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I soldi italiani tornano in Svizzera

Dopo il loro rientro temporaneo in Italia, i capitali ritrovano la via della Svizzera Keystone

Le banche elvetiche ci speravano. Molti in Italia lo temevano. A due anni dalle amnistie fiscali, i soldi della Penisola stanno ritornando in Svizzera.

Lo aveva affermato recentemente il presidente della Banca nazionale svizzera, Jean Pierre Roth, di passaggio a Milano. Lo confermano i dati e diversi specialisti del settore.

Doveva essere l’operazione simbolo del governo di centro-destra: fare rientrare almeno una parte dei capitali italiani depositati illegalmente all’estero nei decenni scorsi (complessivamente circa 500 miliardi di euro).

Due amnistie per niente


Una legalizzazione che avrebbe dovuto portare un po’ di risorse fresche nelle casse dello stato con un prelievo del 2,5 % sulla somma regolarizzata. Ma soprattutto, avrebbe dovuto vivacizzare l’economia italiana terribilmente anemica.

Invece, le due amnistie fiscali 2002-2003, non hanno provocato nulla di tutto ciò. Infatti, da una parte, i capitali rientrati anonimamente sono stati immediatamente investiti nel settore immobiliare con effetti -per altro- non sempre benefici per l’economia.

Boom del mattone


Infatti, dopo il crollo delle borse, generato dall’attentato alle Torri Gemelle, il mattone è diventato bene rifugio. In Italia, la speculazione edilizia, negli ultimi 5 anni ha letteralmente drogato il mercato. I prezzi -secondo i dati del Centro studi Nomisma- sono aumentati mediamente del 65%. In certi segmenti addirittura del 100%.

Questo ha reso difficile la possibilità per le famiglie soprattutto quelle giovani di acquistare una casa, senza contare le conseguenze devastanti sugli affitti.

La paura di un’imposta sul patrimonio


D’altra parte, è bastato che qualcuno paventasse l’introduzione in Italia di un’imposta patrimoniale (Rifondazione comunista) o più semplicemente un aumento della tassazione sulle rendite finanziarie (azioni, obbligazioni, titoli di stato, conti correnti) che la gente ha ricominciato a riportare i soldi all’estero, in particolare in Svizzera, come ai vecchi tempi.

“Con la liberazione dei mercati finanziari, il trasferimento di capitali all’estero anche dall’ Italia, non è più vietato”, ci dice Marco Panara, commentatore economico di Repubblica. “Il problema è semmai nel chiederci quanti di questi capitali sono stati trasferiti legalmente o se invece sono stati contrabbandati oltre frontiera nei sottofondi delle valigie, come si faceva un tempo. Questo impedirebbe la loro rintracciabilità”.

Qualche cifra

Recentemente a Milano, il Direttore della Banca Nazionale Svizzera, Jean Pierre Roth, ha snocciolato qualche cifra riportata dal Corriere della Sera.

Se prima dello scudo fiscale, la massa patrimoniale gestita dalle banche svizzere era di 4100 miliardi di Euro, dopo una flessione nel 2002, la massa ha ricominciato a risalire –dice Roth- attestandosi lo scorso anno a 3700 miliardi. Dato in costante ascesa.

Nelle banche ticinesi il numero di depositi, che nel 2000 ammontava a 120 mila è salito nel 2004 a 130 mila.

Anche se mancano dati aggregati sul flusso di capitali fra Italia e Svizzera, il bilancio complessivo testimonia un trend di sostanziale tenuta.

“Proprio perché legali, questi movimenti non stupiscono affatto” ci dice ancora Panara. “Gli italiani sono delle vere formiche. Basti pensare che il risparmio italiano è 8 volte il Prodotto interno lordo che si eleva a circa 1300 miliardi di Euro. Evidentemente chi vuole investire preferisce rivolgersi alla banca estera che offre probabilmente maggiori opportunità”.

Franco Citterio, dell’ Associazione Bancaria Ticinese da noi interpellato, rileva qualche elemento ulteriore.

“Nei mesi successivi alle amnistie fiscali” ci dice Citterio, “abbiamo notato un flusso (non quantificabile) di clienti che, delusi dai servizi offerti da banche italiane e forse anche dalle promesse del governo in campo fiscale, hanno preferito rientrare su banca svizzera”.

Insomma, la famosa manovra “Tremonti”, che rischiava di assestare un duro colpo al sistema bancario svizzero, si è rilevata, almeno per il momento, un’arma spuntata. Tanto più che lo scudo fiscale, introdotto anche in Germania, sta avendo effetti minimi. La penale da pagare è infatti nettamente superiore a quella imposta dalle autorità italiane, il 25%. Questo scoraggia molti tedeschi a legalizzare i loro capitali depositati all’estero.

Pericolo dall’Ue?

Scampato pericolo dunque anche se la prossima insidia potrebbe venire dall’Unione europea, che dal primo luglio introdurrà un nuovo regime di tassazione comunitario, basato sullo scambio di informazione tra i vari paesi dell’ Unione. Ma anche in questo caso, la Piazza finanziaria elvetica non sembra preoccuparsene eccessivamente.

“Infatti dal 1. luglio 2005” dice Citterio “entreranno in vigore importanti novità fiscali in Europa: tra i paesi UE vigerà lo scambio automatico di informazioni tra autorità fiscali. Questo però non varrà per la Svizzera (come per Austria, Belgio, Lussemburgo, Liechtenstein, Monaco, Andorra e San Marino) dove invece il cliente straniero sarà tassato con un’imposta alla fonte e il segreto bancario rimarrà preservato”.

L’imposta alla fonte (inizialmente del 15%) colpirà unicamente i redditi da titoli obbligazionari detenuti da persone fisiche residenti in un paese dell’Unione europea. Le banche svizzere hanno quindi predisposto in questi mesi i mezzi tecnici per effettuare questo prelievo che verrà poi versato all’Ufficio federale delle contribuzioni e in seguito al paese di residenza del cliente.

swissinfo, Paolo Bertossa a Roma

Le due amnistie fiscali per i capitali italiani investiti all’estero si sono rivelate un fiasco, visto che non hanno permesso al governo Berlusconi di incassare le somme che avrebbero dovuto consentire un’iniezione di capitali nell’economia italiana.

Oggi, si constata addirittura una tendenza al ritorno in Svizzera dei capitali che erano stati fatti rientrare in Italia.

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