intuito la genialità di questa nuova cinematografia.

Jean-Luc Godard, Leone d’Oro alla carriera alla Mostra di Venezia nel 1982, sostiene che nel cinema bisogna “Usare suoni ed immagini come unghie e denti su cui graffiare”. “Il cinema è come una battaglia: amore… odio… azione… violenza… in una parola: emozione”.

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