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I giovani vogliono dire la loro

12 872 giovani svizzeri vorrebbero avere più possibilità di partecipazione www.unicef.ch

Secondo uno studio condotto per l'Unicef, i ragazzi in Svizzera partecipano abbastanza alle decisioni prese in famiglia e nella sfera privata.

Ma a scuola e nella comunità si sentono poco presi in considerazione, anche su argomenti che li riguardano.

La Svizzera, con il suo sistema di democrazia diretta, è in assoluto uno dei paesi al mondo in cui i cittadini partecipano alla cosa pubblica in maniera più attiva. Ma a questo alto grado di partecipazione degli adulti nel forgiare il mondo in cui vivono, non corrisponde per contro la possibilità dei bambini e dei ragazzi di poter far sentire la propria voce anche nell’ambiente extra-famigliare.

La Svizzera ha ratificato la Convenzione sui Diritti dell’infanzia dell’Unicef solo nel 1997, parecchi anni dopo la maggior parte dei paesi europei. Lo scopo dell’inchiesta condotta dall’università di Zurigo è quindi vedere a che punto il nostro paese applica le norme che ha sottoscritto, tra cui quella di dare ai ragazzi la possibilità di prendere parte al processo decisionale.

Il bambino è una faccenda molto privata in Svizzera

All’inchiesta hanno preso parte più di 12 mila giovani di tutta la Svizzera. Lo studio ha permesso di raccogliere per la prima volta a livello nazionale risultati rappresentativi sulle possibilità di partecipazione dei giovani.

Il dato più evidente che è emerso è che i ragazzi sentono di avere la possibilità di discutere in famiglia, ma parteciperebbero molto più attivamente alla vita politica del loro comune e cantone, se esistessero più programmi.

Ci sono, è vero, i parlamenti dei giovani, come a Lucerna o a Berna, ma come dichiara il prof. Reinhard Fakte dell’Istituto di pedagogia dell’Università di Zurigo, uno degli autori dello studio: “Non si tratta solo di avere dei parlamenti dei giovani, che tranne alcuni casi in cui dispongono di un vero budget, non vanno molto più in là dell’alibi o della decorazione”.

Molto più concretamente si tratta ad esempio di poter “Discutere dove mettere un attraversamento pedonale o partecipare ad un programma di aiuto a ragazzi disabili. O a scuola avere la possibilità di discutere sul modo in cui vengono dati i voti e non solo come decorare l’aula”, sottolinea Reinhard Fatke.

In ritardo comuni e cantoni

Oltre alla scuola sono dunque i comuni e i cantoni ad essere chiamati in causa per creare queste situazioni concrete.

In altri paesi, come l’Italia, la Spagna, la Germania, l’Olanda, i Paesi nordici, che hanno ratificato la Convenzione dei diritti dell’infanzia molto prima della Svizzera, esistono programmi già più avanzati di partecipazione dei giovani alla cosa pubblica. Programmi di prevenzione degli incidenti stradali, o prevenzione dell’AIDS, in cui l’intervento attivo dei bambini e dei ragazzi è essenziale.

Un altro motivo del ritardo accumulato dalla Svizzera in questo campo molto speciale della pedagogia, è la struttura federale, che comporta la suddivisione di responsabilità e di competenze in 26 cantoni, ricorda ancora il prof. Fatke.

Una decisione chiave per la società

Ma non è un po’ troppo chiedere che i bambini dai 9 anni in su già si interessino di cose che in fondo sono da adulti? Secondo Elsbeth Müller, segretaria generale dell’Unicef svizzera, l’esperienza di partecipazione, soprattutto a partire dai 12 anni, dà la possibilità ai giovani di imparare il senso di responsabilità, migliora le loro competenze, ma anche la propria autostima. Insomma li prepara ad essere degli adulti più impegnati e più attivi, ma anche più sicuri di sé.

Praticare più “partecipazione” può inoltre prevenire la violenza e l’abuso di sostanze stupefacenti, che spesso sono il frutto di frustrazioni giovanili. “Se nella scuola si discute di più su argomenti che interessano tutti, i giovani diventano meno aggressivi, perché si sentono soggetti attivi e non oggetti passivi”, sottolinea Elsbeth Müller.

Dunque imparare a partecipare non dovrebbe essere sentito né dai ragazzi né dagli insegnanti come un peso, un compito in più, ma un modo per migliorare la convivenza.

I ragazzi stranieri si sentono più responsabili

Uno dei dati più sorprendenti dell’inchiesta è che i ragazzi non nati in Svizzera sentono di avere più possibilità di partecipazione rispetto ai coetanei cresciuti qui.

Uno dei motivi, suppone Elsbeth Müller, è senza dubbio che i bambini stranieri grazie al fatto di essere integrati nel sistema scolastico, si trovano spesso nella situazione di dover aiutare i genitori con traduzioni o devono dare loro consigli su come orientarsi nella società d’adozione: in altre parole sono più responsabilizzati dei loro compagni.

Lo studio comprende diversi altri aspetti della vita dei bambini e dei giovani, come ad esempio i loro desideri e cosa cambierebbero nella propria vita. Aspetti che devono ancora essere analizzati in dettaglio e che quando verranno pubblicati ci daranno sicuramente nuovi spunti di riflessione.

swissinfo, Raffaella Rossello

Hanno risposto all’inchiesta realizzata per conto dell’Unicef più di 12 800 allievi fra i 9 e i 16 anni in tutta la Svizzera.

Solo il 7% dei ragazzi interrogati ha fatto esperienze di partecipazione in un contesto pubblico.

I giovani in Svizzera sono molto attivi nel tempo libero: il 60% degli intervistati fa parte di una società sportiva.

Se ne avessero la possibilità i giovani si impegnerebbero 10 volte di più nel pubblico di quanto facciano attualmente.

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