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I diritti umani come valore di civiltà

Il giudice svizzero Giorgio Malinverni, una vita dedicata ai diritti dell'essere umano swissinfo.ch

Dall'inizio dell'anno il professor Giorgio Malinverni è giudice alla Corte europea dei diritti dell'essere umano (CEDU) in rappresentanza della Svizzera.

Pacato e riservato, illustra l’importanza della Corte come giudice al di sopra della parti e degli Stati, e quindi come strumento di equità e giustizia.

Di passaggio al Monte Verità di Ascona, Giorgio Malinverni non si sottrae al rituale dell’intervista e si sofferma anche sulle questioni più spinose. Forse un dato prima di iniziare: nel 2006 la Svizzera è stata condannata nove volte e le sentenze riguardano i campi più disparati come adozione, ricongiungimento familiare e diritto fiscale.

swissinfo: Che impatto hanno le sentenze della Corte sugli Stati condannati?

Giorgio Malinverni: Ci sono sostanzialmente due tipi di impatto. Quello diretto impone ad uno Stato di modificare la propria legislazione. In Svizzera, per esempio, una sentenza della Corte di Strasburgo ha spinto ad unificare la procedura penale, un’altra ancora ha riguardato la modifica del Codice civile per il nome degli sposi.

Ci sono però anche effetti indiretti, nel senso che la condanna che riguarda un determinato Stato può spingere altri Stati a modificare volontariamente la propria legislazione per renderla conforme alla sentenza della Corte.

I processi di trasformazione e i cambiamenti legislativi indotti dalle sentenze della Corte, concorrono alla creazione di un “jus commune europaeum”, una sorta di patrimonio giuridico conforme alla Convenzione europea dei diritti umani ai quali gli Stati membri fanno capo.

swissinfo: Come è cambiata la tutela dei diritti dell’essere umano nei paesi democratici?

G.M.: Premesso che qualsiasi violazione dei diritti della persona è grave, le infrazioni constatate all’inizio dell’attività della Corte erano di poca gravità, nel senso che non c’erano, o molto raramente, violazioni del diritto alla vita. Si trattava spesso di decidere sull’equità di un processo. Con l’ingresso dei paesi dell’Est e della Turchia nel Consiglio d’Europa, sono state emesse sentenze di condanna per tortura e gravi violazioni del diritto alla vita.

swissinfo: Il consigliere federale Christoph Blocher afferma che il diritto che conta è quello nazionale e la sovranità popolare. Cosa ne pensa?

G.M.: Su questo punto si può discutere: è più importante la democrazia diretta o la salvaguardia delle libertà? L’esperienza dimostra che il popolo può prendere decisioni contrarie ai diritti fondamentali. Allora chi deve avere l’ultima parola? chi deve decidere in un’ultima istanza? il popolo, il parlamento o i giudici?

swissinfo: A chi spetta allora l’ultima parola?

G.M.: Per molto tempo si è sempre pensato che dovesse essere il parlamento come rappresentante del popolo. Un’opzione che è stata valida per tutto il XIX secolo e per l’inizio del XX secolo. La nascita delle Corti costituzionali ha permesso ai giudici di verificare le scelte del parlamento nel senso della loro conformità, o meno, alla Costituzione.

Blocher fa sostanzialmente riferimento alla seguente questione: chi deve pronunciarsi in ultima istanza? Il popolo o giudici? Le sentenze del Tribunale federale sul caso delle naturalizzazioni a Emmen dimostrano, per esempio, che il popolo può anche sbagliarsi.

swissinfo: E’ vero, ma ora l’Unione democratica di centro torna alla carica con l’iniziativa per fare votare al popolo le naturalizzazioni…

G.M.: Sì, ma il Parlamento non vuole seguire questa via.

swissinfo: Se si andrà a votare, il popolo avrà comunque l’ultima parola…

G.M.: Certo. Ma la domanda di fondo rimane la stessa: la decisione finale spetta al popolo o ai giudici? Al tempo delle prime Corti costituzionali in Europa, alcuni autori parlavano del “governo dei giudici”. Per finire la scelta tra le due opzioni, è una scelta fondamentalmente politica.

swissinfo: Quale la soluzione migliore?

G.M.: Io mi schiero evidentemente dalla parte dei giudici. E non lo dico perché sono giudice, ma perché credo che il popolo possa sbagliarsi.

swissinfo: Il diritto europeo sta assumendo un’importanza maggiore e spesso si fa riferimento alla conformità o meno del diritto svizzero, specialmente su temi legati al diritto d’asilo e agli stranieri.

G.M.: Ci sono tre elementi decisivi nella storia costituzionale della fine del secolo scorso e dell’inizio di questo secolo. Intanto va ricordato che prima della Seconda guerra mondiale si parlava pochissimo di diritti umani. Solo dopo la Dichiarazione universale del 1948, hanno assunto un’importanza crescente e oggi tutto viene valutato in relazione ai diritti della persona.

La diffusione e il peso delle Corti costituzionali – che ne devono garantire il rispetto – e l’apparizione di organi internazionali di controllo, hanno poi contribuito a rafforzare la centralità dei diritti della persona e delle libertà fondamentali. Ed è un bene.

swissinfo: In Svizzera si vorrebbe vietare la costruzione di minareti. Come la mettiamo con la libertà di religione?

G.M.: La libertà di religione appartiene a tutti. In Svizzera i musulmani sono la seconda religione dopo quella cristiana e quindi hanno diritto anche loro ad avere i loro luoghi di culto. Non ci sono motivi per i quali si dovrebbero discriminare i musulmani vietando i minareti. Noi abbiamo le nostre chiese.

swissinfo: Ma ci sono persone che vedono nei minareti una minaccia dell’identità…

G.M: Bisogna rendersi conto che viviamo in una società multiculturale. Dobbiamo abituarci perché è un processo irreversibile. Non possiamo costruire un muro attorno alla Svizzera, per evitare l’immigrazione.

Volenti o nolenti, alle nostre porte busseranno sempre più persone. La Svizzera, per sua stessa natura e storia abituata alla coabitazione, deve accettare questo processo. Le cose cambiano e i mutamenti sono inesorabili.

swissinfo: Da dove le viene la passione per la difesa dei diritti umani?

G.M.: Ho iniziato la mia attività di docente nel 1974, quando la Svizzera ha ratificato la Convenzione. Mi sono subito interessato a questo documento e da quel giorno non mi sono più fermato. L’elezione alla Corte europea è dunque il coronamento di un percorso.

swissinfo: Come si trova a Strasburgo?

G.M.: Molto bene, è una città piacevole, ci sono buoni ristoranti e non è molto lontana dalla Svizzera. Quasi ogni weekend torno a Ginevra, si resta sempre molto attaccati al proprio paese.

swissinfo: In che modo si ricarica?

G.M.: Con i miei nipotini e con la famiglia.

Intervista swissinfo, Françoise Gehring, Ascona

Svizzero, ma nato a Domodossola (Italia) il 3 ottobre 1941, Giorgio Malinverni, è attinente di Locarno. E’ sposato e padre di tre figli.

Dottore in diritto, ha studiato a Friburgo e a Ginevra. Dal 1980 è stato Professore di diritto costituzionale, diritto internazionale e diritto internazionale dei diritti umani all’Università di Ginevra. E’ stato pure professore invitato alle università di Losanna (1982 e 1989), di Neuchâtel (1991), di Nizza (1994) di Parigi II (1995) e di Strasburgo (2000).

Ha lavorato come giurista presso il Comitato internazionale della Croce Rossa dal 1971 al 1973. E’ stato anche membro della Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia).

Dal 19 gennaio 2007, Giorgio Malinverni è il giudice per la Svizzera presso la Corte europea dei diritti dell’uomo, dove ha sostituito Luzius Wildhaber.

La Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) garantisce i diritti fondamentali quali il diritto alla vita, la proibizione della tortura, il diritto alla libertà e alla sicurezza, a un equo processo, al rispetto della sfera privata, la libertà d’opinione o il divieto della discriminazione.

La Convenzione è stata approvata il 4 novembre 1950 a Roma, è entrata in vigore nel 1953 e la Svizzera l’ha ratificata nel 1974. Diversi protocolli aggiuntivi, che ampliano il catalogo dei diritti tutelati, hanno completato la Convenzione.

La CEDU ha istituito una procedura di controllo che permette al singolo cittadino, una volta passate le istanze nazionali, di inoltrare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti umani per supposta violazione della Convenzione e dei suoi protocolli.

La Corte Europea dei diritti umani (CEDU) è stata istituita dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti della persona. Ha sede a Strasburgo.

E’ formata da tanti giudici quanti sono gli Stati (attualmente 47) che hanno aderito alla Convezione, eletti dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa tra i tre candidati proposti da ogni Stato per un mandato di 6 anni.

La Corte si divide in quattro sezioni, in base all’equilibrio geografico e dei sistemi giuridici degli Stati. All’interno di ognuna vengono formate delle Camere con sette giudici che risolvono in via ordinaria i casi. La Grande Camera, formata dal Presidente della Corte, dai Vicepresidenti e da altri quattordici giudici, esamina i casi complessi.

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