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I primi effetti del sì all’ONU

La sede dell'Organizzazione mondiale del lavoro a Ginevra Keystone Archive

Da lunedì la Svizzera presiede la Conferenza internazionale del lavoro. L'adesione alle Nazioni Unite del 3 marzo porta frutti.

La gestione dei lavori non spaventa l’ambasciatore Jean-Jaques Elmiger. Il capo degli affari internazionali al Segretariato di stato per l’economia (seco), conosce come le sue tasche l’Organizzazione mondiale del lavoro (OML), perché ne ha anche diretto il consiglio d’amministrazione.

Per il diplomatico svizzero esiste una relazione diretta tra l’adesione all’ONU e il generoso gesto da parte degli altri paesi europei. Per turno sarebbe infatti un paese del continente a ricoprire la presidenza della conferenza del 2002, ma per la prima volta il compito è stato ceduto alla Svizzera.

“L’Europa non avrebbe offerto alla Svizzera la prima opportunità di presiedere un forum internazionale – ha affermato a swissinfo Elmiger – se non avesse recepito gli sforzi d’apertura compiuti negli ultimi tempi.”

Un dossier sensibile

Il punto più sensibile all’ordine del giorno è quello dei lavoratori arabi dei Territori occupati. “Si tratta di un tema difficile su cui è prematuro esprimersi”, commenta Jean-Jaques Elmiger, cosciente del suo ruolo di mediatore all’interno dell’assemblea. Il tema richiederà tutte le capacità diplomatiche elvetiche.

La delegazione svizzera, diretta come d’abitudine da Jean-Luc Nordmann, capo della direzione federale del lavoro, disporrà contrariamente di una sua libertà d’opinione. Ma per il momento ci si limita ad un’analisi della situazione, senza esprimere dei giudizi.

Secondo il rapporto del direttore dell’OML, la situazione in Palestina rimane tesa e “non potrà durare”. Delle “soluzioni immediate” si impongono e i dibattiti si annunciano movimentati.

Bambini-schiavi: il dire e il fare

Accordo di principio regna invece sul dossier dei lavori forzati praticato nel Moyanmar. L’OML, seguita da Berna che ha applicato delle sanzioni bilaterali, ha messo il governo di Rangoon con le spalle al muro.

La pressione internazionale sembra aver prodotto qualche frutto con la nomina di un funzionario di collegamento nella persona di Léon de Riedmatten, ex-delegato del CICIR e legato al processo di riconciliazione nazionale in Birmania.

Il terzo grande tema è il lavoro minorile. Non basta infatti riconoscere il problema. Bisogna porvi rimedio. L’impegno svizzero si concentra attualmente a Peshawar in Pakistan, dove un progetto di sviluppo si occupa di formazione professionale.

E la globalizzazione?

L’oggetto che terrà più in sospeso l’ambasciatore Elmiger, è quella cosa che gli esperti definiscono “la dimensione sociale della liberalizzazione degli scambi e la globalizzazione dell’economia”.

Il tema non compare direttamente all’ordine del giorno, ma rimarrà sullo sfondo del dibattito sull'”economia informale”. Si tratta di tutto quel settore nebuloso che domina l’economia dei paesi in via di sviluppo.

La Svizzera avrebbe torto nel non sentirsi contemplata dal tema. Come afferma Elmiger, “non basta esprimersi a favore di una liberalizzazione degli scambi, bisogna anche rispettare un certo numero di standard sociali”.

Ma non basta accontentarsi degli standard interni che da noi superano i livelli minimi: “Le norme non devono essere riviste al ribasso e devono essere sostenute dalla necessaria solidarietà internazionale”.

Bernard Weissbrodt, Ginevra

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