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I ricercatori vogliono eludere le insidie del permafrost

Una diga per scongiurare gli effetti del disgelo del permafrost sul villaggio di Pontresina Keystone

Nell'Arco alpino il riscaldamento climatico rende i terreni più instabili. Per i ricercatori svizzeri si tratta di una vera e propria sfida scientifica.

Per rispondere agli attuali e futuri pericoli, il permafrost – ovvero il suolo ghiacciato in permanenza – è accuratamente sotto la lente degli esperti.

La località di Pontresina, nei Grigioni, è protetta da una diga alta tredici metri e lunga 460. Sono stati spesi sette milioni di franchi per evitare imponenti colate d’acqua e di fango che potrebbero inghiottire il villaggio di montagna.

In altitudine, infatti, il suolo ghiacciato in permanenza rischia di sciogliersi lentamente a causa del riscaldamento climatico. In caso di forti precipitazioni potrebbero liberarsi e poi sgorgare tonnellate di detriti.

A partire dagli anni Novanta, nell’Arco alpino si sono verificati diversi episodi del genere nella zona bassa del permafrost, attualmente situata a 2 mila 500 metri di altitudine ma destinata a salire.

La diga di Pontresina è dunque il risultato del lavoro degli scienziati, che hanno spinto le autorità locali a prendere dei provvedimenti. Non basta però studiare i ghiacciai, come stanno facendo i ricercatori svizzeri, il permafrost rappresenta infatti un’altra sfida collegata al riscaldamento climatico.

Gli esperti al lavoro, del resto, non mancano: si consacrano allo studio di questo suolo sempre meno ghiacciato, una ventina di ricercatori provenienti dalle università di Zurigo, Friborgo e Losanna, dall’Istituto federale per lo studio della neve e della valanghe di Davos e da alcuni uffici privati.

Le dimensioni del riscaldamento

Grazie ad una decina di sondaggi geologici effettuati a diverse profondità (fino a 70 metri) e su diverse superfici – materiali detritici e strato attivo del suolo (la parte interessata al disgelo estivo) – gli esperti hanno potuto constatare che la temperatura del permafrost è salita da uno a due gradi durante il secolo scorso.

Le dinamiche e le dimensioni del riscaldamento climatico vanno tuttavia valutate con delle sfumature: “I segni di questo mutamento sono molto meno omogenei – spiega Reynald Delaloye, dell’università di Friborgo – solo per i ghiacciai, che fondono tutti insieme”.

Per quanto riguarda il permafrost, il riscaldamento climatico ha un impatto maggiore sulle pareti rocciose e sui ripidi pendii, poiché l’influenza isolante della neve è minima.

Evacuazioni sul Cervino

Nella famosa estate rovente del 2003, gli effetti si sono mostrati in tutta la loro forza: numerose frane e smottamenti di terreno, avevano infatti imposto la chiusura del Cervino e l’evacuazione di decine di alpinisti bloccati in vetta.

Sui suoli con una minore pendenza, le neve riveste un ruolo centrale: “Tutto dipende – spiega Marcia Phillips, dell’Istituto federale di Davos – dalla distribuzione del manto nevoso nello spazio e nel tempo”.

Un abbondante coltre di neve a partire dall’autunno, permetterà al suolo di conservare il calore immagazzinato durante l’estate. Nocivo per il pemafrost, a cui viene pero in aiuto la primavera, poiché la neve lo proteggerà dai primi caldi raggi del sole e dalle temperature più elevate.

I fattori dell’instabilità

Va comunque detto che la diversità e il funzionamento del pemafrost sono sempre meglio conosciuti dagli esperti, anche se la ricerca deve continuare attivamente anche in futuro.

In base alla costante osservazione del fenomeno – che permette la simulazione di scenari futuri – i ricercatori preparano i nuovi passi da compiere per conoscere meglio e di più i pericoli naturali legati al permafrost come, per esempio, l’instabilità delle pareti rocciose e i movimenti dei terreni gelati.

“Se il riscaldamento di 5 o più gradi previsto nelle Alpi si avvererà – osserva Reynold Delaloye – potremmo essere confrontati con dei grandi problemi di instabilità in termini di ampiezza e di estensione, con effetti fino a basse quote”.

Conseguenze molto concrete

L’impatto economico, ecologico e sociale legato allo scioglimento del pemafrost, sono difficilmente quantificabili, tanto più che questo disgelo va di pari passo con la variazione delle precipitazioni.

Il fatto che l’impatto complessivo non sia quantificabile, non significa però che gli effetti del riscaldamento climatico non siano reali: lo sono eccome. Specialmente per le infrastrutture in altitudine – capanne, piloni, stazioni di arrivo delle teleferiche o “scilift” – spesso costruite senza tener conto della presenza del permafrost e del ghiaccio.

A Davos i ricercatori dell’Istituto federale studiano il comportamento dei ripari valangari sui ripidi pendii gelati che fluiscono verso il basso. Studio che ha portato alla pubblicazione, nel 2000, di una lista di raccomandazioni sulla costruzione di questo tipo di argine di protezione nelle zone caratterizzate dalla presenza di permafrost.

“I ripari valangari – spiega Marcia Phillips – hanno una vita che va dai 50 ai 100 anni. Ma in presenza di permafrost instabile, la loro durata si aggira attorno ai 20 anni poiché si muovono, si deformano e i punti di ancoraggio si rompono”. Ecco dunque la necessità di preparare altre raccomandazioni per altre costruzioni, con indicazioni sul tipo appropriato di fondamenta e sui metodi di isolazione efficace.

Ma come proteggere i villaggi? Come stabilizzare i pendii? Come costruire edifici sempre più sicuri? Tanti interrogativi e altrettante sfide scientifiche e tecniche che richiedono soluzioni innovative dettate dall’emergenza permafrost e dal riscaldamento climatico.

swissinfo, Pierre-François Besson
(traduzione e adattamento dal francese Françoise Gehring)

Tra il 5 e il 6 % del territorio svizzero è coperto da permafrost.
Nelle regioni alpine al di sopra dei 2’500 metri, la percentuale è del 33%.
Ricerche approfondite sono in corso in Svizzera da una trentina d’anni.
Nel 1987, ricercatori dell’Istituto d’idrologia e glaciologia del Politecnico federale di Zurigo hanno installato una stazione di misurazione sul Piz Corvatsch, vicino a St. Moritz , per osservare i mutamenti della temperatura del sottosuolo.

Il permafrost è sostanzialmente il terreno gelato in permanenza che può contenere, o meno, del ghiaccio. Nel materiale detritico, l’acqua infiltrata può dare vita ad un ghiacciaio roccioso, il cui disgelo avrebbe effetti catastrofici.

Si stima che le aree di permafrost costituiscano il 20% delle terre emerse del pianeta, il 25% nell’emisfero settentrionale, e che il permafrost possa raggiungere la profondità di 1.500 metri nel nord della Siberia.

Le variazioni di tali condizioni, attribuibili al riscaldamento globale determinano cambiamenti nella profondità dello strato attivo, nello spessore e distribuzione del permafrost e ne condizionano la stessa presenza.

Durante la stagione estiva, temperature più calde possono portare alla fusione del ghiaccio nella porzione più superficiale del suolo variandone le caratteristiche termiche, di resistenza meccanica e di permeabilità.

La Confederazione aggiorna regolarmente una lista di zone abitate minacciate da frane e smottamenti di terreno; tra di esse: St.Moritz, Zermatt e Kandersteg.

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