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Il lato oscuro del dorato mondo del calcio

ragazzi africani giocano a calcio
Un allenamento in una scuola di calcio di Abidjan; in Costa d'Avorio vi sono quasi 300 "accademie" simili Keystone Archive

Drogba, Eto'o, Adebayor... Per decine di migliaia di ragazzini africani il sogno è rappresentato da un pallone. Ogni anno sono centinaia a cercare fortuna in Europa e in Svizzera.

La maggior parte delle volte, però, il sogno si trasforma in incubo. Intervista a Raffaele Poli, specialista svizzero delle migrazioni nel mondo del calcio.

“Pronti 50 milioni di euro per Eto’o”: questa è la cifra che il Milan nel mese di luglio sembrava disposto a sborsare per assicurarsi i gol dell’attaccante camerunense del Barcellona.

Somme da capogiro che nel mondo del calcio non stupiscono però ormai più di quel tanto.

I vari campionati europei sono nel frattempo iniziati. E anche quest’anno i calciatori africani sono presenti in forza.

Da alcuni anni, Raffaele Poli, ricercatore presso il Centro internazionale di studi dello sport di Neuchâtel, si interessa al fenomeno di quelli che chiama gli emigranti “col pallone”. Per la maggior parte di loro le luci dei riflettori dei grandi stadi rimangono però una chimera.

swissinfo: Il mondo del calcio che descrive è ben lontano dagli ideali sportivi di fratellanza e di pace veicolati nei discorsi ufficiali. Riferendosi ai giocatori africani non esita a parlare di tratta di calciatori e di una forma di schiavitù moderna. Non è forse un po’ esagerato?

Raffaele Poli: Sono effettivamente parole forti, da usare con parsimonia. Quando però si osserva da vicino il funzionamento reale di questo mercato, poiché di un mercato a tutti gli effetti si tratta, questi termini non sono sempre esagerati.

swissinfo: Può fare un esempio?

R.P.: I meccanismi sono facili da descrivere. Persone normalmente basate in Europa si recano nei paesi africani per scoprire nuovi talenti e procurare loro dei visti di breve durata per effettuare dei provini all’estero. Se l’esito è negativo, il giovane è abbandonato al suo destino e si ritrova nell’illegalità.

A volte il calcio è pure utilizzato come pretesto per convincere le famiglie dei giovani a sborsare migliaia di euro per l’ottenimento dei permessi necessari all’emigrazione.

swissinfo: I vari Drogba, Eto’o, Adebayor sono una minoranza. È possibile tracciare un percorso dei calciatori che hanno invece meno successo?

R.P.: La maggior parte di loro arriva in Europa spesso ancora minorenni, senza contratto di lavoro e con visti turistici di tre o sei mesi al massimo. Durante questo periodo fanno diversi provini. Il problema si pone quando scade il visto e il calciatore non è riuscito a trovare un club, oppure quando non gli viene rinnovato il contratto. Ritornare in patria o restare in Europa?

Il ritorno in Africa è vissuto come una vergogna. La famiglia e gli amici pensano che sia facile firmare un contratto in Europa e quindi la colpa di questa mancanza è messa sulle spalle del giocatore. Questi giovani tendono quindi spesso a sparire nel nulla, a diventare clandestini.

swissinfo: Cosa rappresenta questo mercato? Si può quantificare il fenomeno?

R.P.: Questi problemi legati al traffico di visti sono difficilmente quantificabili. Un’associazione francese (Culture Foot Solidaire) che si occupa di questi casi negli ultimi sei anni ha aiutato più di 600 calciatori vittime di questo genere di abusi.

Vi sono poi i trasferimenti ufficiali nei club europei per somme che normalmente si situano attorno ai 100’000 euro o meno. I calciatori africani rappresentano il 20% degli stranieri presenti nell’insieme delle leghe professionistiche europee. Alcuni giocatori riescono ad avere successo e i loro esempi nutrono i sogni di milioni di ragazzi in Africa.

La percentuale di giocatori che riesce ad avere fama, successo e ricchezza è molto bassa. Secondo le mie statistiche il 60% dei calciatori africani che giungono in Europa e che riescono ad avere un contratto, dopo qualche stagione sono esclusi dal calcio professionistico o hanno avuto traiettorie discendenti.

swissinfo: Il primo giocatore proveniente dall’Africa subsahariana è approdato in Svizzera nel 1984. Oggi tutte le squadre elvetiche annoverano nei loro ranghi giocatori africani. Cosa è cambiato in questi due decenni?

R.P.: È cambiato tutto. L’economia del calcio europeo si è fortemente polarizzata. I grandi campionati sono diventati sempre più ricchi, grazie anche ai soldi dalle televisioni, mentre i piccoli campionati come quello svizzero devono accontentarsi di cifre derisorie.

I club elvetici hanno grandi difficoltà a trattenere i migliori giocatori e cercano quindi di scoprire nuovi talenti in Svizzera, certo, ma sempre di più anche all’estero, in particolare in Africa e in America Latina, dove possono trovare giocatori a basso costo

Il campionato svizzero funziona un po’ come un trampolino, come una vetrina. Il giocatore che viene da lontano deve abituarsi al calcio europeo e quindi i procuratori o i dirigenti delle squadre calcistiche cercano di piazzarli in campionati non troppo competitivi, in Svizzera, Belgio o Olanda, ad esempio.

swissinfo: Questa forte presenza di giocatori stranieri “low cost” ha un’influenza sui giocatori svizzeri?

R.P.: Come spesso in altri campi dell’economia, il calciatore che viene dall’estero mette una certa pressione sui salari. Nelle mie interviste ho constatato che ci sono giocatori pagati meno di 1’000 franchi al mese.

Si crea un meccanismo che può portare al dumping salariale. La Confederazione e le ispezioni del lavoro avrebbero i mezzi per intervenire, ma lo fanno di rado perché le priorità sono ben altre.

swissinfo: Le autorità svizzere ed europee sono sensibili al problema?

R.P.: C’è una certa presa di coscienza, grazie anche ai media. Nel contempo, quando si tratta di passare all’atto, ci si arrende un po’ troppo facilmente, anche perché sono problemi complicati, transnazionali.

Non bisogna però dimenticarsi che gli effetti delle migrazioni col pallone sono devastanti, in particolare in Africa, dove migliaia e migliaia di ragazzini abbandonano le scuole e le loro famiglie per cercare una carriera che resta comunque spesso un’utopia.

swissinfo, intervista di Daniele Mariani

Nella stagione 1992/1993, i club svizzeri avevano reclutato 2 giocatori di origine africana. Dieci anni dopo erano più di 50.
L’età media dei calciatori stranieri ingaggiati dai club elvetici è passata da quasi 29 anni alla fine degli anni ’70 a poco più di 22 nella stagione 2002/03.
Tra il 1977 e il 1982, quasi il 90% degli stranieri proveniva da paesi europei.
Nella stagione 2002/03, questa percentuale è scesa al 29%. Il 34% dei giocatori proveniva dall’America Latina e il 33% dall’Africa (il 4% restante da altri continenti).

Nel marzo di quest’anno, il Parlamento europeo ha adottato un rapporto sul futuro del calcio professionistico in Europa.

Il documento chiede riforme importanti, in particolare per quanto concerne la protezione dei giovani giocatori, la trasparenza finanziaria dei club e il controllo degli agenti dei calciatori.

Inoltre, il rapporto preconizza la creazione di un fondo di solidarietà per finanziare dei programmi nei paesi di origine dei giocatori e riconosce per la prima volta che la tratta di bambini nel calcio costituisce un problema maggiore.

La palla è ora nel campo della Federazione internazionale (FIFA) e dell’Unione europea di calcio (UEFA). Le due organizzazioni hanno assicurato che terranno conto del rapporto in occasione delle loro prossime riforme.

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